8 maggio 2021 – Notiziario Africa

Scritto da in data Maggio 8, 2021

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  • Coronavirus: falsi tamponi per viaggiare, truffa scoperta in Camerun. Intanto l’Africa spera nel superamento dei brevetti.
  • Etiopia: il parlamento dichiara TPLF e OLA movimenti terroristici.
  • Ciad: sabato ad alta tensione, oggi, manifestazione di piazza vietate dal governo di transizione.
  • Somalia: normalizzate le relazioni diplomatiche con il Kenya.
  • Uganda: la CPI condanna a 25 anni l’ex bambino soldato divenuto spietato comandante dell’LRA.
  • Marocco: crisi diplomatica con la Germania.

Camerun

In base alla destinazione del viaggio, i prezzi variavano fra i 10mila e i 200mila franchi CFA, ovvero dai 15 ai 300€. Questo il costo della truffa sui falsi tamponi, scoperta da una ong camerunese. Per 3 mesi, all’aeroporto internazionale di Douala, capitale economica del Camerun, i team del sito Data Cameroon, dell’ong Adisi Camerun, si sono infiltrati nelle reti di trafficanti di falsi test molecolari necessari per i viaggi internazionali, riuscendo a dimostrare che questo traffico esiste in tutte le fasi del processo: dal campionamento al centro di screening all’imbarco. Con il rischio che i viaggiatori contagiosi trasmettano il virus. Ai microfoni di RFI Paul Joël Kamtchang, segretario esecutivo della ong, ricorda che i test dovrebbero essere gratuiti, però spesso ciò che avviene è ben diverso: “Ci sono state diverse lamentele – racconta – da parte dei viaggiatori, molti dei quali avevano perso il volo perché non avevano ricevuto i risultati o perché non avevano potuto fare il test. E poi ci siamo accorti che in realtà c’erano reti parallele che permettevano a questi viaggiatori di fare falsi test per viaggiare facilmente”. I tentativi di regolare questo traffico vengono facilmente aggirati, secondo le indagini dell’ong, nonostante le autorità si dicano determinate a sradicare il problema.

Intanto, in tutto il continente ma soprattutto in Sudafrica, la nuova presa di posizione dell’amministrazione USA di Joe Biden sul superamento dei brevetti per i vaccini contro il Covid ha riacceso le speranze. Un mese dopo il vertice dell’Unione africana sull’autonomia dei vaccini, l’OMS spera che la revoca temporanea dei brevetti possa aiutare. Perché se accettata, questa soluzione consentirebbe a qualsiasi Paese di avere accesso alla “ricetta” per la produzione di vaccini anti-Covid, senza preoccuparsi della proprietà intellettuale. L’OMS lo vede anche come un’opportunità per l’Africa per aumentare la sua capacità di produzione.
Tuttavia, ciò richiederà di accelerare il processo di trasferimento tecnologico e dotare i paesi africani di catene di approvvigionamento per produrre essi stessi i vaccini. Cosa che ha richiederà investimenti significativi. Alcuni paesi africani, come il Marocco o l’Algeria, sono già pronti. Anche il Sudafrica ha già annunciato la possibilità di sviluppare la propria capacità produttiva locale, così come l’Institut Pasteur in Senegal. E c’è n’è bisogno. Solo il 2% delle dosi disponibili in tutto il mondo è stato somministrato in Africa. Un tasso appena sceso all’1% a causa dei ritardi nelle consegne dall’India, Paese in preda a una grave crisi sanitaria.

Etiopia

Il parlamento etiope ha votato all’unanimità: il TPLF (ex partito al governo, maggioritario nel Tigray) e l’OLA (un gruppo armato oromo favorevole all’autodeterminazione del popolo Oromo, attivo nell’Etiopia occidentale) sono ora considerati gruppi terroristici. Le autorità li accusano di fomentare la violenza etnica, di indebolire l’autorità dello Stato federale, di armare, finanziare, addestrare e consigliare altri movimenti estremisti. Secondo il premier Abiy Ahmed, gli attacchi del TPLF e dell’OLA hanno fatto migliaia di vittime, sullo sfondo di un obiettivo politico, in particolare quello di ostacolare le riforme. Ma il testo approvato va oltre, poiché si applica a organizzazioni e individui che collaborano, hanno legami o relazioni con le idee e le azioni delle due organizzazioni.

Secondo i difensori dei diritti umani, questo testo potrebbe servire da pretesto per attaccare comunità o individui in modo arbitrario. L’OLA afferma di aver proposto il dialogo, ma che le autorità avevano scelto ” la via della distruzione per restare al potere “. Il gruppo Oromo ha quindi deciso di dichiarare una “guerra totale” alle autorità federali. Intanto l’Ethiopian Human Rights Commission, un’istituzione semi-pubblica guidata da un ex funzionario di Human Rights Watch, ha diffuso giovedì un rapporto secondo cui lo stato di diritto non è rispettato per i prigionieri nella regione di Oromia. L’istituzione esprime la sua “seria preoccupazione” per il trattamento dei detenuti. Dice di essere “allarmata” dalle condizioni di detenzione osservate e ritiene che “siano state commesse gravi violazioni dei diritti umani”.

Ciad

In Ciad, si profila oggi una giornata di alta tensione: il Coordinamento dei cittadini Wakit Tama invita a marce in tutto il paese per protestare contro le autorità di transizione istituite dopo la morte di Idriss Déby, quasi tre settimane fa: il Consiglio militare di transizione, guidato dal generale Mahamat Idriss Déby, figlio dell’ex presidente, e il governo da lui nominato per decreto. Il governo ha dichiarato ieri che le manifestazioni sono consentite a determinate condizioni, condizioni che di fatto rendono illegale qualsiasi manifestazione: il ministero della Sicurezza ha indicato di autorizzare le manifestazioni a condizione che il percorso sia stato annunciato, che siano sorvegliate e che sia stata presentata una richiesta con cinque giorni di anticipo, condizione, quest’ultima, che di fatto vieta la manifestazione odierna.
Il movimento Wakit Tama, denunciando una decisione “illegale ” presa da autorità “illegali”, annuncia di mantenere la marcia.

Intanto, il ministro della Difesa Daoud Yaya Brahim ha dichiarato giovedì in conferenza stampa che la situazione sarebbe “sotto pieno controllo” a Kanem: in questa provincia, i combattimenti hanno contrapposto le forze armate ciadiane contro i ribelli del Fronte per l’Alternanza e la Concordia in Ciad (Fact) dall’11 aprile, giorno delle elezioni presidenziali. E proprio qui avrebbe perso la vita in combattimento il presidente Idriss Déby. Secondo il ministro della Difesa, i ribelli del Fact sono “terroristi che non conoscono nemmeno il Ciad”, aggiungendo che la maggior parte proviene dalla Libia, dall’Europa o dall’Arabia Saudita. Il gruppo è dotato di armi pesanti e mezzi modernissimi.
Secondo la giustizia, 246 ribelli del Fact sono stati catturati e deferiti all’ufficio del procuratore di Ndjamena.

Niger

In Niger, un nuovo attacco ha ucciso 15 soldati e ne ha feriti altri quattro martedì 4 maggio, nella regione di Tillabéry, nell’ovest del Paese. Lo ha annunciato mercoledì il ministero della Difesa in un comunicato stampa. Si tratta del secondo grande attacco subito dalle forze armate nigerine in 4 giorni, che ha portato il bilancio a oltre 31 soldati uccisi.
Si tratta di una posizione dei soldati nigerini, che è stata presa di mira martedì, da “uomini pesantemente armati”, secondo il comunicato stampa. I soldati si trovavano allora nella regione di Intoussan, a pochi chilometri dal confine con il Mali.
Sabato, è nella regione di Tahoua, nel nord-est del Paese, che la Guardia Nazionale è caduta in un’imboscata. Sedici soldati sono stati uccisi e due veicoli portati via dai terroristi, secondo fonti della sicurezza.
Questi attacchi arrivano poche settimane dopo i massacri di Banibangou e Tilia, che in tutto hanno provocato più di 300 vittime civili, in queste stesse regioni di confine con il Mali.
A seguito di queste tragedie, il governo nigerino aveva aumentato i contingenti di stanza a Tillabéry, che fa parte della zona delle tre frontiere, dove a marzo erano stati schierati 1.200 soldati ciadiani sotto la bandiera del G5 Sahel. Nonostante ciò, il 2021 è già uno degli anni più letali che il Niger abbia conosciuto.

Somalia

La Somalia giovedì ha annunciato il ripristino delle relazioni diplomatiche con il Kenya dopo la mediazione del Qatar. La Somalia aveva tagliato i rapporti con il Kenya il 15 dicembre 2020 dopo aver accusato Nairobi di ingerenza nei suoi affari interni.
“I due governi concordano di mantenere relazioni amichevoli tra i due paesi sulla base dei principi di rispetto reciproco per la sovranità e l’integrità territoriale, non interferenza negli affari interni, uguaglianza, mutuo vantaggio e coesistenza pacifica”.
I due paesi sono anche in lotta sul loro confine marittimo, anche per il controllo di ingenti giacimenti di petrolio offshore. La controversia è dinanzi alla Corte internazionale di giustizia.

Si placa intanto anche la crisi politica somala: il presidente del Consiglio Mohamed Hussein Roble ha raggiunto mercoledì 5 maggio un accordo che consente di abbassare il livello di tensione nella capitale Mogadiscio tra la presidenza e l’opposizione. Le truppe ribelli che avevano preso posizione in città per sostenere gli oppositori del presidente uscente devono rientrare nelle loro caserme entro 48 ore. Mentre il presidente Farmajo è isolato, il suo capo del governo conquista un ruolo centrale nel periodo di transizione appena iniziato, grazie a questo accordo in 10 punti che, fra l’altro, evita sanzioni ai soldati ribelli a patto che entro ieri sera rientrassero nei ranghi, promette una riforma dell’esercito e annuncia un proprio decreto per vietare agli ufficiali di impegnare i propri soldati in lotte politiche.
Mohamed Hussein Roble ricopre il ruolo di premier dal 1 ° maggio, dopo gli scontri mortali avvenuti a Mogadiscio: a questo ingegnere di 57 anni, percepito come indipendente dal presidente e rispettato dalla comunità internazionale, spetterà il compito di organizzare le elezioni, sulla base dell’accordo quadro firmato lo scorso settembre.

Zimbabwe

La società civile dello Zimbabwe denuncia i tentativi del regime di modificare la Costituzione per consolidare il potere del capo di Stato Emmerson Mnangagwa, salito al potere nel 2017 dopo l’impeachment dell’ex presidente Robert Mugabe. Questa settimana, i membri del parlamento – sotto il controllo del partito al governo Zanu-PF – hanno approvato un emendamento costituzionale che consentirà al capo dello stato di esercitare un ulteriore controllo sulla magistratura. Ciò consentirà al Capo dello Stato di nominare da solo i principali magistrati del Paese.
Questo emendamento fa parte di una serie di modifiche supportate dal partito al governo, che consentirebbero, ad esempio, che il vicepresidente venga nominato e non più eletto, oppure di mantenere in carica magistrati in età pensionabile.
Per la società civile – che intende intraprendere azioni legali per bloccare questi emendamenti – queste modifiche alla Costituzione rappresentano un’ulteriore restrizione dello spazio democratico.

Burkina Faso

Il ministro della riconciliazione nazionale del Burkina Faso, Zéphirin Diabré, è ad Abidjan, in Costa d’Avorio, per incontrare l’ex presidente Blaise Compaoré, in esilio dal suo rovesciamento del potere nel 2014.
Questo incontro è il primo tra un ministro del governo di Roch Marc Kaboré e il suo predecessore, Blaise Compaoré. L’incontro tra il ministro della riconciliazione nazionale Zéphirin Diabré e l’ex capo di Stato Blaise Compaoré, secondo una fonte ad Abidjan, è avvenuto alla presenza del presidente ivoriano Alassane Ouattara.
Il tema principale discusso sarebbe stato il ritorno di Compaoré in Burkina Faso. Le due personalità hanno discusso anche della partecipazione dell’ex capo di Stato al processo di riconciliazione nazionale e al processo per l’uccisione di Thomas Sankara.
Ricordiamo infatti che in aprile si è conclusa l’inchiesta sull’assassinio di Thomas Sankara, 34 anni fa. L’inchiesta ha deferito il caso al tribunale militare di Ouagadougou. In tutto, 14 persone, tra cui lo stesso Blaise Compaoré, vengono perseguite per “complicità in omicidio” e “pericolo per la sicurezza dello Stato”. Ma Blaise Compaoré, che ha ottenuto la cittadinanza ivoriana, non può essere estradato.
Prosper Farama, l’avvocato della famiglia Sankara, ha commentato a RFI: “L’unica cosa che possiamo sperare da questo incontro è che il ministro possa convincere Compaoré ad andare davanti alla giustizia per l’imminente processo. Il nostro timore è che ci sarà una sorta di contrattazione, di trattare in nome della riconciliazione, a spese della giustizia.”

Uganda

Giovedì la Corte penale internazionale (CPI) ha condannato Dominic Ongwen, un bambino soldato ugandese diventato comandante dei brutali ribelli dell’Esercito di resistenza del Signore (LRA), a 25 anni di carcere per crimini di guerra e crimini contro l’umanità.
Dominic Ongwen, 45 anni, è stato condannato a febbraio per 61 capi d’accusa, inclusa la gravidanza forzata, che non era mai stata portata davanti alla Corte penale internazionale dell’Aia. È stato anche riconosciuto colpevole di omicidio, stupro, schiavitù sessuale e arruolamento di bambini soldato, tra le altre accuse.
Secondo la corte, Ongwen ha ordinato attacchi ai campi profughi all’inizio degli anni 2000 mentre prestava servizio come comandante dell’LRA, un gruppo armato guidato dal famigerato Joseph Kony, tutt’ora latitante.
Ongwen era stato condannato all’ergastolo, ma secondo l’accusa stessa il fatto che Ongwen fosse stato sequestrato dal gruppo ribelle quando aveva circa nove anni e trasformato poi in uno spietato ribelle gli garantiva una condanna minore e ha richiesto 20 anni di prigione.

“Questa circostanza distingue questo caso da tutti gli altri processati da questo tribunale”, aveva affermato Colin Black, un membro della squadra dell’accusa, all’udienza di condanna in aprile.
Dopo aver chiesto l’assoluzione durante il processo, sottolineando che l’imputato era stato lui stesso vittima della brutalità del gruppo ribelle, la difesa ha chiesto 10 anni di carcere per l’ex bambino soldato, soprannominato la “formica bianca”, durante questa udienza di condanna.
Le vittime, da parte loro, chiedevano l’ergastolo. Secondo le Nazioni Unite, l’LRA ha massacrato più di 100.000 persone e rapito 60.000 bambini con la violenza che si è diffusa in Sudan, Repubblica Democratica del Congo e Repubblica Centrafricana.
Ongwen, che si è arreso nel 2015, è il primo comandante dell’LRA ad essere processato dalla CPI. Il fondatore del gruppo, Joseph Kony, è latitante e oggetto di un mandato di cattura da parte del tribunale.

Mauritania

I parlamentari hanno presentato una denuncia per diffamazione contro l’ex presidente Mohamed Ould Abdel Aziz. Il 15 aprile, in un’intervista a Jeune Afrique, l’ex presidente Aziz ha accusato il Parlamento di aver ricevuto dal governo una tangente di 300 milioni di ouguiya, ovvero l’equivalente di quasi 700mila€ per votare la creazione di una commissione parlamentare d’inchiesta sulla sua gestione del paese tra il 2008 e il 2019.
Istituita nel gennaio dello scorso anno, la commissione ha prodotto un rapporto che travolge l’ex presidente. Per rispondere alle accuse di quest’ultimo, giovedì sera gli avvocati dei parlamentari hanno ospitato una conferenza stampa alla presenza dei deputati, che hanno qualificato “inammissibile” l’uscita dell’ex capo dello Stato contro il Parlamento.

Mozambico

Il capo della politica estera dell’UE, Josep Borrell, giovedì ha dichiarato di voler inviare una missione di addestramento militare in Mozambico “il prima possibile” per aiutare le autorità ad affrontare un’insurrezione jihadista.
Il Mozambico ha assistito a un’ondata di violenza jihadista che ha causato decine di migliaia di sfollati nel nord del Paese.
“Stiamo considerando una potenziale missione di addestramento dell’Unione europea”, ha detto Borrell dopo una riunione dei ministri della difesa dell’UE. “Spero che venga lanciata il prima possibile”, aggiungendo che l’ex potenza coloniale del Mozambico, il Portogallo, si è impegnato a fornire metà delle truppe e “ha già inviato in anticipo istruttori militari” che potrebbero essere incorporati in un’eventuale missione dell’UE.
“La volontà politica c’è e con un forte contributo del Portogallo spero che gli altri Stati membri saranno in grado di integrare l’intera forza”, ha detto Borrell.
La spinta per una missione militare per assistere il Mozambico è arrivata quando i ministri della difesa hanno avviato un dibattito sul rafforzamento delle capacità dell’Unione di rispondere rapidamente alle crisi, inclusa una proposta preliminare per creare una forza di reazione rapida di 5.000 persone.
Secondo Borrell l’iniziativa potrebbe rafforzare il peso globale dell’UE, ma è stata accolta con riluttanza da alcuni Stati membri. “Penso che sia positivo avere la capacità di intervenire immediatamente se si vuole davvero essere una potenza geopolitica”, ha detto Borrell. “Dovremmo essere in grado di agire velocemente quanto necessario”.

Marocco e Germania

Il Marocco ha richiamato giovedì il suo ambasciatore a Berlino, denunciando “atti ostili” da parte della Germania nei confronti del regno. Un’ulteriore complicazione nei rapporti diplomatici tra i due Paesi, in crisi dallo scorso marzo. Il Marocco aveva “sospeso ogni contatto” con l’ambasciata tedesca a Rabat, per “profonde incomprensioni” su varie questioni.
Questo giovedì il ministero degli Esteri marocchino è uscito dal suo silenzio per spiegarne le ragioni. Il tono del comunicato stampa è molto forte; indica il livello di tensione tra i due paesi. Secondo Rabat, la Germania ha accumulato posizioni ostili e “azioni di attacco” nei confronti degli interessi superiori del regno, che hanno spinto il richiamo dell’ambasciatore a Berlino “per consultazione”.

Il Marocco denuncia in primo luogo la posizione della Germania nei confronti della questione del Sahara Occidentale: “un atteggiamento negativo”, si legge nel comunicato. Denuncia anche un “attivismo antagonista” a seguito del riconoscimento della sovranità del Marocco su questo territorio da parte dell’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump.
Il ministero degli Esteri marocchino deplora inoltre la “continua determinazione” della Germania a combattere il ruolo regionale del Marocco, in particolare nel dossier libico. Rabat, che non è stato invitato alla conferenza di Berlino sul futuro della Libia nel gennaio 2020, non ha mai perdonato la Germania per questa decisione.
La Germania afferma di non essere stata informata in anticipo di questa decisione, di non aver compreso le accuse contenute in questo comunicato stampa e di aver dunque chiesto ” spiegazioni” alle autorità del Marocco.

Africa e libertà di stampa

Lunedì scorso si è celebrata la Giornata mondiale della libertà di stampa. Reporters sans Frontières ha stilato una classifica dei paesi africani: 23 paesi su 48 sono in rosso o nero sulla mappa, il che significa che la situazione dei giornalisti in questi paesi è ancora motivo di preoccupazione. Secondo Arnaud Froger, capo della sezione ‘Africa’ per RSF: “In quasi metà del continente, e qui stiamo parlando dell’Africa subsahariana, la situazione della libertà di stampa rimane preoccupante; le informazioni sono spesso bloccate; parzialmente o completamente. Ci sono restrizioni per impedire ai giornalisti di svolgere correttamente il loro lavoro, e in nei casi peggiori ci sono abusi, questo significa che i giornalisti vengono intimiditi, aggrediti, a volte arrestati arbitrariamente o addirittura uccisi”.

L’Africa resta il continente più violento nei confronti dei giornalisti, con più di trenta reporter uccisi negli ultimi cinque anni. C’è ancora un numero significativo di abusi in paesi come la Repubblica Democratica del Congo, la Nigeria, la Somalia. Sono paesi in cui ogni anno vengono denunciati più di cento casi di abusi contro giornalisti. Reporter Senza Frontiere ha indicato come uno dei posti peggiori per i giornalisti nel continente l’Algeria:, che ha perso 27 posizioni in sei anni ed è ora classificato al 146° posto nel mondo. Tra i paesi africani con le migliori prestazioni, c’è la Namibia, che ha mantenuto la leadership per il secondo anno consecutivo. Altri paesi in via di miglioramento includono il Ghana, le Seychelles e il Burundi: “In un Paese come il Burundi, che ha attraversato cinque o sei anni di crisi estrema, il suo nuovo presidente ha rilasciato e graziato quattro giornalisti detenuti da più di un anno, e ha avviato trattative per autorizzare i media che erano stati sospesi, sanzionati o addirittura chiusi durante la crisi. E anche se il paese rimane mal posizionato perché i problemi persistono, il Burundi è salito di tredici posizioni in un anno. Quindi la volontà politica è un fattore assolutamente determinante per il cambiamento”.

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