Femen, parola d’ordine: disobbedienza
Scritto da Julia Kalashnyk in data Ottobre 29, 2019
Foto: Archivio personale di Anna Allein
Le Femen
Radio Bullets fa due chiacchiere con Anna Allein, un’attivista Femen di vecchia data che fa parte del movimento dal 2009.
L’abbiamo incontrata in una Kyiv autunnale, quando la prima nebbia ovattata ricopre le strade della parte vecchia della città. Anna è alta, minuta, magrissima, sembra quasi elfica. Nei capelli porta un grande fiocco blu, molto scenografico e la gente si gira, comincia a bisbigliare qualcosa.
Anna invece, rimane impassibile e continua a fumare la sua sigaretta al mentolo.
Il suo approccio al femminismo è filosofico, pero in fondo è una rivoluzionaria. Trasuda disobbedienza. Ordina una sangria e ci dice che ora il femminismo è un trend globale nel mondo, e le Femen hanno contributo notevolmente che questo accadesse.
Il movimento Femen nasce in Ucraina in un periodo buio per i diritti delle donne. Con la sua filosofia rivoluzionaria, forte, il movimento aveva sdoganato il pensiero radicale femminista ucraino. Cosa è cambiato dagli albori della loro nascita fino a oggi, dunque?
Secondo Anna, il movimento ha dato un contributo globale alla ripresa della coscienza femminile nel mondo. In Ucraina, invece, è come se avesse ridato alle donne il diritto di disporre del proprio corpo, perché in una società patriarcale come quella ucraina, una donna è considerata un oggetto.
Il merito di Femen è che tante donne hanno potuto gridare “il mio corpo è affar mio“.
“Qui da noi gli uomini amano dire che una donna deve essere nuda solo nella camera da letto. No, una donna deve decidere da sola quando esserlo e perché”, ribatte fieramente.
Una sextremista può avere paura?
“Mi infangano ancora con parole violenti, ma non più come una volta. Prima mi chiedevano subito perché fossi nuda e poi spettegolavano.
All’epoca pensavo che bastasse avere una personalità forte per non preoccuparmi di ciò che la gente pensava. Poi ho capito cosa sono l’umiliazione e l’oppressione sociale”, risponde.
Anche la sua famiglia ha dovuto subire attacchi violenti da parte della gente: la madre della ragazza si è sentita tante volte domandare del perché la sua figlia sventolasse il seno nudo davanti al Parlamento ucraino.
Anna è cresciuta in una famiglia aperta e si è sempre sentita libera di poter esprimersi al meglio.
Nessuno le diceva cosa indossare, come truccarsi e chi frequentare. Forse per questo Anna crede profondamente nella libertà, crede che ogni persona, indipendentemente dal contesto in cui nasce, può diventare chiunque ed essere chiunque. Non tollera l’oppressione dei diritti umani, per lei manifestare ed esprimere liberamente la propria opinione è un diritto naturale.
L’inizio
Il movimento Anna aveva conosciuto per caso nel 2009, e a quei tempi non sapeva nemmeno cosa volesse dire il termine “femminismo”.
“E’ successo tutto spontaneamente. Una mia amica dell’università mi ha parlato di Femen, e sono andata a intervistarle. A quei tempi avevo già cominciato a scrivere su un piccolo giornale di provincia. Quando sono arrivata le Femen esistevano da almeno un paio d’anni”, ci racconta.
All’epoca le Femen erano le ragazze di diversa età che manifestavano, si riunivano una o due volte alla settimana, bevevano vino o vodka e parlavano di diritti delle donne. Anna è arrivata a intervistare le attiviste non sapendo ancora nulla sul tema, era solo attratta dalla lotta per i loro diritti.
“Quando sono arrivata io, l’argomento principale su qui puntavamo era la lotta contro la prostituzione e il turismo sessuale. Prima di tutto, contro il turismo sessuale”, ricorda Anna.
Il primo obiettivo di Femen era colpire questa industria e le performance sulle strade della capitale ucraina di allora erano dedicate proprio a questo argomento. Così nasce “L’Ucraina non è un bordello” – una delle azioni simbolo di Femen, con la quale hanno cominciato a denunciare il rischio che l’Ucraina si trasformasse in un Paese di prostitute.
Le performance
“All’inizio sono state delle vere performance, ci vestivamo in qualcosa di particolare, inventavamo delle sceneggiature. A quei tempi, nel gruppo c’erano molte persone diverse: chi veniva, chi se ne andava. Quello che contava davvero era l’idea”, ricorda Anna.
Anna alle sue azioni e performance si prepara sempre in una maniera consapevole e calcola bene tutti i rischi, sia giuridici sia quelli alla propria integrità fisica.
Una delle azioni molto difficile per lei è stata quella in cui ha dovuto salire sul monumento del principe Volodymyr, poiché c’era il rischio di cadere da cinque metri d’altezza e rimanere invalida per sempre. Il monumento è sempre sorvegliato, ci sono le telecamere ovunque che riprendono tutto il giorno. Non c’era tempo per poter portare una scaletta e fare delle prove.
Dopo l’inizio della guerra nell’Est del Paese le Femen si sono mobilitate anche sul versante politico. Una delle proteste simbolo, fatte da Anna, è quella sul territorio del Monastero delle Grotte di Kyiv, dove sulla ragazza è stato gettato un secchiello di sangue.
“Questa, penso, sia stata una protesta leggendaria, una delle mie migliori azioni. Era l’inizio della guerra nel Donbass, e noi eravamo al Monastero delle grotte di Kyiv, abbiamo ripreso la sfida del secchiello del ghiaccio. Era un’analogia, secondo cui Putin si cospargeva di sangue ucraino”, ci spiega Anna e ci confida che il sangue era quello di maiale, comprato a un bazar locale.
“Devi morire, sei una poco di buono”, queste sono le parole che Anna si è sentita urlare alla spalle da donne credenti che l’avevano inseguita dopo la performance.
Alle prese con la polizia
Le ragazze vengono quasi sempre fermate dalla polizia, ed quasi sempre risulta un’esperienza violenta, spiacevole.
“La parte più interessante comincia dopo che veniamo fermate dalla polizia. Partono subito le offese. Una volta un poliziotto mi ha dato della tossicodipendente, un’altro mi ha detto che sarebbe stato bello tagliarmi la testa e mandarla ai miei genitori. Qualcuno minacciava di portarmi nella foresta, come aveva fatto una volta Lukashenko in Bielorussia. E’ una storia famosa questa, quando sotto il regime di Lukashenko le attiviste Femen furono portate nella foresta”, ci confida a malincuore la ragazza.
Anna crede che sia meglio morire per la libertà che vivere come schiavi. Forse è troppo idealista, ma lo pensa sinceramente. Per qualcuno potrebbe sembrare stupido, pero per lei non è così. Non pensa a stare bene solo lei, ma a come costruire una società e una democrazia giusta. Ed è disposta a fare tanto per raggiungere il suo obiettivo.
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