2021: un anno con l’America Latina | 1/2

Scritto da in data Dicembre 29, 2021

Che anno per l’America Latina! Contiamo gli ultimi giorni di questo 2021 e per accompagnarvi nel nuovo anno pieni di voglia di conoscere e, quindi, di continuare a seguire Radio Bullets, facciamo un riepilogo di alcuni avvenimenti, certo non tutti, successi in America Latina. 

Andremo secondo un ordine cronologico in base al paese di interesse ed entreremo nei fatti che hanno caratterizzato questo anno che sta per finire e che aprono al 2022. Divideremo il podcast in due puntate perché c’è veramente tanto da raccontare!

E allora partiamo!

 

Un podcast di Stefania Cingia. Editing audio Luca Massari.

Per un’esperienza più coinvolgente ascolta il podcast!

 

El Salvador: bukelizzazione e bitcoinizzazione

È uno dei paesi con più disuguaglianze in America Latina, dove tre presidenti antecedenti all’ultimo, Salvador Sánchez Cerén, sono fuggiti o sono stati incarcerati per la continua ruberia delle casse pubbliche; dove appena il 28% della popolazione dà importanza alla democrazia; dove per il 54% della gente vivere in democrazia o in dittatura è la stessa cosa. Il 28 febbraio 2021, però, il 50,25% delle persone con diritto di voto ha votato nelle elezioni per il rinnovo per i prossimi tre anni degli 84 seggi dell’Assemblea Legislativa, organo monocamerale del paese centroamericano. Gli elettori sono stati inoltre chiamati a scegliere i nuovi sindaci e consiglieri delle 262 municipalità che compongono la geografia, territorialmente meno estesa ma più densamente popolata, della regione mesoamericana. Con il 66% dei voti il partito Nuevas Ideas, quello del presidente Nayib Bukele, ha vinto come mai nessuno dall’avvento della democrazia nel 1992. I due partiti tradizionali, il Frente Farabundo Martì (FMNL) di sinistra e l’Alianza Nacional Republicana (Arena) di destra, sono stati sepolti dalla vittoria di Nuevas Ideas. Questi numeri significano una cosa sola: che Bukele non ha bisogno di nessuno e non deve negoziare con gli altri partiti. Sotto il suo controllo sono la procura generale, un terzo dei giudici della Corte Suprema e il procuratore generale dei diritti umani.

Il primo dicembre è stata la data che ha segnato la metà del mandato di cinque anni del presidente. Non è stato un cammino facile visto che, quando è salito al potere Bukele, El Salvador vantava il tasso di omicidi tra i più alti in America Latina, i diritti delle donne erano in pericolo per colpa di una legge anti aborto tra le più dure del mondo, e le vittime del conflitto armato stanno ancora aspettando giustizia e verità dagli accordi di pace del 1992. Invece di dare risposte, come tanti si aspettavano, Amnesty International dichiara una retrocessione astronomica dei diritti umani. Lo slogan del presidente “con me o contro di me” non lascia spazio a molti dubbi. Oggi a El Salvador c’è poco spazio per qualsiasi cosa che non sia appoggiare il presidente. Il diritto a esprimere una opinione e alla libertà di associazione, così come per le donne il diritto di decidere del proprio corpo, sono stati, nei migliori dei casi, ignorati.

La campagna di denigrazione di giornalisti e opinionisti indipendenti sembra una vera e propria «caccia alla persona»: in rete il presidente critica e minimizza il lavoro dei giornalisti e degli attivisti, tanto che molti oggi hanno paura a esprimere la propria opinione. Nel 2021 El Salvador ha perso 8 punti nella classifica della libertà di stampa di Reporter Senza Frontiere e almeno 23 giornalisti hanno denunciato di avere ragione di credere di essere sotto sorveglianza. 

Nell’ultimo anno Bukele ha rimosso i magistrati della Sala Costituzionale della Corte Suprema di Giustizia e il Procuratore generale della Repubblica. Questo è stato considerato da molti come un attacco all’accesso alla giustizia e alla sua indipendenza. Contestualmente è stato limitato l’accesso ai fondi per le organizzazioni per i diritti umani, sono stati chiusi i progetti di protezione per leaders sociali, attivisti e giornalisti, non esiste un sistema per aiutare nella ricerca delle persone scomparse o far sì che l’aborto sia accessibile. A settembre la Sala Costituzionale della Corte Suprema ha pubblicato un documento circa la possibilità del presidente di essere rieletto in maniera consecutiva, decisione che va contro la Costituzione del paese

Sulla superficie sembra che Bukele abbia un forte appoggio, grazie anche al suo lavoro in rete. El Salvador sembra un paese dove le cose funzionano, ma la realtà è ben diversa.

Fermiamoci a El Salvador per godere ancora della sua calda atmosfera. A mezzanotte dell’8 settembre, El Salvador diventa il primo paese al mondo a dare corso legale al Bitcoin, diventando moneta legale insieme al dollaro statunitense. 

 

La nuova legge permette ai cittadini di pagare in bitcoin beni, servizi e tasse. La legge consentirà inoltre la conversione automatica e istantanea tra bitcoin e dollari, in maniera tale che chiunque riceva un pagamento in cripto possa scambiarlo in dollari nel proprio portafoglio e, viceversa, nel caso voglia sentirsi libero di arginare il rischio di deprezzamenti improvvisi. La plusvalenza dello scambio di denaro inoltre non sarà soggetta a tassazione.

I cittadini possono scaricare gratuitamente l’App Chivo Wallet − dove Chivo sta per “figo” nello slang locale, e direi che dà benissimo l’idea di che tipo di comunicazione stia facendo il presidente − su cui sono già caricati l’equivalente di 30 dollari in bitcoin per invogliare le persone a fare acquisti. Sono stati installati 200 bancomat speciali Chivo che consentono di inserire dollari e ricevere bitcoin sul proprio smartphone. 

Tra voci a favore e voci contro, il presidente va avanti nella sua “bitcoinizzazione” del paese: a fine novembre Bukele annuncia che verrà costruita la prima “bitcoincity” del mondo, finanziata da obbligazioni garantite da cryptovaluta. La raccolta fondi comincerà nel 2022 tramite emissioni di obbligazioni. La città sorgerà nell’Est del paese, riceverà energia da un vulcano e non avrà altra tassazione se non quella dell’Iva.

 

Brasile: Lula assolto e Bolsonaro denunciato

A marzo la Corte Suprema del Brasile annuncia di aver annullato tutte le condanne per corruzione dell’ex presidente Luiz Inacio Lula da Silva, che potrebbe quindi candidarsi alle elezioni presidenziali del 2022 contro l’attuale presidente Bolsonaro. Il giudice ha invalidato le sentenze perché a emetterle era stato il tribunale federale di Curitiba, che a suo avviso non aveva la giurisdizione sul caso. Lula, 75 anni, si è sempre dichiarato innocente e vittima di una persecuzione politica da parte del pool dell’inchiesta ‘Lava Jato’ e dell’ex giudice Sergio Moro che, dopo aver condannato l’ex presidente-operaio, è diventato ministro della Giustizia del governo di Jair Bolsonaro.
La vicenda giudiziaria di Lula – spesso sospettata di essere politicamente motivata – inizia nel 2016 nell’ambito dell’Operacao Lava Jato, con l’accusa di aver ricevuto denaro dalla società petrolifera brasiliana Petrobras. Condannato nel 2017 a nove anni e mezzo di carcere e poi in appello a 13, dei quali 580 giorni scontati in carcere, era tornato in libertà in attesa di sentenza definitiva a fine 2019, quando la pena fu ridotta a otto anni e dieci mesi. La vicenda giudiziaria è stata spesso descritta dai difensori di Lula come un processo politico contro il leader del Partito dei Lavoratori (PT), che alla vigilia delle presidenziali del 2018 era in testa nei sondaggi. La notizia scuote il Brasile come un terremoto: le elezioni sono dietro l’angolo e Lula potrebbe decidere di ritornare in campo nella corsa alla presidenza.

Restiamo in Brasile, dove la credibilità dell’attuale presidente va via via diminuendo e le elezioni del 2022 sono sempre più vicine. A ottobre la Commissione di Inchiesta sulla Pandemia di Covid-19 del Senato brasiliano ha approvato le conclusioni di un’indagine in cui raccomanda l’incriminazione di Bolsonaro per nove reati legati alla sua gestione dell’emergenza, gestione che ha provocato più di 600.000 morti e che rende il Brasile il paese con il più alto numeri di morti da Covid dopo gli Stati Uniti. Nell’inchiesta si parla di “crimini contro l’umanità”, “prevaricazione”, “ciarlataneria”, “istigazione a delinquere” e “contaminazione di massa”. Al termine della votazione la Commissione ha osservato un minuto di silenzio per ricordare i connazionali deceduti per Covid.
La bozza dell’indagine, i cui dettagli sono stati resi noti dai media brasiliani, ipotizzava nove capi d’imputazione, tra cui crimini contro l’umanità, falsi documenti e genocidio contro i popoli indigeni. Bolsonaro aveva bollato l’indagine come politicamente motivata. Nella bozza del testo si poteva leggere che il governo avesse «deliberatamente esposto la popolazione a un concreto rischio d’infezione di massa», influenzato da un gruppo di consiglieri non ufficiali che sostenevano la ricerca dell’immunità di gregge. Durante i sei mesi d’indagini, i senatori hanno ottenuto migliaia di documenti e ascoltato la testimonianza di oltre 60 persone. Il rapporto raccomanda incriminazioni anche per una decina di alleati di Bolsonaro, membri ed ex membri della sua amministrazione.
A novembre un gruppo di giuristi brasiliani di sinistra ha denunciato Bolsonaro per crimini contro l’umanità durante la pandemia davanti alla Corte Penale de L’Aja.

 

Ecuador: la fine (ufficiale) del correismo

Nel nostro volo immaginario passiamo dal Brasile all’Ecuador. Il 7 febbraio si sono svolte le elezioni generali per l’elezione del presidente e il rinnovo dell’Assemblea Nazionale, contestualmente alle elezioni del Parlamento andino, il parlamento della comunità andina eletto da cinque paesi (Colombia, Ecuador, Bolivia, Cile e Perù) e che dura in carica 5 anni. L’11 aprile ha avuto luogo il secondo turno per l’elezione del presidente, che ha dato come vincitore il coservatore Guillermo Lasso. Il candidato di sinistra, Andrés Arauz, in netto vantaggio al primo turno, è stato sconfitto al ballottaggio arrivando al 47,64% dei voti.

 

Guillermo Lasso è un ex banchiere di 65 anni, già candidato presidente due volte, nel 2013 e nel 2017: aveva perso in entrambe le occasioni. Alla fine degli anni Novanta era stato governatore della provincia del Guayas, poi era stato nominato temporaneamente “super ministro” dell’Economia per gestire l’emergenza provocata da una gravissima crisi economica. Nel 2012 aveva fondato il suo partito Creando Opportunità (CREO), di orientamento liberale e conservatore.
Lasso è membro dell’organizzazione cattolica Opus Dei. Dopo l’annuncio della sua vittoria ha tenuto un discorso pubblico nel quale ha menzionato moltissime volte Dio – «Chiedo a Dio che ci dia pazienza e certezza per raggiungere la felicità degli ecuadoriani», «Che Dio benedica l’Ecuador», tra le altre – e ha chiarito che durante la sua presidenza non verrà legalizzato in alcun modo l’aborto. Con la salita di Lasso si chiude definitivamente il periodo correista, dal nome dell’ex presidente socialista Rafael Correa.

Il presidente ha assicurato che affronterà con responsabilità la sfida di “cambiare il suo paese” e che stimolerà l’economia aumentando gli investimenti esteri e la produzione di petrolio, la risorsa più importante dell’Ecuador. Il capo di Stato ha garantito che creerà 2 milioni di posti di lavoro, si impegnerà a espandere il settore agricolo attraverso prestiti a basso interesse e ridurrà progressivamente le tasse. Lasso ha intenzione di aumentare il salario minimo mensile degli ecuadoriani da 400 a 500 dollari e di accelerare il ritmo delle vaccinazioni al fine di immunizzare 9 milioni di persone nei primi 100 giorni della sua presidenza. Il paese latino-americano ha registrato almeno 419.000 casi di coronavirus e ha superato i 20.000 morti dall’inizio della pandemia, spingendo nella povertà un terzo della popolazione, composta da oltre 17 milioni di abitanti, e lasciando quasi mezzo milione di persone disoccupate.
Per quanto riguarda la politica estera, Lasso ha affermato che la sua priorità principale è quella di integrare l’Ecuador nel blocco commerciale dell’Alleanza del Pacifico, che attualmente comprende Cile, Perù, Colombia e Messico. «L’Ecuador dichiara che le sue porte sono aperte al commercio mondiale», ha chiarito il nuovo presidente del paese latino-americano. Vedremo come andrà.

 

Bolivia: il MAS conquista anche le città

Più di sette milioni di boliviani sono stati chiamati a eleggere 4.962 autorità locali, ossia governatori, vice-governatori, membri dell’assemblea dipartimentale, sindaci, consiglieri e altri rappresentati locali. Il Movimiento al Socialismo (MAS), partito fondato da Evo Morales, ha conquistato il primo posto nelle città di La Paz, Cochabamba, Oruro, Potosì, Pando e Chuquisaca.

Le destre hanno preso tre regioni, mentre le restanti sei hanno visto la vittoria dei candidati del MAS: questa volta il partito socialista ha conquistato non solo le campagne, ma anche le città.

 

Perù: un insegnante come presidente

E andiamo all’ultimo paese della prima parte di questo recap latino: il Perù. L’11 aprile si sono tenute le elezioni per la scelta del presidente e dei membri del Parlamento. Il secondo turno delle presidenziali si sono tenute il 6 giugno.
Per una manciata di voti ha vinto Pedro Castillo di Perù Libre, partito socialista di sinistra, contro Keiko Fujimori di Forza Popolare.
La sinistra campesina latinoamericana spera di poter ripartire da qui, da questo maestro campesino lontanissimo dai centri di potere e dalla politica, arrivato alla presidenza grazie alle riforme radicali proposte in campagna elettorale.
La sua vittoria non è stata riconosciuta immediatamente a livello internazionale perché “strana”, anche se nessuna anomalia è stata riscontrata nel procedimento elettorale.
Durante la sua campagna elettorale Castillo ha promesso una riforma agraria, maggiori investimenti pubblici e una riforma fiscale che miri a una economia con più presenza dello Stato. Bisognerà vedere se le promesse corrisponderanno a una realtà: come ministro dell’Economia è stato designato Pedro Francke, esponente della sinistra moderata nel gruppo parlamentare Insieme per il Perù, nomina che lascia intravedere come le riforme economiche probabilmente non saranno così radicali. Lui stesso ha dichiarato che il Governo punta ad aumentare le imposte alle grandi compagnie, per esempio quelle minerarie, ma che non avverranno espropriazioni, né nazionalizzazioni o controllo di prezzo.
Gli investimenti stranieri nel paese, criticati precedentemente, oggi gli risultano favorevoli e, anzi, è bene sottolineare che il Perù non sarà una nuova Cuba o Venezuela. Castillo e il suo Perù rimangono dentro a «un’economia popolare di mercato». Con quali risultati lo sapremo in futuro. 

Ed eccoci qua, arrivati alla fine di questa panoramica sugli avvenimenti che hanno caratterizzato l’America Latina nell’anno che si sta chiudendo. Se trovate che abbiamo mancato qualcosa, come sarà sicuramente, scriveteci e raddrizzeremo il tiro! Ci trovate sui social cercando Radio Bullets e anche scrivendoci direttamente in mail: vi ricordo la mia: stefania.cingia@radiobullets.com

Io vi aspetto a brevissimo, per volare sui restanti paesi dell’America Latina che ci stupiscono ogni giorno, fino all’ultimo minuto dell’anno! Ashata kashkaman! 

 

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