Colombia. Una mattina mi son svegliato.

Scritto da in data Maggio 14, 2021

Dal 28 aprile in Colombia uno sciopero nazionale si è trasformato in scontri, repressioni e violenza da parte dell’ESMAD e da parte di civili che sparano su civili. Abbiamo visto e ascoltato il terrore di chi sta vivendo una «paura nuova ogni giorno» e proviamo a raccontarvelo.

Un podacst di Stefania Cingia, editing audio Luca Massari.

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«Per favore, cancella tutto quello che ti ho mandato su Whatsapp e sentiamoci su Telegram».

Questo è l’ultimo messaggio che mi è arrivato su Whatsapp da parte di un ragazzo colombiano, poi ho aperto Telegram, che è stato inondato di video di quello che sta succedendo in Colombia e a Cali, nello specifico. Sono video del 10 di maggio, dove si vedono manifestanti indietreggiare senza dare le spalle davanti alla polizia in tenuta antisommossa per le strade di Cali. C’è fumo, si sentono spari, le urla dei manifestanti. Ci sono ragazzi per terra colpiti che vengono portati via di corsa dai compagni. Noi di Radio Bullets non siamo lì, ma sembra di stare lì.

Settimana scorsa parlavo con Valeria di quello che stava succedendo in Colombia. Lei è stata per anni in quella zona, proprio tra Cali e Pasto. Ha inoltrato il mio numero di telefono ai suoi contatti colombiani e da giorni mi arrivano numerosi video fatti con i cellulari in presa diretta su quello che sta succedendo. In ogni video si sente urlare la data e l’ora della ripresa, come chiesto dall’associazione Temblores per raccogliere tutti i contributi delle violenze. Quando chiedo più dettagli e informazioni, mi dicono di parlare per Telegram. Sono tutti numeri sconosciuti, ma tutti mi chiedono alla fine di diffondere il più possibile quello che sta succedendo e di non lasciarli soli. Tutti mi dicono che – riporto il messaggio per intero − «ci stanno ammazzando e stanno censurando la nostra situazione in rete a livello internazionale, danno l’immagine che si sta già risolvendo tutto, ma non è vero, ogni giorno è una paura diversa».

Secondo l’organizzazione Temblores che ha pubblicato un comunicato congiunto con Indepaz, l’Istituto di studio per lo sviluppo e la pace in Colombia, al 9 maggio si contano 47 persone assassinate dal 28 aprile, di cui 39 uccise per mano della polizia, e 36 dei casi di morte sono avvenuti a Cali. Riguardo alle modalità di uccisione, Temblores conta 34 uccisi con arma da fuoco, 2 schiacciati da un carro della squadra antisommossa della polizia, 2 morti per gas lacrimogeni e 3 con armi bianche (rimangono 6 casi senza informazioni). Insomma, un bollettino di guerra.

Proviamo a spiegare cosa sta succedendo e perché si è passati da uno sciopero nazionale indetto il 28 aprile agli spari sui manifestanti dei giorni seguenti e che continuano fino a ora.

https://twitter.com/Internl_Leaks/status/1392029839234781184

Se un popolo protesta e marcia in mezzo a una pandemia è perché il governo è più pericoloso del virus

Le mobilitazioni sociali in Colombia sono cresciute di anno in anno, tra una classe media impoverita e gli aumenti degli assassinii dei leaders sociali e ambientali (ne abbiamo parlato con Nevis Cadena a febbraio). Il 28 aprile i giovani e le donne sono scesi in piazza in decine di città della Colombia per manifestare contro la riforma tributaria voluta dal presidente Iván Duque. Le strade di Cali, Medellín, Buga, Bogotá, Pasto e di decine di altre città sono state inondate da persone, convocate dal Comitato Nazionale dello Sciopero della Colombia formato da sindacati e operai.

Il popolo colombiano si è mobilitato al grido di «Scioperare per avanzare, viva lo sciopero nazionale!» contro la legge nominata “Legge della Solidarietà Sostenibile”, progetto di riforma tributaria presentato dal ministro delle Finanze Alberto Carrasquilla davanti al Congresso della Nazione il 15 aprile.

Ma in cosa consiste questa riforma? La nuova legge vuole estendere la base dei contribuenti, cioè più persone dovrebbero pagare la tassa sul reddito, e tassare con l’iva al 19% i prodotti di prima necessità, nonché l’acqua, l’energia elettrica, il gas naturale, la telefonia pubblica, i servizi funebri e altri servizi fino a ora esentati da questa imposta. Tutto questo con l’intenzione di trovare 6.300 milioni di dollari tra il 2022 e il 2031 per riempire il buco fiscale causato dagli effetti negativi della pandemia.

Dall’altra parte, lo scontento sociale si è ravvivato con l’incremento della spesa del governo per comprare automobili nuove ufficiali e con l’intenzione di comprare aerei da guerra per un totale di 4.000 milioni di dollari, che è in pratica il 60% del totale che si vorrebbe recuperare con la riforma tributaria.

Capito, no? Si chiede al popolo di metterci del suo per rifinanziare un buco di miliardi di dollari con la stessa cifra che il governo intende spendere in auto di lusso e aerei da guerra.

Tutto questo in un contesto che la pandemia ha aggravato molto: la disoccupazione è aumentata del 18,1% a febbraio 2021 e quasi la metà dei 50 milioni di colombiani lavora nell’informale.

Gli antefatti

Lo sciopero nazionale del 28 aprile in realtà arriva da più lontano. Da novembre 2019 ci sono state varie manifestazioni contro la politica economica, sociale e ambientale del governo Duque, contro la non conformità degli accordi di pace con gli ex della FARC, contro gli assassinii dei leaders sociali e l’omicidio di Dilan Cruz, giovane studente di 18 anni ucciso da un proiettile di un agente della Squadra Mobile Antisommossa il 23 novembre 2019 durante una manifestazione a Bogotà, e contro la corruzione all’interno del governo colombiano.

Questa effervescenza sociale ha dovuto confrontarsi con la pandemia, che ha causato la sospensione delle manifestazioni e del dialogo con il governo portato avanti dal Comitato Nazionale dello Sciopero della Colombia. Nonostante la situazione di emergenza sanitaria, una nuova scintilla ha fatto ripartire le manifestazioni: a settembre 2020 l’assassinio da parte della polizia dell’avvocato Javier Ordoñez, un uomo di 45 anni che ha violato la quarantena ed è stato immobilizzato dalla polizia, pestato mentre era al suolo e sottomesso al teaser, morto in ospedale dopo essere stato portato in una centrale di polizia.

Le manifestazioni contro la brutalità della polizia sono proseguite per 14 giorni, seminando la rabbia, la paura, la frustrazione, la voglia di giustizia che hanno portato studenti, donne, uomini, persone indigene, afrodiscendenti, leaders sociali, sindacati, docenti, lavoratori, contadini, autisti, insomma tutti, ad aderire allo sciopero nazionale del 28 aprile. Quella era la prima giornata di sciopero, poi ne sono arrivate altre.

Quello che i video stanno mostrando in questi giorni, e abbiamo avuto la possibilità di postarne alcuni sulla pagina Facebook di Radio Bullets grazie a delle persone colombiane che stanno vivendo le repressioni, è gente che urla di notte in mezzo alla strada, spari vicini al microfono della videocamera, uomini portati via mentre qualcuno piange e grida «ha una pallottola nella testa». E proprio pallottole, gas lacrimogeni, cannoni ad acqua sono stati gli strumenti usati dalla polizia per provare a fermare queste proteste.

La Colombia ha vissuto molti momenti delicati nella sua storia, però oggi sembra stia percorrendo un percorso sconosciuto in tre ambiti: la protesta sociale, l’economia e la rappresentazione politica.

La copertura e il sostegno delle ultime proteste sociali sono stati senza precedenti. Lo sciopero indetto è arrivato in luoghi e in settori che prima non erano mai stati toccati e continua da giorni; l’alleanza operai-contadini-indigeni non è mai stata forte come oggi. La forza dello sciopero nazionale ha lasciato stupita la classe politica, che si credeva forte anche delle restrizioni del virus che proibivano assembramenti massivi. Le proteste sono riuscite a smuovere la situazione, dato che il presidente ha ritirato la legge tributaria e il ministro delle Finanze si è dimesso. Il 2 maggio Duque ha chiesto al congresso di non votare la proposta di legge di Carrasquilla, il quale ha dato le dimissioni il 3 maggio.

Dal punto di vista economico, la Colombia è uno stato con un’economia stabile e con meno recessioni nel Ventesimo secolo, però oggi la situazione è diversa. I buoni colombiani non hanno valore nel mercato internazionale, il peso, la moneta colombiana, è in svalutazione e per la prima volta la capacità di credito del paese è messa in dubbio. Il punto è trovare una legge che aiuti il paese a uscire dalla crisi, ma sarà difficile che non tocchi le imposte.

Infine, la politica: la Colombia è stata sempre considerata dall’esterno come una democrazia stabile. Però la classe politica odierna non è stata in grado di trovare soluzioni valide alla crisi. Il presidente Duque ha chiamato l’esercito per controllare la situazione, anche se molti sindaci si sono opposti. Quello che è montato tra le persone in piazza è qualcosa che sa di rivoluzionario, che ha reso evidente la sfiducia della gente nella classe politica. Sulla situazione politica della Colombia ci sarebbe moltissimo da dire, dall’accordo di pace del 2016 con i gruppi guerriglieri delle Farc al fatto che dagli anni Cinquanta destra e sinistra si danno il cambio a ogni elezione per garantire il bipartitismo.

Cosa sta succedendo ora

Ma quello che interessa capire a noi è cosa sta succedendo a Cali e perché è diventata l’epicentro della violenza. Il 3 maggio i residenti del quartiere Comuna 20, il più grande di Cali, hanno organizzato una fiaccolata in onore dei manifestanti uccisi nei cinque giorni di protesta precedenti. La celebrazione è stata fatta all’altezza della rotonda che connette il quartiere con il resto della città. Era un ambiente familiare, molto raccolto, come racconta uno dei leader sociali presenti. Alle 20.30 comincia a circolare la voce che la squadra antisommossa della polizia, l’ESMAD, stava arrivando. Poco dopo nei cieli di Cali è arrivato un elicottero che suonava l’inno nazionale e sparava una luce dall’alto come per cercare gente.

Da qui è cominciato uno scontro tra la gente e la polizia e i militari incappucciati che sparavano con armi semi automatiche e fucili.

Il governo attribuisce la violenza a infiltrati guerriglieri, a terroristi e a vandali che approfittano del caos per saccheggiare i negozi. Ma quello che mostrano i video è un’altra cosa: si tratta di polizia in tenuta antisommossa, gas lacrimogeni e spari, persone ferite e picchiate. La maggior parte dei civili vuole la fine della violenza, ma qualcuno si è messo a sparare dalla propria casa forse stimolato dal flusso di violenza, o forse perché alcune autorità locali hanno invitato la popolazione a prendere le armi contro i manifestanti e la polizia nazionale ha diffuso dichiarazioni stigmatizzanti nei confronti dei nativi minga. Cali conta un numero di armi maggiore rispetto ad altre città, forse perché si trova fra tre regioni toccate dal conflitto armato, il narcotraffico e il dislocamento interno: il Chocó, il Cauca e la Valle del Cauca.

Cali (Colombia), 10 maggio 2021, h. 14.30: un ferito a terra

Insomma, siamo nel caos e chi ci va di mezzo sono come al solito le persone, che siano di uno schieramento o di un altro. Il Papa il 10 maggio ha espresso parole di vicinanza al popolo colombiano, a Milano i colombiani sono scesi in piazza per gridare “S.O.S. Colombia”, a Bogotà i leader religiosi hanno incontrato Duque per rilanciare un appello a superare la crisi, Amnesty International condanna gli attacchi da parte di civili armati contro il Collettivo nativo Minga di Cali, additando il presidente come responsabile perché sostiene che le proteste hanno intenti terroristici.

La verità, in questo momento, è che nessuno sa come andrà a finire: se Duque si dimetterà, cosa mai successa prima, se verrà eletto un nuovo presidente che vada bene a tutte le fazioni, se la violenza si placherà o se, come temono in molti, ci sarà una escalation di violenza e una guerra civile. Noi continuiamo a tenere monitorata la situazione e a condividere quello che sta succedendo, sperando presto di scrivere che la violenza è terminata e che un miglioramento è all’orizzonte.

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