I brasiliani si preoccupano

Scritto da in data Ottobre 17, 2019

Che fossi disorganizzata non vi era dubbio: che oltre a quello, io avessi avuto anche una pessima idea lo capii mentre si avvicinava la città e il buio si faceva sempre più intenso e pieno. Avevo deciso di tornare a São Luís dopo la mia escursione nel Parco nazionale dei Lençóis Maranhenses, durata qualche giorno: uno dei luoghi più belli mai visti. Il volo per Salvador de Bahia era alle cinque del mattino e da lì avrei preso un bus per la Chapada Diamantina. L’arrivo in città era previsto per le 23. Che fare fino alle 5? Invece di trovarmi un posto per dormire, sapendo che il volo non mi avrebbe permesso di riposare bene, decisi di farmi lasciare dall’autista dell’autobus nella zona dei locali, dove avrei potuto aspettare di prendere un taxi, senza stare sola e mangiando magari qualcosa. L’idea fu pessima e fece affiorare qualche paura di troppo.

Verso São Luís

Dopo un trasferimento tranquillo verso Barreirinhas, su un autobus pieno di turisti e con i vetri scuri, capii quanto ancora sarebbe stata lunga quella giornata. A Barreirinhas mi attendeva un bus per São Luís: sarei arrivata in città alle 23 per poi recarmi in tutta calma all’aeroporto diretta – alle cinque del mattino – a Salvador de Bahia. Cosa avrei potuto fare dalle 23 fino all’ora dell’aereo? Spiegai all’autista la situazione e quindi concordai con lui dove sarebbe stato opportuno scendere: nella via dei locali, pensavo, con tanta gente, in attesa di prendere un taxi per l’aeroporto. Eppure, quando la città si avvicinò insieme al buio del Brasile, le mie certezze vacillarono. Davvero avrei voluto passare la notte fuori, senza nemmeno una doccia, sporca di sabbia e sudore e con addosso la puzza di pesce della cucina di Antonio? Indossavo pantaloncini cortissimi e sotto la maglietta si intravedeva il costume. Iniziai a chiedere quale fosse la mia fermata più volte, ricevendo sempre la stessa risposta: non ancora. Non è questa. Mi spostai tra le prime file, dove una donna davvero enorme stava seduta, in attesa.

La paura e l’incontro

Una turista? Di sicuro una brasiliana. Mi aiutò a capire dove scendere, anche se io in quel momento, in preda ai dubbi e senza avere nemmeno l’idea di dove poter dormire qualche ora, desideravo in fin dei conti solo un contatto umano. Le dissi che non avevo prenotato alcuna pousada e che forse avrei dovuto farlo. Era troppo tardi per cambiare idea? Iniziai a rivolgere sempre più domande a quella donna, sempre più insistenti e ansiose. Spiegai per filo e per segno la mia situazione, chiesi informazioni in spagnolo – anzi in un ibrido di italiano e spagnolo – e non nascosi le mie paure. Avrei trovato una pousada? Com’erano São Luís e quella zona, pericolose? Magari avrebbe potuto aiutarmi.
In realtà Marzia, così si chiamava la donna enorme e dai lineamenti delicati, non viveva a São Luís. Quando me lo disse provai un misto tra la speranza di trovare posto per dormire nella sua pousada e l’angoscia che non potesse aiutarmi in alcun modo. Marzia però non viaggiava sola e la sua amica Vanuza era proprio di São Luís. Iniziammo a conversare tutte e tre e fui capace di mostrare così tanta apprensione – probabilmente ingiustificata – che finalmente Vanuza si offrì di ospitarmi. Mi emozionai così tanto – per quanto ampia era la mia stanchezza e la necessità di lavarmi – che quasi iniziai a piangere, in quel modo istintivo e audace di chi si commuove per un gesto enorme, inaspettato e desiderato. Avrei avuto una doccia, un letto e del cibo, in un luogo sicuro con tre donne: Marzia, Vanuza e Novia, l’ultima e un po’ in disparte e della quale quasi non mi ero accorta.

Vanuza, Marzia e Novia

Vanuza, dal sorriso composto tanto da ricordarmi le donne asiatiche, era la proprietaria di casa. Minuta di corporatura, quasi distaccata, deve avermi preso per una sprovveduta, cosa che la rese quindi meno diffidente nei miei confronti e ancora più desiderosa di aiutarmi. Marzia, la donna enorme nonché messaggera del mio bisogno, mi guardò sfiorandomi, prima di scendere dall’autobus. Novia – la sorella di Vanuza – vomitò sul marciapiede appena arrivate, mentre le altre due parlavano in portoghese con il marito della padrona di casa, venuto a prenderle. Il marito non si scompose e mi aiutò con lo zaino. La casa era piccola, un po’ fredda ma in quel momento quanto di più accogliente potessi volere. Il mio posto per la notte, anzi per quelle poche ore prima di prendere un taxi per l’aeroporto, era un comodo materasso messo a terra, accanto a un letto matrimoniale per Marzia e sotto all’amaca in cui per traverso dormì Novia: non potevo desiderare di meglio.

La cugina che non ho

Vanuza e suo marito mi fecero mangiare, quasi a forza, anche se ormai era mezzanotte, chiacchierando di noi. Vanuza mi disse di essere laureata in lettere, il marito era sistemista. Scoprii che aveva solo dieci anni più di me: il viso compassato e il tono di voce sottile, esile, lento, la fecero sembrare più vecchia di vent’anni. Ci misi un po’ prima di dormire, pulita e vestita, ma poi, quando crollai, vissi una notte senza sogni e intensa come se avessi dormito sei ore anziché due. Al risveglio mi prepararono una colazione, mi chiamarono il taxi assicurandosi che non mi fregasse sui soldi.
Vanuza, nei dialoghi in spagnolo e portoghese, pensò che io avessi una cugina ad aspettarmi nella Chapada Diamantina, a causa della parola “prima” sfuggitami in italiano, ma che in spagnolo significa cugina. Non ebbi la forza di spiegare, le lasciai credere – per farla stare tranquilla – che ci fosse qualcuno là per me, pensando alla mia amica di Cuiabà, Gabriela. La stanchezza era troppo grande per non mentire. L’abbracciai stretta, tirandola a me mentre le mie spalle si chiudevano e le scapole si aprivano.

Scrivimi, scrivimi sempre

Mi lasciò la sua mail e mi disse: «scrivimi, quando arrivi, perché i brasiliani si preoccupano».
Lasciai quella casa indossando i miei pantaloni preferiti, larghi e colorati, una maglia pulita, il volto disteso. Grata. Con quella frase che a distanza di tempo non dimentico. L’aereo mi avrebbe portato verso la mia ultima tappa nella natura, prima delle città di Salvador e Rio. Vanuza ogni tanto, dopo quattro anni, ancora mi scrive.

In copertina, foto di Eleonora Viganò

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