Il governo Draghi: di nuovo un “tecnico” alla guida del paese

Scritto da in data Febbraio 22, 2021

L’editoriale di Pasquale Angius

La crisi dei partiti e della politica ha rimesso un “tecnico”, un economista, al governo del paese. Cosa ci dobbiamo aspettare?

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La crisi politica e il governo tecnico

Benito Mussolini una volta disse che «Governare gli italiani non è difficile, è inutile!». In effetti il tentativo di trasformare un popolo di individualisti tendenzialmente anarchici in “quadrate legioni” che, al passo dell’oca, rinverdissero i fasti bellici degli antichi romani era una pretesa oggettivamente eccessiva. Gli italiani sono incoercibili a qualunque regola perché ognuno di noi è convinto che le regole valgano sempre e soltanto per gli altri. Questa è allo stesso tempo la forza e la debolezza del nostro paese. La forza, perché il non essere troppo ligi alle regole lascia sempre spazio all’immaginazione, alla creatività, alla soluzione geniale che in molte circostanze si rivela efficace. Ma è allo stesso tempo la debolezza, perché le regole sono alla base di qualunque attività organizzata e, come noto, in Italia tutto si riesce a fare tranne che a organizzare qualcosa.

Questa caratteristica degli italiani manda fuori di testa gli stranieri, soprattutto se provengono da paesi molto ben organizzati come, per esempio, la Germania, ma allo stesso tempo rende gli italiani irresistibilmente simpatici. Tutti si domandano come fa un paese che sembra perennemente avvolto nel caos a essere comunque l’ottava potenza economica del pianeta; come fa un paese con un sistema politico perennemente instabile e un debito pubblico molto elevato a non finire in default; come fa un paese nel quale non funziona nulla, a essere uno dei paesi al mondo dove molti preferirebbero vivere.

Non cercheremo di dare risposte a queste fatidiche domande anche perché capire gli italiani è quasi altrettanto inutile che cercare di governarli.

Vogliamo soffermarci invece sulla recente crisi politica che ha portato alla nascita del governo Draghi. Di nuovo un economista alla guida di un governo, di nuovo un cosiddetto “tecnico” chiamato a risollevare le sorti della Repubblica di fronte all’incapacità del sistema dei partiti nel trovare soluzioni efficaci a una crisi politica in un momento molto complicato della vita del paese: la pandemia in pieno sviluppo, una devastante crisi economica, un piano di vaccinazioni che prosegue tra mille problemi.

Ora, già quando sentiamo la parola “tecnico” in Italia, dovremmo mettere mano alla pistola: non per niente ma perché dietro questo termine, storicamente, si sono fatte digerire all’opinione pubblica scelte politiche e, soprattutto, scelte di politica economica che tendevano a tutelare gli interessi di alcuni gruppi di potere a danno solitamente della gran parte dei cittadini. Chi fosse colto da momentanea smemoratezza vada un po’ a ripassarsi cosa combinò il famigerato governo tecnico del professor Mario Monti.

Per un paio di settimane abbiamo sentito elogiare Draghi come il migliore degli italiani, abbiamo letto che il nuovo governo sarebbe stato un governo di eccellenze, di alto profilo, di qualità, poi abbiamo letto i nomi dei ministri: Brunetta, Gelmini, Carfagna, Di Maio, Orlando, Guerini e via di seguito. Come l’alto profilo si accompagni ai cognomi che abbiamo letto resta un mistero, ma forse ci sfugge qualcosa.

Mario Draghi

Perfino i ritratti agiografici di Mario Draghi − al limite del culto della personalità − che con assoluto sprezzo del ridicolo abbiamo letto sulla stampa italiana nelle scorse settimane ci dovrebbero far riflettere, anche perché ne abbiamo letto spesso sugli stessi giornali che fino a qualche giorno prima esaltavano l’ex premier Conte, il suo grande consenso popolare, si parlava addirittura della nascita di un partito di Conte che avrebbe raggiunto, in caso di elezioni, tra il 10 e il 15%.

Per carità, Draghi è persona di grande talento e di sicure capacità, lo ha dimostrato per esempio nel ruolo di governatore della BCE quando con il suo «whatever it takes» ci salvò le terga e salvò anche l’euro. Ricordiamo. per chi ha periodici vuoti di memoria, che nel 2012 a far calare lo spread e la speculazione finanziaria che attaccava l’Italia non furono le politiche “lacrime e sangue” del professor Monti − quelle servirono per altre ragioni − ma l’avvio del programma di Quantitative Easing da parte della BCE guidata da Draghi e quel monito dato ai mercati con voce calma ma ferma: la BCE avrebbe fatto «whatever it takes», tutto quel che sarebbe stato necessario per salvare l’euro e, aggiunse sempre con tono calmo ma fermo: «And believe me, it will be enough» (e credetemi, basterà).

Ma nella carriera di Draghi ci sono anche dei momenti critici, come hanno riportato alcuni, a dire il vero pochi, giornali. Fu, in qualità di Direttore Generale del Tesoro, uno dei maggiori artefici del programma di privatizzazioni compiuto negli anni Novanta. Ma lì svolgeva una funzione tecnica, il piano non lo aveva deciso lui ma i politici. Successivamente come Governatore della Banca d’Italia pare abbia fatto un po’ di pasticci con i derivati che andavano molto di moda in quel periodo, e qualche incertezza ci fu anche nella gestione della crisi del Monte dei Paschi di Siena. Come Governatore della BCE riuscì nel difficile compito di tenere a bada i falchi teutonici ma nel 2015, quando scoppiò la crisi greca, non esitò a bloccare i finanziamenti ad Atene dopo la vittoria del referendum popolare che diceva no alle politiche di austerità imposte dall’Europa.

Le mosse di Renzi

Draghi è diventato Presidente del Consiglio di un governo che non è esattamente la collezione del “meglio” che il nostro paese potesse esprimere. Comunque, tutte le forze politiche si sono precipitate a mettere il loro cappello sulla scelta del Presidente Mattarella. Berlusconi ha ricordato di averlo nominato lui alla BCE e ha vantato la stima e l’amicizia che li legano. Grillo ha sostenuto che in fondo Draghi è un grillino. Il PD ha dichiarato che non poteva essere fatta scelta migliore. Persino Salvini, con doppio salto mortale, avvitamento e atterraggio in spaccata, ha dato la sua fiducia all’ultraeuropeista Draghi e sembra quasi diventato un buonista. Poi c’è Renzi, il quale continua a spacciarsi per un grande stratega che aveva previsto tutto e da mesi costruiva la tela per portare a Palazzo Chigi il migliore degli italiani. Ora, il caso Renzi ci lascia un po’ perplessi. Cerchiamo di capire la logica delle sue mosse, impresa quasi disperata perché abbiamo l’impressione che il più delle volte non la capisca nemmeno lui. Comunque proviamoci.

Renzi si presenta alla ribalta della scena politica italiana una decina di anni fa: è giovane, brillante, di belle speranze e soprattutto vuole riformare l’incartapecorita sinistra italiana. Vuole rottamare le vecchie nomenclature legate a concezioni antiquate e per far ciò si lancia nella scalata al PD. Riesce nel suo intento e porta il PD, sia pure in una tornata di elezioni europee, a sfiorare il 40% dei consensi, il massimo storico, poi riesce a diventare Presidente del Consiglio e da lì in poi si incarta in una serie continua di batoste politiche. Perde il referendum sulle riforme istituzionali, rimedia una figura barbina quando viene costretto dall’Europa ad applicare il “bail in” quando scoppiano le crisi di alcune banche locali − da Banca Etruria a Veneto Banca − facendo pagare ai risparmiatori italiani la dissennata gestione delle stesse da parte di proprietari e management. Riesce a far approvare una riforma elettorale che di fatto blocca il sistema politico, perde le elezioni del 2018 portando il PD al suo minimo storico, quindi rifiuta un’alleanza con i 5Stelle spingendoli nelle braccia della Lega edopo la caduta del Conte 1 riporta il PD al governo insieme ai grillini nel Conte 2. Ancora insoddisfatto decide di uscire dal PD e fondare un nuovo partito, Italia Viva, che però non sfonda elettoralmente e resta inchiodato, secondo i sondaggi, a consensi miseri. Poi quando arrivano i soldi del Recovery Fund scatena una crisi di governo rivendicando il suo ruolo di ago della bilancia. Tutti pensano che lo faccia − e la cosa politicamente è assolutamente legittima − per ottenere più posti di potere nel governo e poter decidere su come allocare quelle risorse. Lo ripetiamo, non si tratta di pretese anomale: compito dei partiti politici è anche quello di gestire il potere e che si pongano obiettivi del genere è del tutto legittimo. Il risultato finale dell’operazione è che Mattarella si stufa, chiama Draghi, Italia Viva e Renzi da ago della bilancia diventano, all’interno di una maggioranza di governo plebiscitaria, irrilevanti. Le destre tornano al governo del paese senza nemmeno bisogno di passare dalle elezioni. La cosiddetta sinistra − PD, 5Stelle e LEU − finiscono frantumati e divisi sulla fiducia al nuovo governo Draghi.

In tutto questo casino probabilmente ci siamo persi, ma in cosa sia consistita la genialità politica di Renzi sinceramente non lo abbiamo capito. Ma sicuramente è un nostro limite.

Il governo Conte bis

Non è che il governo Conte bis si faccia rimpiangere − è stato un governicchio senza infamia e senza lode che certamente ha dovuto affrontare uno dei momenti più critici della storia repubblicana, e questo va tenuto presente − ma abbiamo assistito anche a spettacoli più che indecorosi, semplicemente grotteschi. Facciamo qualche esempio, tra le migliori perle: i soldi spesi per i banchi a rotelle o per il bonus monopattini, oppure la più recente idea dei 1.500 gazebo con il logo della primula per le vaccinazioni con una spesa di circa 500 milioni di euro. Una altrettanto inspiegabile concentrazione di incarichi, poteri e funzioni sulle spalle del super commissario Domenico Arcuri, che manca solo che vada in giro a dire messa e dare l’acqua santa ai moribondi e poi ha svolto tutti i ruoli in commedia. Sarà, forse, efficientissimo ma avendo troppe cose da fare è difficile che le faccia tutte bene e soprattutto che le faccia con la dovuta attenzione, tanto è vero che, pare, non si sia accorto che tra i fornitori di mascherine e altro materiale sanitario si fossero insinuate anche bande di mariuoli. Il solito sottobosco di faccendieri, politicanti e sedicenti “imprenditori” che appena vedono l’opportunità di arricchirsi senza faticare troppo sfruttando le disgrazie altrui non perdono l’occasione. Anche stavolta abbiamo dovuto leggere intercettazioni di gente che auspicava la ripresa della pandemia in autunno per poter continuare a fare affari, come in altre occasioni avevamo letto intercettazioni di chi rideva sguaiatamente pensando ai soldi che avrebbe potuto fare con la ricostruzione dopo un terremoto.

Purtroppo, ce lo dobbiamo dire, gli italiani sono un popolo di poeti, santi, navigatori ma c’è anche una discreta percentuale di carogne e figli di buona donna. È bene esserne consapevoli, perché come diceva Alberto Sordi in un suo film: «Ormai hai 21 anni, è tempo che tu sappia di chi sei figlio!».

Ci auguriamo sinceramente, per il bene nostro e del paese, che Draghi riesca a combinare qualcosa di buono e quindi gli facciamo i migliori auguri, anche se altrettanto sinceramente ci restano diverse perplessità. E allora ci prendiamo, in conclusione, un po’ di confidenza e la briga di dare qualche piccolo suggerimento al nuovo Presidente del Consiglio. Gli scriviamo una piccola letterina, come si fa con Babbo Natale. Non abbiamo molta dimestichezza con queste cose perché a Babbo Natale non ci credevamo nemmeno da bambini, ma possiamo provarci.

La letterina a Mario Draghi

Caro Mario… cosa? È troppo confidenziale, ah ok… Allora egregio dottor, professor, governator, presidente Draghi… cosa? È troppo sussiegosa… ah ok… una cosa semplice, va bene… Egregio Presidente, io non è che sia scettico, anzi, ho sentito dire che lei vorrebbe fare una riforma fiscale sul modello danese. Ora, sono assolutamente d’accordo con lei, poi sa la Danimarca la conosco, è uno splendido paese, certo il clima è impossibile, fa freddo, c’è il vento, piove troppo ma per tutto il resto è un paradiso, si vive bene, sono ben organizzati, efficienti, poi è pieno di splendide ragazze, però quello che mi chiedo è: lei, dopo aver fatto la riforma su modello danese del fisco italiano, gliela va a spiegare anche ai signori di Agenzia delle Entrate Riscossione, gli ex Equitalia? Va lei a spiegargli che i contribuenti non sono soltanto limoni da spremere? Perché sa, a me è capitata recentemente una piccola disavventura… cosa? Non può occuparsi dei casi personali? Sì, sì, capisco… ma è per fare un esempio… allora mi è arrivata una cartella di Equitalia − o come si chiama adesso − in cui mi ingiungevano di pagare entro 60 giorni la seconda rata dell’IMU per una casa che ho al mare in Sud Italia, roba di cinque anni fa. Sa, io conservo tutto e quindi sono andato a trovare la ricevuta del versamento, mi sono presentato da Equitalia − o come si chiama adesso − e gli ho fatto vedere la ricevuta. Sa, in Danimarca se succedono cose del genere, l’impiegato prende atto, annulla la cartella e si scusa, invece sa cosa mi è successo? L’impiegato mi ha detto che dovevo rivolgermi all’ente impositore, cioè il Comune, loro si occupano solo di riscossione. Io ho provato a dirgli: «Ma non vi potete parlare tra di voi, siete tutti enti pubblici e la risolviamo subito?». Mi ha detto che no, non si poteva. Ho provato a sentire il Comune ma sa, l’impiegata che si occupa dei tributi prima era in ferie, poi in malattia, poi è finita incinta, per cui per non dover pagare di nuovo una cosa che avevo già pagato ho dovuto fare ricorso contro la cartella presso la Commissione Tributaria Provinciale. Due anni dopo mi hanno dato ragione e mi hanno anche riconosciuto un risarcimento di 300,00 euro per il tempo che mi hanno fatto perdere, ma sa… sì, sì, la faccio breve, non si preoccupi… Insomma il Comune a sua volta ha fatto ricorso presso la Commissione Tributaria Regionale, non ho capito il perché visto che avevo pagato e ma anche lì mi hanno dato ragione − certo dopo altri due anni − e hanno condannato il Comune a darmi un ulteriore risarcimento di 350,00 euro. Il problema è che il Comune quei risarcimenti non me li vuole pagare e il mio avvocato dice che se voglio quei soldi devo fare una causa al Comune e ci vogliono almeno 2.000,00 euro di avvocato per recuperarne 650,00 di risarcimento!

Ora, egregio Presidente, io questa situazione l’ho anche raccontata ad alcuni amici danesi i quali non mi credevano, uno mi detto: «Assurdo, ma non siete un paese europeo, siete un paese medievale!». Io non è per aver sfiducia nei suoi confronti, lei sicuramente è un’eccellenza italiana e si è circondato di gente di altissima qualità, e capisco anche che nella vita bisogna darsi obiettivi ambiziosi ma sa, avere come obiettivo il civilissimo Regno di Danimarca quando si parte dall’Impero assiro-babilonese, non è che lo scarto sia un po’ eccessivo?

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