La carità serve per combattere la povertà?

Scritto da in data Settembre 7, 2020

Uno dei modi per affrontare, o quantomeno per attenuare, il problema della povertà, secondo le religioni, è la carità. Nel cristianesimo carità significa mettersi a disposizione degli altri, dei bisognosi, dei poveri. Nella religione islamica la zakat – la carità – è uno dei principali doveri del buon credente, un modo per ringraziare Allah per tutto ciò che di bello ha donato agli uomini. Anche nella religione ebraica la zedaquah è uno degli obblighi principali, anzi secondo il Talmud rappresenta la più importante delle mizvot, gli obblighi a cui sono sottoposti i credenti: la carità è una forma di riparazione nei confronti dei poveri e uno strumento di salvezza e di redenzione per chi la fa. Per tutte e tre le grandi religioni del libro – ebraismo, cristianesimo, islam, cioè le tre grandi religioni monoteiste – la carità, sia pure con sfumature diverse tra un credo e l’altro, è comunque una virtù basilare e un obbligo del buon fedele.

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Non così la pensano, però, gli economisti. È chiaro che religione ed economia si occupano di ambiti molto diversi, ma numerosi economisti si sono posti nel corso dei secoli il dilemma se la carità potesse essere un mezzo, una soluzione per affrontare un grave problema sia sociale che economico come quello della povertà.

Dambisa Moyo, un’economista originaria dello Zambia, un paese africano, che ha studiato in diverse università sia britanniche che americane, alcuni anni fa suscitò un acceso dibattito pubblicando uno studio che, già nel titolo, aveva intenti chiaramente polemici. Quel libro infatti si intitolava La carità che uccide.

La carità che uccide

Le tesi di quella studiosa africana era, in estrema sintesi, che la grande massa di aiuti finanziari, diverse centinaia di miliardi di dollari che l’Occidente ha riversato, nel corso degli ultimi decenni, sui paesi africani, con varie modalità, dagli aiuti degli Stati, a quelli di organizzazioni sovranazionali, sono serviti a poco se non addirittura hanno creato più danni che altro. I grandi flussi di aiuti sono finiti in sprechi e corruzione, hanno alimentato conflitti e scoraggiato l’iniziativa imprenditoriale nei paesi che ricevevano quegli aiuti e che da quegli aiuti finivano per dipendere. La logica degli aiuti, la logica della carità, ha finito per mantenere i paesi africani in uno stato di perenne dipendenza, in uno stato di adolescenza economica, gli aiuti sono stati una sorta di droga. Secondo la Moyo per sconfiggere la povertà e innescare la crescita economica c’è bisogno non di carità ma di investimenti, di tecnologia, di politiche economiche che favoriscano la crescita delle esportazioni dei paesi africani.

Chi si abitua a vivere di aiuti diventerà dipendente da quegli aiuti e alla fine non avrà alcun incentivo a darsi da fare per rendersi autonomo.

Riportiamo uno degli esempi pratici che faceva la Moyo nel suo saggio per sviluppare il nostro ragionamento. Come sappiamo, una delle malattie ancora molto diffuse in Africa, come in tutti i paesi in via di sviluppo, è la malaria, che viene trasmessa dalle zanzare.

La malaria uccide ogni anno, nel mondo, circa un milione di persone, il 90% dei quali nell’Africa subsahariana, la gran parte dei quali sono bambini al di sotto dei 5 anni.

Supponiamo che in qualsiasi paese africano si sia sviluppata una produzione autoctona di zanzariere, piccole aziende artigianali che utilizzando prodotti locali e impiegando manodopera locale fabbricano ogni anno un certo numero di zanzariere che vengono vendute sul mercato a chi, ovviamente, si può permettere di acquistarle. Supponiamo che in Occidente qualche famoso attore o cantante promuova una raccolta di fondi per regalare a quel paese le zanzariere che servono per ridurre la diffusione della malaria.

L’opinione pubblica occidentale, solitamente distratta e annoiata, sull’onda del battage mediatico e dell’emozione del momento, fa importanti donazioni con le quali si inviano in quel paese e si distribuiscono gratuitamente zanzariere. Cosa succederà? Nell’immediato la diffusione delle zanzariere produrrà due effetti, uno positivo, una riduzione dei contagi, e uno negativo a livello economico, perché i produttori locali di zanzariere falliranno. Se le zanzariere in alluminio provenienti dall’Occidente verranno regalate più nessuno acquisterà le zanzariere ancora piuttosto artigianali, in legno e fili di cotone, prodotte localmente. Centinaia di aziende chiuderanno, migliaia di lavoratori resteranno disoccupati. Ma nel medio lungo periodo ci sarà un ulteriore effetto negativo anche sui contagi in quanto anche le zanzariere, come qualunque manufatto si possono rompere, o sono soggette a logoramento; quindi, dopo un paio d’anni, coloro ai quali le zanzariere erano state regalate si troveranno nella necessità di cambiarle, ma non potranno permettersi di importare le costose zanzariere in alluminio fabbricate in Occidente e non avranno più nemmeno a disposizione le più rustiche e meno costose zanzariere prodotte in loco, in quanto quel settore è stato annientato dalla “logica della carità”.

Il ragionamento della Moyo ha certamente un suo fondamento, ma altri economisti hanno fatto un ulteriore passo in avanti.

La teoria di Esther Duflo

Nel 2019 il premio Nobel per l’economia è stato assegnato a tre economisti, la francese Esther Duflo e il marito Abhijit Banerjee, economista di origine indiana, entrambi insegnanti al MIT, il Massachusetts Institute of Technology, e a un economista statunitense che insegna ad Harvard, Michael Kremer. Costoro sono stati premiati per il loro approccio estremamente pragmatico al tema della povertà.

Seguiamo un po’ il lavoro fatto da Esther Duflo. Innanzitutto, lei parte da una considerazione generale: riconosce che, per esempio, sono stati dati molti aiuti finanziari ai paesi in via di sviluppo e sembra che questa grande massa di aiuti non abbia risolto alcun problema o addirittura, come sosteneva la Moyo a proposito dell’Africa, sia stata dannosa. In realtà, dice la Duflo, non possiamo saperlo. Se quegli aiuti non ci fossero stati le cose sarebbero potute andare meglio ma potevano anche andare peggio, non esiste alcun modo per saperlo.

Allora come facciamo, cosa dobbiamo fare? Non dare più aiuti, girandoci dall’altra parte di fronte al problema perché c’è il rischio che quegli aiuti o non servano a nulla o addirittura possano essere dannosi, oppure continuiamo a darli sperando che almeno una parte abbiano degli effetti positivi?

La Duflo dice: io non lo so se gli aiuti facciano bene o male, è una domanda troppo grande, troppo complessa e forse anche troppo generica, però so una cosa: anche nelle questioni economiche e sociali possiamo applicare i metodi che si applicano nelle questioni scientifiche.

La Duflo parte da un approccio molto pragmatico: il problema della povertà è un problema enorme e non possiamo pensare di avere la bacchetta magica per risolverlo, quindi suddividiamo la questione generale in tanti ragionamenti pratici e cerchiamo soluzioni pratiche. Anche per le questioni sociali ed economiche occorre utilizzare un metodo di tipo scientifico, simile a quello che viene utilizzato in medicina con quelli che sono chiamati “studi controllati randomizzati”, in pratica i test clinici che si fanno per verificare l’efficacia di un farmaco.

Studi controllati randomizzati

Cosa significa? Vuol dire che bisogna abbandonare gli approcci ideologici o troppo teorici e fare degli esperimenti sul campo per verificare quali siano le azioni più efficaci, non per combattere genericamente la povertà ma per combattere praticamente, per esempio, la malaria, oppure l’abbandono scolastico, oppure il basso tasso di vaccinazioni o qualunque altro problema.

Facciamo degli esempi. Cominciamo dal problema della malaria che avevamo accennato precedentemente.

Un metodo semplice per contrastare la malaria è utilizzare le zanzariere. Se il 50% delle persone dormissero sotto una zanzariera il contagio si ridurrebbe notevolmente. Sono un po’ le regole che abbiamo tutti sperimentato nei mesi scorsi con una malattia diversa ma ugualmente contagiosa, l’epidemia da coronavirus. Per rallentare la diffusione del virus occorre che tutti adottiamo dei comportamenti semplici: utilizzare la mascherina, lavarsi spesso le mani, il distanziamento sociale.

Tornando alla malaria, se ci si rende conto che la diffusione delle zanzariere riduce le possibilità di contagio, una soluzione sensata sarebbe quella di regalare zanzariere o fare qualcosa per incentivare l’uso delle stesse.

Il problema però è che, se le zanzariere le regali si possono verificare fenomeni distorsivi come quelli di cui parlava Dambisa Moyo, se le regali magari metti in crisi filiere produttive locali che danno lavoro e reddito a migliaia di persone. Ma c’è anche un altro problema: se le zanzariere le regali magari la gente non ne comprende il valore oppure le utilizzerà per altri scopi, per esempio come reti da pesca.

Quindi cosa bisogna fare? Regalarle per garantirne la diffusione maggiore oppure farle pagare per far capire il vero valore di quel prodotto?

Distribuire gratis le zanzariere potrebbe avere effetti positivi nell’immediato ma molto negativi nel medio lungo periodo. Allora vediamo un esperimento fatto dalla Duflo in un paese africano, il Kenya. Si decise di suddividere la popolazione di una determinata area e ad alcuni furono date le zanzariere gratuitamente mentre ad altre persone venivano dati dei buoni sconto per l’acquisto di zanzariere. Questi buoni avevano percentuali di sconto diversificate. Alcuni garantivano uno sconto del 20%, altri del 50% e via di seguito. Ora quello che si è constatato è che nell’immediato il dover pagare le zanzariere, sia pure con lo sconto, ha ridotto il numero di coloro che utilizzavano le zanzariere rispetto a una situazione nella quale le zanzariere venivano date gratis. È un risultato abbastanza ovvio. Ma l’altro risultato importante è che chi aveva la zanzariera, indipendentemente dal fatto che gli fosse fornita gratis o a pagamento, sia pure con uno sconto, alla fine la usava. Nel medio lungo periodo cosa succedeva? Nel medio e lungo periodo succedeva che chi aveva avuto gratis, inizialmente, una zanzariera, a distanza di tempo, quando arrivava il momento di sostituirla, se avesse ricevuto un coupon con uno sconto avrebbe avuto una maggiore propensione a usarlo e ad acquistare la zanzariera, ma anche senza sconto, se ne aveva la possibilità, la zanzariera la comprava perché ne aveva constatato l’efficacia. Quindi chi aveva la possibilità di usare la zanzariera apprezzandone l’utilità alla fine aveva anche una maggiore predisposizione a spender soldi per acquistarla.

Quando la gente capisce, perché l’ha potuta utilizzare, che la zanzariera migliora le sue condizioni di vita e di salute e riduce le probabilità di contagio, è disposta anche a investire su quel prodotto. Quindi la gente in quel caso non diventava dipendente dagli aiuti o dalla carità ma diventava dipendente dalla zanzariera. Questo è un risultato pratico molto importante.

Ma vediamo un altro esempio. Per salvare i bambini dalle malattie nei paesi poveri occorre vaccinare questi bambini, un problema di cui tutti siamo consapevoli. Ne sono consapevoli anche i Governi dei paesi poveri che fanno grandi sforzi per diffondere le vaccinazioni. Ci sono anche grandi organizzazioni caritatevoli, come quella fondata da Bill Gates, che investono molto su questi programmi. In questo campo non ci sono grandi problemi tecnologici. La vaccinazione è una procedura semplice, per metterla in pratica non servono infrastrutture complesse o personale particolarmente specializzato, ma nonostante tutti gli sforzi ogni anno nel mondo ci sono milioni di bambini che non vengono vaccinati adeguatamente.

Ci sono paesi nei quali, per esempio, soltanto l’1% dei bambini sono vaccinati contro il morbillo. Il problema non è il costo del vaccino – i vaccini vengono forniti gratis alla popolazione – ma che i genitori non si curino dei figli. Quegli stessi genitori che non vaccinano il figlio contro il morbillo, quando il bambino si ammalerà di morbillo spenderanno cifre enormi per curarlo, spesso anche indebitandosi.

Allora dove sta il problema? Il problema potrebbero essere le convinzioni dei genitori: sappiamo che anche nei paesi occidentali, per esempio, ci sono movimenti cosiddetti no vax, che per varie ragioni sono contrari alle vaccinazioni. Ma non è nemmeno questo il problema.

Il problema spesso è più semplice. Mettiamo il caso di una madre, in un piccolo villaggio, che per vaccinare il figlio deve farsi a piedi magari dieci chilometri per raggiungere l’ambulatorio medico dove vengono fatte le vaccinazioni. Magari si fa questi dieci chilometri e poi arriva e scopre che quel giorno l’ambulatorio è chiuso e quindi deve tornare un’altra volta. Ma ha mille cose da fare. Ha altri tre figli da accudire, deve preparare da mangiare, andare al pozzo a prendere l’acqua, ha una giornata sempre piena di cose da fare, spesso anche molto faticose. Per cui, sa che dovrebbe vaccinare il suo bambino, ma rimanda sempre a domani.

L’esperimento della Duflo

La Duflo ha realizzato un esperimento nella zona di Udaipur nello Stato del Rajahstan, nel nord dell’India. Sono stati creati dei laboratori mobili che si spostavano nei villaggi e, come ulteriore incentivo per spingere la gente a fare le vaccinazioni, veniva regalato 1 kg di lenticchie a chi vaccinava un bambino.

Ora è chiaro che si possono dare tutti gli incentivi del mondo ma è impossibile convincere qualcuno a fare qualcosa che non intende fare. Se qualcuno è contrario alle vaccinazioni per ragioni, supponiamo, di carattere religioso, non li si convincerà certamente regalandogli 1 kg di lenticchie. Ma in tutti gli altri casi nei quali il passaggio dall’intenzione all’azione è determinato da circostanze più varie, l’incentivo invece avrà un effetto sicuro.

Il risultato di questo esperimento sociale fu che, mentre normalmente soltanto il 6% dei bambini in quella zona veniva vaccinato contro il morbillo, già soltanto con l’adozione degli ambulatori mobili questa percentuale saliva al 17% e, aggiungendo il regalo delle lenticchie, si arrivava al 38%.

Un risultato, quindi, estremamente positivo e, facendo un ragionamento meramente economico, il costo degli ambulatori mobili e delle lenticchie regalate risulta infinitamente più basso del costo dell’ospedalizzazione di un bambino malato di morbillo, dei farmaci e del personale specializzato, medici e infermieri che lo dovranno curare. Oltre al fatto che, aumentando le percentuali di bambini immunizzati, si ridurrà la circolazione dell’infezione e quindi il numero dei casi di coloro che contrarranno la malattia anche tra i non vaccinati.

Come diffondere l’istruzione?

Un altro problema è l’istruzione. Cosa fare per diffondere l’istruzione: costruire più scuole? Assumere più insegnanti? Regalare i libri di testo?

Il problema è certamente un problema sociale ma anche economico. Dal momento che le risorse a disposizione non sono infinite, occorre capire quale sia la soluzione più efficace in termini di risultati ottenuti, quindi in termini di aumento della frequenza scolastica in rapporto agli investimenti effettuati.

Anche in questo settore si è deciso di fare tutta una serie di esperimenti su come incentivare le famiglie a mandare i figli a scuola. Si sono messe sul tavolo diverse opzioni:

  • assumere più insegnanti
  • creare mense scolastiche
  • dare gratuitamente i libri scolastici ai bambini
  • dare borse di studio
  • altro

Si è scoperto, facendo esperimenti sul campo, che uno dei modi più efficaci in termini economici, cioè in termini di spesa in rapporto al risultato ottenuto, è stato quello di curare i bambini che avevano parassiti intestinali. In molti paesi poveri, dove le condizioni igieniche sono precarie, dove l’acqua è spesso fonte di trasmissione di malattie e infezioni, spendere per curare le infezioni intestinali dei bambini era il modo migliore per spingere quei bambini ad andare a scuola regolarmente, perché una percentuale elevata dell’assenza scolastica era determinata da malesseri causati da quelle infezioni. Per dirla in termini un po’ grossolani: spendere soldi per combattere i vermi intestinali era una soluzione molto più efficace per aumentare la frequenza scolastica rispetto, per esempio, all’assunzione di nuovi insegnati, una misura molto più costosa.

Quello che ci hanno insegnato economisti come la Duflo è che non si può eliminare la povertà da un giorno all’altro con una soluzione miracolosa, ma si può cominciare a fare cose concrete che funzionano per cercare di risolvere alcuni problemi o parte del problema, con un approccio pragmatico.

Ma oltre che intervenire con grande buon senso e pragmatismo per cercare di combattere la povertà e tutti i problemi sociali a essa legati, occorrerebbe anche evitare di ridurre in povertà la gente. Popoli interi sono stati ridotti in miseria facendo scelte di politica economica fondamentalmente sbagliate.

Un altro dei modi per combattere la povertà, sembrerà banale dirlo ma non lo è affatto, è evitare che la gente si impoverisca, come vedremo nelle prossime puntate.

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