Kertész – Il difficile nome di un eroe

Scritto da in data Gennaio 27, 2021

Se mi chiedete se sono d’accordo nel giudicare la grandezza di uno sportivo o di una sportiva in base ai risultati raggiunti, ai trofei vinti, di primo acchito vi risponderei di sì: d’altronde il giudizio e la valutazione non possono che essere legati a ciò che di buono si è fatto e ai frutti che si sono portati, giusto?

E allora preparatevi ad ascoltare la storia di questo grande sportivo.

Per un’esperienza più coinvolgente, invece di leggere ascoltate il podcast

L’importanza del palmarès

Cominciamo dal nome, difficile da pronunciare e impegnativo da ricordare, quasi a giustificare una storia, la sua, straordinaria ma dimenticata o addirittura sconosciuta: Gèza Kertész. Potrei farvi lo spelling ma sarebbe tempo perso…

Passiamo al soprannome: “lajhár” in lingua magiara che, per noi, vuol dire “bradipo”. Viene descritto come un giocatore intelligente e molto versatile, in grado di giocare in tutte le posizioni del campo tranne che in porta, con l’unico difetto della lentezza. Niente male per uno che inizia la sua carriera sportiva come calciatore negli anni Venti.

Ora occupiamoci della carriera: milita come professionista nella massima serie ungherese: è il mediano del Budapesti TC, compagine con la quale disputa sei stagioni guadagnandosi anche la convocazione in nazionale − unica volta in carriera − per disputare una gara amichevole contro l’Austria. Dopo tre stagioni si trasferisce alla Ferencvarosi con cui conquista la Coppa di Ungheria senza però giocare neanche un minuto in tutta la competizione. Nel 1925 arriva in Italia e indossa la maglia dello Spezia Football Club, in Seconda Divisione, con la quale colleziona 13 presenze e un gol.

Diciamo così, non proprio la carriera di un pallone d’oro ma il talento, Kertész, comincia a mostrarlo come allenatore visto che con lo Spezia ricopre il doppio ruolo di giocatore e allenatore, appunto.

Kertész arriva in Italia

Stranamente – visto il momento storico − in quegli anni la Divisione Nazionale, l’attuale Serie A di calcio, è piena di allenatori stranieri: in particolare sono molto ricercati e apprezzati i rappresentanti della cosiddetta “Scuola Danubiana” formata perlopiù da tecnici austriaci e ungheresi. Tra questi, da ricordare gli ungheresi Herman Felsner (quattro scudetti con il Bologna), Arpad Weisz (due scudetti con il Bologna e uno con l’Inter), Jozsef Violak (uno scudetto con la Juventus) e Alfred Shaffer (uno scudetto con la Roma).

Oltre che idee tattiche e tecniche, Kertész si fa anche ricordare come un innovatore visto che durante la sua avventura con il Catania, per la prima volta in Italia, introduce il ritiro prepartita. Dalla sua prima esperienza con lo Spezia del 1925 si convince di essere più bravo e utile come allenatore e attacca gli scarpini al chiodo, iniziando una carriera che lo vedrà in giro per l’Italia fino al 1944, alternando ottime annate ad altre meno memorabili. Fra gli anni migliori ci sono, senza dubbio, quello della promozione in Prima Divisione con lo Spezia, risultato che ripete nel campionato successivo alla guida della Carrarese; degni di nota anche la promozione in Serie B della Catanzarese e la storica promozione del Catania, prima nella sua storia calcistica, nella stagione 1933-1934. Due anni dopo vince il campionato di Serie C con il Taranto. A questo punto, dopo anni di gavetta trascorsi nelle serie inferiori, arriva finalmente l’esordio in Serie A nel 1939 con la Lazio, ma la conquista del quarto posto non è sufficiente a garantirgli la riconferma. Qualche anno più tardi arriva la chiamata dai giallorossi della Roma, freschi campioni d’Italia: Kertész accetta e prende il posto del connazionale Alfred Shaffer. Le cose, però, non vanno granché: nono posto ed esonero. È questa la sua ultima esperienza come allenatore in Italia visto che, a causa degli eventi della Seconda Guerra Mondiale, l’anno successivo torna in patria. Ma non smette di allenare e si accasa allo Ujpest.

Quindi, ricapitolando:

come giocatore, una Coppa di Ungheria

come allenatore, due Prime Divisioni, una Serie C, due Seconde Divisioni.

Vi sembra poco per giudicarlo un “campione”? Per essere lo sportivo giusto al quale dedicare una puntata del podcast di Sportcast su Radio Bullets? Calma amici, la storia di Kertész non è ancora finita.

La Seconda Guerra Mondiale e il ritorno in Ungheria

Gli eventi della Seconda Guerra Mondiale costringono Kertész a tornare in Ungheria: convinto nazionalista e Tenente Colonello dell’esercito, di fronte alle persecuzioni razziali e alle deportazioni di quegli anni, decide di dare vita a una organizzazione resistenziale. Lo fa col suo connazionale Toth, compagno di squadra nel Ferencvarosi e poi collega allenatore in Italia.

Ora, insieme stanno disputando la partita più importante di tutta la loro carriera, una partita che vale più di una finale, più di un titolo, più di una coppa o di un trofeo. L’avversario è il governo collaborazionista delle Croci Frecciate. Kertész e Toth salvano decine di ebrei e partigiani ungheresi sottraendoli ai campi di sterminio nazisti e nascondendoli tra case di amici compiacenti e monasteri. Approfittando del suo perfetto accento tedesco, Kertész arriva sino al punto di travestirsi da soldato della Wehrmacht per organizzare la fuga dal ghetto di Budapest.

Dopo un anno, questa partita tra mille rischi sta per concludersi; ma si sa, le partite non finiscono mai al 90°, bisogna sempre considerare i minuti di recupero.

Sono gli ultimi mesi del conflitto mondiale, l’Ungheria è assediata dall’Armata Rossa di Stalin e i nazisti ungarici delle Croci Frecciate sono alle strette, ma non avendo nulla da perdere sono ancora più pronti a sanguinose rese dei conti. È il 6 febbraio del 1945 quando, a seguito di una soffiata, la Gestapo fa irruzione nell’abitazione di Kertesz per arrestarlo, reo di aver nascosto un ebreo in casa. Nell’atrio del Palazzo reale di Buda, insieme a Kertesz furono fucilati Toth e altri cinque commilitoni.

Una settimana dopo, il 13 febbraio Budapest fu liberata.

Al suo funerale, celebrato postumo nell’aprile successivo, partecipano migliaia di persone: gli viene riconosciuto il titolo di «martire della patria» e viene seppellito, con gli onori dovuti, nel cimitero degli eroi di Budapest.

Ora la faccio io a voi una domanda: Gèza Kertész, questo uomo dal nome difficile da pronunciare e impegnativo da ricordare, in base ai suoi risultati, ai frutti che ha prodotto, è o non è un grande campione?

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