Il dio che danza

Scritto da in data Maggio 14, 2021

Viaggi, trance e trasformazioni. Divinità e continenti, modi di ballare, raccontare, vivere. Valentina Barile ne parla su Radio Bullets con Paolo Pecere – docente di Storia della filosofia, viaggiatore, scrittore – e il suo ultimo libro “Il dio che danza” (Nottetempo).

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Viaggi

«Dove comincia il viaggio? Nell’infanzia, sempre. Durante sterminate estati in Puglia da bambino davo già avvio a questa ricerca. In un seminterrato avevo trovato una collezione di libri e il pomeriggio in uno stanzino cartografavo terre e mari immaginari, parlavo con altre voci per popolarli. Restavo chiuso lì per ore, ne uscivo carico di visioni, indifferente alla fame. Sognavo di fare come lo hobbit che infila l’anello magico e sparisce, per poi andarmene lontano, ma più che la destinazione m’interessava la presa di distanza dalla realtà familiare, l’ascolto di voci incomprese. L’io viaggiante, come iniziavo a capire, si dimette, diserta la rete di affetti e impegni che lo definiscono, s’imbosca. Va in libera uscita dal presente che opprime, fa un passo indietro nel tempo, riavvolge il filo della storia, o lo taglia.» – da “Il dio che danza” (Nottetempo).

Paolo Pecere: «Il dio che danza prima di tutto è Dioniso, per noi del Mediterraneo. Dioniso era un dio che scioglie, che libera dalle norme, cioè che permette all’individuo di trascendere la sua condizione ordinaria, la propria esistenza ordinaria, anche un’esistenza delle volte critica, un vissuto di marginalità, e di diventare transitoriamente qualcun altro, di assumere in sé un’energia che è un’energia del dio che, nel caso di Dioniso, era proprio la vita della natura, che come ricordava anche Nitzsche, appunto, si manifesta con l’ebbrezza. Ecco, questo è il primo insegnamento del dio che danza. L’entusiasmo – come dicevano i greci – l’incorporare dio nell’estati o nella possessione, che io poi ho trovato essere qualcosa che non si è situato e manifestato soltanto nella cultura greca e poi nella Magna Grecia e anche da noi in Italia in una forma diversa col tarantismo, ma in realtà si trova in tutto il mondo. Per esempio, il dio Shiva è un altro dio che danza, in India, e danzando, appunto, permette di assumere uno stato transitoriamente divino a chiunque, anche agli appartenenti alle caste inferiori. E in tutto questo, naturalmente, vivendo una profonda gioia».

Paolo Pecere

Trance

Il dio rosso, il dio impuro, il dio nascosto, il dio venuto dal mare, il dio della foresta, il dio in maschera. Divinità raccolte in un unico io danzante che unisce i continenti. Dal Brasile all’India, dall’Africa al Sudamerica fino ai microcosmi metropolitani. Cosa tiene unite le danze della Terra? Paolo Pecere: «Nel mio libro ho cercato, appunto, di rispondere alla domanda: che cosa resta oggi, che cosa c’è nel mondo contemporaneo di corrispondente a quelle pratiche di trance da possessione, quelle pratiche statiche che, per esempio, vengono tramandate nella storia della religione dionisiaca sui vasi greci, in cui si vedono, appunto, scene di danza nei baccanali. E le ho trovate, ancora, in India e ho usato questi nomi per indicare come queste divinità, che a volte sono anche imparentate storicamente, si manifestano nei loro fedeli. Il dio rosso, per esempio, è simbolo di questa ambivalenza che ho trovato tra antico e presente. In India il dio rosso è rosso, sono questi danzatori del theyyam perché scaccia il maligno, scaccia la sfortuna ma è rosso anche perché è il colore politico di un partito, del partito comunista, rovescia le classi sociali perché i fuori casta diventano transitoriamente superiori ai bramini. E questo rovesciamento sociale si ritrova anche, per certi versi, nel sofismo in Pakistan, che sfida l’ortodossia, con gli orisha in Sudamerica che sono divinità che entrano nei corpi di quelli che sono i discendenti degli schiavi, quindi c’era sempre questo aspetto di marginalità e di gioia e riscatto attraverso la danza, attraverso la recitazione indotta dal dio, con quel diventare altri, di questa condizione originaria».

Trasformazioni

Cosa è il viaggio se non la consapevolezza di un relativismo che gli antropologi definiscono culturale. L’essere umano che si muove, diventa capace di riconoscere la diversità, accettarla, vivere in armonia con le altre culture. Paolo Pecere: «L’io viaggiante nel mio libro è prima di tutto l’io del lettore ma anche di me che sono stato lettore, perché viaggiando si evade, si viaggia con la mente. Io faccio questo paragone nelle prime pagine. Ma il viaggio non è soltanto evasione, è anche conoscenza. Conoscenza di altri mondi. Viaggiare per me è un modo insostituibile di vedere le cose sotto un’altra luce e, naturalmente, viaggiare è anche una condizione per la letteratura. Quindi io parlo di viaggio in letteratura senza pensare che la letteratura di viaggio sia una nicchia o una sotto forma del reportage del giornalismo. Per raccontare bisogna muoversi, i grandi scrittori contemporanei, per me esemplari, come Sebald, come Énard, Macfarlane sono viaggiatori che attraverso degli itinerari veri e propri, fisici, che hanno seguito, anche appunto tracciando delle mappe del loro percorso, raccolgono storie, perché andare nei luoghi vicini o lontani è anche viaggiare nel tempo, come ci insegna tanta letteratura contemporanea e come cerco di fare anche io: andare in un luogo vuol dire raccogliere storie di generazioni, di persone e tradizioni che si sono stratificate in quel luogo, e quindi il racconto, essendo un qualcosa che ha una dimensione diacronica, non può che trarre uno stimolo fondamentale dal viaggio».

«Il motore della barca si spegne: restiamo a fluttuare sulla Stella fluviale del Sud, la confluenza dei fiumi Orinoco, Guaviare e Atabapo. Intorno silenzio e acqua color caramello, nera, rossa, che si mescola e s’ingorga in una vastità sconfinata. La corrente è così lenta che si distingue a fatica la sua direzione. Lo sguardo qui si perde e cerca orientamento. Ci avviciniamo a una roccia con un avamposto militare abbandonato, invaso dalla vegetazione. Sulla riva lontana c’è il Venezuela, da cui una barca avanza come un insetto sul dorso del fiume. “Vengono qui in Colombia a comprare benzina”, mi spiega il barcaiolo. È agosto del 2019, e il Venezuela sta vivendo una profonda crisi istituzionale che porta la popolazione alla fame. La “Stella” fu chiamata così dal grande viaggiatore Alexander von Humboldt, che arrivò qui risalendo l’Orinoco nel 1800 e descrisse il posto come uno degli spettacoli più meravigliosi del Sudamerica». – da “Il dio che danza” (Nottetempo).

Paolo Pecere conclude su Radio Bullets: «Io ho pubblicato due romanzi che sono, appunto, romanzi di invenzione – diciamo – ma in cui il viaggio è una dimensione fondamentale. “La vita lontana” che parla di una famiglia che si frammenta in una lontananza tra Italia e India, e “Risorgere” che parla ancora una volta di vite divise fra l’Europa e la Cina. Per raccontare il contatto tra mondi, per raccontare come nel mondo di oggi ci si può allontanare, scoprire qualcosa che non c’era prima, andare in cerca della propria origine, anche spostandosi, e in tutto questo, oltre che – come dicevo prima – il fondamentale elemento di stimolo che per me è il viaggiare sempre alla volontà di narrare, c’è anche un tema che è quello dell’emigrazione che sento vicino perché come tantissimi italiani nella mia famiglia c’è un ramo di emigrati negli Stati Uniti: infatti uno dei prossimi progetti a cui sto lavorando è un libro in cui si racconta il rapporto, appunto, tra viaggio ed emigrazione sempre nel nome di questo intreccio di storia e anche letteratura».

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