20 marzo 2021 – Notiziario Africa

Scritto da in data Marzo 20, 2021

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  • Tanzania: giura la nuova presidente.
  • Congo Brazzaville domani al voto.
  • Repubblica Centrafricana: l’ex presidente sarà a capo dei ribelli.
  • Etiopia: Biden manda un inviato per affrontare la crisi nel Tigray.
  • Tunisia: lancio di un satellite 100% tunisino.

Questo e molto altro nel notiziario Africa di Radio Bullets, a cura di Giusy Baioni. Musiche di Walter Sguazzin

Tanzania

Samia Suluhu Hassan è la nuova presidente della Tanzania, prima donna a giungere al grado più alto del potere nel paese. Ha prestato giuramento ieri, dopo la morte di John Magufuli di cui era vicepresidente. Dopo il giuramento a Dar es Salaam, ha ispezionato le truppe presenziando a una parata militare ed è stata salutata da un colpo di cannone. Presenti i membri del Gabinetto e gli ex presidenti della Tanzania Ali Hassan Mwinyi, Jakaya Kikwete e Abeid Karume. Gli ex capi di stato erano gli unici a indossare mascherine.

«Io, Samia Suluhu Hassan, prometto di essere onesta e obbedire e proteggere la costituzione della Tanzania», ha detto, parlando del “carico pesante” sulle sue spalle mentre assume la carica. Secondo la costituzione, Hassan servirà per il resto del secondo mandato quinquennale di Magufuli, che scadrà nel 2025. Nel suo primo discorso pubblico ha annunciato 21 giorni di lutto per Magufuli. «Non è un buon giorno per me per parlare con voi perché ho una ferita nel cuore», ha detto Hassan. «Oggi ho fatto un giuramento diverso dagli altri fatti nella mia carriera. Quelli erano fatti con gioia. Oggi ho prestato il più alto giuramento in lutto». Hassan ha detto che Magufuli l’aveva preparata per il compito che doveva affrontare. «Questo è il momento per stare insieme e connettersi. È tempo di seppellire le nostre differenze, mostrarci amore gli uni per gli altri e guardare avanti con fiducia», ha proseguito, «tenersi per mano e andare avanti per costruire la nuova Tanzania a cui aspirava il presidente Magufuli».

Proveniente da Zanzibar, l’isola semiautonoma nell’Oceano Indiano, il padre originario del Somaliland, Hassan ha scalato i ranghi, in una carriera politica ventennale, dal governo locale all’assemblea nazionale, fino a correre con Magufuli già nella prima campagna presidenziale del 2015. Una scelta a sorpresa, nel 2015, compiuta scavalcando molti altri politici più importanti nel partito Chama Cha Mapinduzi (CCM), al potere, in un modo o nell’altro, fin dall’indipendenza nel 1961. La coppia è stata rieletta nell’ottobre scorso in un voto contestato, viziato da accuse di irregolarità. Hassan diviene la seconda donna attualmente in servizio come capo di Stato in Africa insieme alla presidente etiope Sahle-Work Zewde, il cui ruolo è però principalmente di rappresentanza.

La 61enne è affettuosamente conosciuta come Mama Samia, appellativo che nella cultura tanzaniana riflette rispetto, piuttosto che ridurla a un ruolo di genere. Eletta per la prima volta a una carica pubblica nel 2000, è arrivata alla ribalta nazionale nel 2014 come vicepresidente dell’Assemblea costituente, creata per redigere una nuova costituzione. Là il suo comportamento calmo nel gestire occasionali scontri e il modo in cui ha affrontato alcuni dei membri più spinosi dell’assemblea, le avevano fatto guadagnare il plauso generale. Si attende ora si sapere se continuerà l’approccio scettico del suo predecessore nei confronti del coronavirus.

Il capo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), l’etiope Tedros Adhanom Ghebreyesus, inviando le congratulazioni per l’insediamento, ha già auspicato di poter lavorare insieme per affrontare il coronavirus. «Non vedo l’ora di lavorare con voi per proteggere le persone dal Covid-19, porre fine alla pandemia e ottenere una Tanzania più sana. Insieme!», ha twittato.

https://twitter.com/DrTedros/status/1372860260797517825

La Tanzania non pubblica i dati dei contagi dal maggio 2020, e il governo ha rifiutato di acquistare vaccini nonostante l’appello dell’OMS.

Repubblica Popolare del Congo

Il 77enne presidente del Congo-Brazzaville, Denis Sassou Nguesso, punta alla rielezione al primo turno nel voto che si terrà domani nella Repubblica Popolare del Congo. Sei i candidati contro di lui. Il clima sembra meno pesante di cinque anni fa. Qualche giorno fa Frédéric Bintsamou ha affermato che le elezioni «non devono essere un’opportunità per risvegliare i vecchi demoni della divisione». Il 56enne, meglio noto come pastore Ntumi, ha preso le armi nella regione di Pool (sud) dopo la contestata rielezione del presidente Sassou Nguesso nel marzo 2016. Le forze regolari hanno contrattaccato in un conflitto a porte chiuse che ha provocato 140.000 morti, secondo fonti umanitarie. Le autorità avevano annunciato un cessate il fuoco poco prima del Natale 2017.

Le questioni economiche sono le prime preoccupazioni per gli elettori, in questo paese ricco di petrolio con cinque milioni di abitanti, che con il Covid-19 si aspetta un calo del 9% del PIL, già in calo prima della pandemia. Di fronte all’impasse del petrolio, Sassou Nguesso ha detto che stava mettendo i giovani e lo sviluppo agricolo al centro della sua campagna, definendo “vergognoso” che il paese importi la maggior parte di ciò che consuma. Affermazione che ha fatto dire all’attivista Franck Nzila: «Il presidente, in un certo senso, sta riconoscendo il proprio fallimento».

La Conferenza episcopale, che nel paese ha una voce importante, ha già espresso «serie riserve» sulla trasparenza delle elezioni. La Chiesa cattolica, a cui è stato negato l’accreditamento per i suoi osservatori, teme anche che domenica, come nel 2016, Internet venga interrotto. Tuttavia vuole testare un’applicazione per computer e smartphone che dovrebbe consentire il download dei verbali di tutti i seggi elettorali per avere un’idea in tempo reale della verità dello spoglio. Sempre se Internet funzionerà. Le autorità hanno rifiutato di accreditare un giornalista di Radio France Internationale (RFI) e un attivista per i diritti umani di 77 anni è stato arrestato pochi giorni prima del voto, per aver «minato la sicurezza dello Stato».

«La Repubblica del Congo, come la diplomazia francese, deve tornare alla democrazia», ha scritto un gruppo di attivisti francesi e congolesi in un articolo pubblicato da Le Monde. «Chiediamo alla Francia di condannare il deterioramento pre-elettorale del clima politico e civico», scrivono i firmatari, contestando il peso dell’ex potenza coloniale accusata di ingerenze.

Il presidente Sassou Nguesso prese il potere nel 1979. Fu sconfitto alle prime elezioni multipartitiche nel 1992 da Pascal Lissouba. Ma nel 1997 Sassou Nguesso è tornato al potere dopo una guerra civile con le forze di Lissouba. Nel 2015 ha modificato la carta costituzionale che limitava a due il numero di mandati presidenziali, che qui durano sette anni. Da anni in Francia è in corso un’indagine su persone vicine al presidente, incriminate per «riciclaggio di fondi pubblici».

Repubblica Centrafricana

La situazione resta tesa nel paese. Secondo fonti della rivista Jeune Afrique, l’ex presidente François Bozizé starebbe per annunciare le sue dimissioni dalla guida del partito che dirige, il Kwa Na Kwa, per dedicarsi al coordinamento dei gruppi armati operanti in Centrafrica.

Intanto, il presidente da poco rieletto, Faustin-Archange Touadéra, ha affermato che nei prossimi giorni saranno organizzate consultazioni nazionali per raccogliere le opinioni e le raccomandazioni dei centrafricani. Touaderà è stato rieletto a dicembre in elezioni generali segnate da offensive ribelli in diverse città del paese, compresa la capitale Bangui. La sua richiesta di dialogo rimane tuttavia poco chiara, poiché ha già più volte escluso qualsiasi dialogo con gruppi armati e attori politici che sostengono la ribellione. Questa consultazione preliminare, annunciata dal Capo dello Stato, era una richiesta della comunità internazionale affinché ci fosse un consenso preliminare per evitare il fallimento di un dialogo.

«Miei cari compatrioti – ha affermato Touaderà – vorrei presentarvi la tabella di marcia per il dialogo repubblicano e annunciare l’apertura, nei prossimi giorni, delle consultazioni nazionali. Questo dialogo repubblicano, che voglio sincero, inclusivo e costruttivo, consentirà – spero sinceramente – di mobilitare tutti i segmenti della società centrafricana attorno a un’agenda per la consultazione di pace e sicurezza, stabilità politica e riconciliazione istituzionale e nazionale, titolarità e buona gestione delle nostre risorse naturali, governance inclusiva e democratica nonché sviluppo. Lo scopo di queste consultazioni è raccogliere le vostre opinioni, raccomandazioni e suggerimenti pertinenti sui risultati attesi, nonché sull’agenda di interesse nazionale prioritario e sui principi fondamentali da preservare. Ascolterò tutti i centrafricani». Dal territorio, tuttavia, fonti di Radio Bullets testimoniano di una situazione sempre estremamente tesa, con la popolazione vessata dai gruppi ribelli e continuamente sospesa e terrorizzata.

Etiopia

Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha mandato un inviato in Etiopia per incontrare il primo ministro Abiy Ahmed. Nonostante le smentite etiopi, gli Stati Uniti non allentano la pressione e sono molto determinati nei confronti di Addis Abeba a causa dei crimini commessi nel Tigray. Nelle ultime settimane Washington ha intensificato iniziative e dichiarazioni volte a far piegare l’Etiopia. E questa volta è il senatore democratico Chris Coons, amico molto intimo del nuovo presidente degli Stati Uniti Joe Biden, che è volato ad Addis Abeba giovedì. La Casa Bianca esprime «serie preoccupazioni per la crisi umanitaria e le violazioni dei diritti umani nella regione del Tigray e per il rischio di ulteriore instabilità nel Corno d’Africa». Chris Coons ha anche il compito di “consultare” l’Unione Africana, ha detto Washington, «per promuovere gli interessi comuni nella regione per la pace e la prosperità».

L’Etiopia, che finora ha rifiutato ogni mediazione e condannato le “interferenze straniere”, non ha ancora commentato. Una sola concessione alle pressioni diplomatiche: mercoledì l’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani ha accolto la proposta della Commissione nazionale etiope per i diritti umani di istituire un meccanismo di indagine congiunta sui crimini commessi dallo scoppio della guerra nel Tigray a novembre.

Sud Sudan

Human Rights Watch (HRW) ha sollecitato il Sud Sudan a istituire un tribunale ibrido con l’Unione Africana per affrontare le violazioni dei diritti umani nel paese. L’ong per i diritti umani ha chiesto al Sud Sudan di ascoltare l’appello rivoltole la scorsa settimana dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite a «sostenere la protezione dei civili» e smettere di interferire con il monitoraggio delle violazioni dei diritti umani nel paese da parte della missione di mantenimento della pace delle Nazioni Unite. A febbraio, gli esperti dei diritti umani delle Nazioni Unite avevano chiesto al Sud Sudan di compiere un autentico sforzo per ripristinare la stabilità, anche assicurando alla giustizia coloro che hanno commesso atrocità. Nel loro rapporto al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, gli esperti hanno citato livelli crescenti di violenza negli ultimi mesi – con centinaia di civili uccisi o sfollati – e hanno esortato il Sud Sudan ad agire rapidamente per far funzionare il tribunale, annunciato a gennaio ma ancora non avviato.

Rwanda

Presto potrebbe nascere un nuovo partito di opposizione in Rwanda. È un evento piuttosto raro nel panorama politico del paese, largamente dominato dall’RPF, il partito del presidente Paul Kagame. La nascita della Piattaforma Ruandese per la Democrazia (RPD) è stata annunciata giovedì 18 marzo, durante una conferenza stampa online, dal suo fondatore Christopher Kayumba, un ex professore universitario e giornalista recentemente scarcerato. Conosciuto come l’uomo dietro a The Chronicles, rivista online critica verso la politica del governo, nel dicembre 2019 Kayumba è stato accusato di aver provocato disturbi all’aeroporto di Kigali e intossicazione sull’autostrada pubblica, ed è stato poi condannato a un anno di prigione. Una condanna letta dai suoi sostenitori come frutto di una campagna diffamatoria contro di lui. Lo scorso febbraio, due mesi dopo il suo rilascio, ha pubblicato una lettera aperta al presidente Paul Kagame in cui criticava la gestione della crisi del Covid-19, denunciava problemi nel sistema giudiziario, alludeva a casi di tortura e centri di detenzione illegali. Ora ha presentato il suo nuovo partito come un forum volto a promuovere un Rwanda «più sviluppato, più libero e più democratico». Nessun dettaglio, per il momento, sull’identità e sul numero degli altri membri della piattaforma. Passaggio successivo sarà la richiesta di registrazione presso le autorità rwandesi: «Siamo ottimisti, le nostre leggi garantiscono un sistema multipartitico», assicura Kayumba.

Niger

Giovedì 18 marzo una missione ministeriale di alto livello ha visitato il luogo dell’attacco a Banibangou nei pressi di Tillabéry, nell’ovest del Paese, dove lunedì uomini armati avevano ucciso 58 abitanti del villaggio, di ritorno da una fiera. Il ministro dell’Interno, Alkashe Allada, accompagnato, tra gli altri, dal ministro dell’Azione umanitaria e dall’Alto Commissario per la costruzione della pace, ha incontrato sul posto le famiglie delle vittime, i capi villaggio e le autorità locali.

Ultimo di una serie di attacchi nella cosiddetta area dei “tre confini” (tra Mali, Burkina Faso e Niger), esso rivelerebbe l’emergere di gruppi che cercano di imporsi in zone dove il controllo statale è limitato. Intanto nella capitale Niamey, la manifestazione indetta per oggi dalla coalizione di opposizione Cap 20/21 è stata bandita. Decisione attaccata dai partiti di opposizione. La scorsa settimana Cap 20/21, che sostiene il candidato alla presidenza Mahamane Ousmane, aveva invitato i nigerini a manifestare pacificamente per contestare i risultati provvisori delle elezioni presidenziali. L’8 marzo l’opposizione ha presentato ricorso alla Corte costituzionale per contestare i risultati provvisori delle elezioni presidenziali. La più alta corte del paese ha tempo fino al 28 marzo per emettere la sentenza.

Nigeria

Un importante attivista nigeriano ha chiesto la creazione di una nazione separata per il gruppo etnico yoruba. Sunday Adeyemo, noto come “Sunday Igboho”, ha detto che a causa della crescente insicurezza nel sud-ovest non ci sarebbe più motivo per gli yoruba di rimanere parte della Nigeria. In un video che è diventato virale, ha incolpato i pastori di bestiame per la violenza. Adeyemo ha chiesto per la prima volta una repubblica yoruba indipendente lo scorso ottobre, venendo poi ampiamente ridicolizzato. Ma da allora ha attinto alla crescente sensazione che il governo non abbia fatto abbastanza per fermare gli attacchi alle comunità locali. Gli yoruba sono uno dei più grandi gruppi etnici della Nigeria. Non molto tempo dopo l’indipendenza del 1960, il paese fu lacerato da un conflitto secessionista quando il popolo igbo nel sud-est cercò di staccarsi.

Intanto, sempre in Nigeria, è vivo il disappunto dopo che il tribunale di Milano ha assolto con formula piena i vertici di Eni, accusati di corruzione per una enorme tangente che sarebbe stata versata per aggiudicarsi un maxi giacimento offshore.

Repubblica Democratica del Congo

Quasi 200 persone sono state uccise e 40.000 sfollate da gennaio, a seguito di un’ondata di attacchi da parte delle milizie ADF nell’est della Repubblica Democratica del Congo: lo hanno ribadito ieri le Nazioni Unite. L’agenzia Onu per i rifugiati riporta un «allarmante aumento» degli attacchi da parte delle Allied Democratic Forces (ADF), gruppo islamista di recente incluso da Washington nell’elenco dei gruppi terroristici affiliati alo Stato Islamico, insieme al gruppo che imperversa nel nord del Mozambico.

«In meno di tre mesi, le ADF avrebbero fatto irruzione in 25 villaggi, dato fuoco a dozzine di case e rapito oltre 70 persone». L’ADF ha la reputazione di essere la più sanguinosa delle 122 milizie che affliggono l’est del Congo. Secondo il Kivu Security Tracker (KST), una ONG che monitora la violenza nell’est della RDC, il gruppo ha ucciso più di 1.200 civili nella sola area di Beni dal 2017. I massacri sono diventati più frequenti da quando l’esercito ha lanciato un’offensiva nell’ottobre 2019, costringendo le ADF a suddividersi in unità più piccole e altamente mobili, affermano gli esperti.

Secondo l’Onu, l’ultima ondata di attacchi sembra essere dovuta alle rappresaglie di gruppi armati, alla loro ricerca di cibo e medicine e alle accuse contro le comunità di condividere informazioni sulle posizioni delle ADF. Gli sfollati con la forza lo scorso mese erano fuggiti nelle città di Oicha, Beni e Butembo: «La maggior parte sono donne e bambini, poiché gli uomini rimangono indietro per proteggere le proprietà, esponendosi al rischio di ulteriori attacchi».

Marocco

Centinaia di marocchini hanno protestato giovedì dopo che l’Algeria ha espulso gli agricoltori da una zona di confine contesa, dove erano stati a lungo autorizzati a coltivare datteri. Il confine tra Algeria e Marocco è chiuso dal 1994, ma Algeri aveva consentito a circa 30 famiglie di agricoltori marocchini di utilizzare un’area di terreno coltivato nota ai marocchini come Arjal e agli algerini come l’oasi di Laaroda. Le relazioni tra i due paesi nordafricani sono peggiorate negli ultimi mesi. Algeri aveva dato «agli agricoltori marocchini, che sfruttano queste terre algerine, un termine concordato per lasciare l’area» e ha chiuso il posto di frontiera a mezzanotte di mercoledì sera, secondo l’agenzia di stampa ufficiale algerina APS.

Kenya – Somalia

Le udienze della Corte internazionale di giustizia delle Nazioni Unite, sulla controversia tra Kenya e Somalia per il controllo di un’area marittima di confine, si sono concluse giovedì 18 marzo. La Somalia ha presentato le sue osservazioni finali in assenza del Kenya, che ha rifiutato di perorare la sua causa. La questione è ora in analisi. Il verdetto dovrebbe essere noto tra pochi mesi.

La Somalia chiede alla Corte di respingere le affermazioni keniane, di tracciare un confine marittimo in conformità con la legge tra i due paesi, di riconoscere la violazione della sovranità somala e infine di chiedere al Kenya di fornire alla Somalia tutti i dati che sono stati raccolti sul territorio conteso. Nell’area contesa sono stati individuati importanti giacimenti offshore di petrolio.

Tunisia

Per la prima volta, un satellite al 100% tunisino decolla questa mattina dal cosmodromo di Baikonur, in Kazakistan. Si chiama Challenge One ed è lungo appena 30 centimetri, ma il suo valore simbolico è alto. Si tratta infatti del primo satellite interamente sviluppato in Tunisia, dal gruppo Telnet. Dedicato all’Internet of Things, Challenge One è un dimostratore tecnico. Il suo utilizzo non sarà quindi accessibile al grande pubblico: esso mira a testare l’efficacia di una tecnologia. Per metterlo in orbita, Telnet ha puntato sul lanciatore Soyuz dell’agenzia spaziale russa Roscosmos.

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