La brusca frenata dell’economia cinese
Scritto da Pasquale Angius in data Settembre 18, 2023
La crisi del settore immobiliare in Cina e le ripercussioni sulla crescita economica: problema locale o rischio sistemico?
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La crisi della società Evergrande
Lo scorso 18 agosto l’azienda Evergrande, la maggiore società cinese del settore immobiliare, ha fatto ricorso al famoso Chapter 15 presso il Tribunale di Manhattan a New York. Molti mass media hanno erroneamente parlato di fallimento, altri, esagerando, l’hanno definita la “Lehman Brother’s cinese”. In realtà la società non è fallita ma ha fatto ricorso ad una procedura per chiedere la ristrutturazione del debito offshore, quello contratto sui mercati esteri ed evitare, in questo modo, un eventuale fallimento. La società era in difficoltà da un paio d’anni, gravata da una massa imponente di debiti, circa 340 miliardi di dollari ma in difficoltà è tutto il settore immobiliare cinese, con conseguenze negative sull’intera economia di quel Paese. Cerchiamo di capire le cause di questa crisi, le difficoltà più generali dell’economia cinese e le ripercussioni sull’economia internazionale.
Export e settore immobiliare: i due motori della crescita cinese
Negli ultimi decenni la crescita rutilante dell’economia cinese è stata spinta sostanzialmente da due motori:
- le esportazioni
- il settore immobiliare
A partire dalla fine degli anni Ottanta, con la crescente globalizzazione, la Cina ha attirato enormi investimenti esteri con aziende provenienti da tutto il mondo che delocalizzavano le loro produzioni in quel paese sfruttando i bassi salari, le scarse tutele per i lavoratori, le agevolazioni concesse dalle autorità locali per i nuovi insediamenti produttivi, le normative piuttosto lasche sulle questioni ambientali. In soli tre decenni la Cina si è trasformata da paese prevalentemente agricolo nella più grande potenza manifatturiera del pianeta. Oggigiorno la produzione industriale cinese è pari a quella di Stati Uniti ed Europa messi assieme. La Cina è quindi diventata la “fabbrica del mondo” che produce ed esporta in tutto il pianeta ogni sorta di beni. Ma lo sviluppo di questa produzione ha comportato, nell’arco di pochi decenni, anche una enorme migrazione interna con centinaia di milioni di persone che dalle campagne si sono riversate nei centri urbani, dove sorgevano le nuove fabbriche, o che dalle regioni più interne e periferiche si spostavano verso le più ricche e dinamiche regioni costiere. Un fenomeno simile a quello che avevamo conosciuto anche in Italia tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta, il periodo del boom economico, quando 5 milioni di persone dalle aree rurali o dalle regioni meridionali si spostarono verso le città e, soprattutto, verso le città industriali del Nord Ovest: Milano, Torino, Genova. Per rendersi conto di cosa sia avvenuto in Cina diamo alcuni numeri che ci danno la dimensione dei problemi, soprattutto se li rapportiamo ai numeri del nostro Paese.
Migrazioni interne e sviluppo del settore immobiliare
Nel 1998 la popolazione urbana cinese ammontava a 416 milioni di persone, nel 2021 era salita a 914, quindi in soli 23 anni la bellezza di quasi 500 milioni di cinesi si sono spostati dalle campagne nelle città. Soffermiamoci un attimo su questi numeri se vogliamo comprendere la dimensione dei problemi, in una ventina d’anni tra anni Cinquanta e anni Sessanta, ci furono 5 milioni di italiani che migrarono dalle campagne alle città contro 500 milioni di cinesi.
Questo enorme flusso migratorio ha comportato la necessità di costruire nuove abitazioni, negozi, fabbriche, uffici, centri commerciali, strade, ferrovie, metropolitane, parcheggi, ponti, sottopassaggi, cavalcavia e via di seguito. In un periodo di tempo brevissimo – un paio di decenni – lo skyline delle principali città cinesi è cambiato completamente. Selve di grattacieli sono sorte ovunque, intere nuove città sono state costruite da zero. In questi ultimi due decenni, quindi, il settore immobiliare è cresciuto costantemente. La società Evergrande di cui parlavamo all’inizio fu fondata nel 1997 ed è oggi una delle più grandi aziende del suo settore a livello mondiale.
Per più di tre decenni la crescita economica cinese è stata trainata dall’aumento costante delle esportazioni e dalla crescita del settore immobiliare. Per un periodo di tempo abbastanza lungo si sono quindi create una serie di circostanze, sia a livello internazionale che interno, particolarmente favorevoli e forse irripetibili. A livello internazionale gli Stati Uniti non si resero conto della potenziale minaccia cinese, prima indaffarati negli ultimi scampoli del confronto politico-militare con l’Unione Sovietica e poi distratti dalle cosiddette “guerre al terrore” contro quell’estremismo islamico che per decenni le agenzie di intelligence statunitensi avevano solleticato, coccolato ed armato, in funzione antisovietica, ma che, venuto a mancare il “Grande Satana” comunista, impiegarono pochissimo tempo per rivolgere le stesse armi a loro fornite dagli americani contro il “Grande Satana” occidentale. La Cina veniva vista dagli americani come un paese pragmatico, d’altronde aveva aperto le porte agli investimenti esteri, aveva adottato forme di liberalizzazione economica selvaggia, che forse suscitavano ammirazione e qualche invidia negli amministratori delegati delle grandi multinazionali e in molti politici occidentali che dovevano invece vedersela quotidianamente con i sindacati, le normative ambientali, la sicurezza sul lavoro e tutti quei fastidiosissimi “lacci e lacciuoli” che nei paesi più sviluppati si chiamano: democrazia, diritti dei lavoratori, tutele sociali. Inoltre i cinesi erano tanti, anzi tantissimi e non vedevano l’ora di consumare tutti quei meravigliosi beni che l’Occidente capitalista produceva. Questa previsione si rivelò in gran parte sbagliata perché i cinesi invece erano un popolo di formichine con tassi di risparmio elevatissimi, per ragioni culturali ma, soprattutto, per ragioni pratiche. In Cina non esisteva allora e non esiste tuttora un welfare state, uno stato sociale come lo conosciamo in Occidente. Non esiste in pratica l’assistenza sanitaria universale e gratuita, come non esiste un sistema pensionistico universale, come non esiste un sistema d’istruzione universale e gratuito. I cinesi sono costretti a risparmiare per pagarsi le cure mediche in caso di bisogno, per mandare i figli nelle scuole di un certo livello, per garantirsi una serena vecchiaia o per garantirla ai loro anziani genitori. Ma tutti questi risparmi nei decenni passati sono stati in gran parte investiti nel settore immobiliare. Cosa c’è di più sicuro dell’investire nel mattone? Una casa è qualcosa di reale, che si vede, che dura nel tempo e che, in caso di bisogno, può essere rivenduta. Quindi lo sviluppo del settore immobiliare cinese è stato sostenuto, negli anni passati, soprattutto dal flusso consistente del risparmio privato.
In secondo luogo, la crescita del settore è stata favorita dalle amministrazioni locali cinesi che dalle tasse sugli immobili e dalle concessioni sulle licenze edilizie incassano circa un terzo delle loro entrate. Le amministrazioni locali concedono con grande facilità nuovi permessi di costruzione perché ci guadagnano e quindi non fanno storie, non mettono intralci, non pongono ostacoli.
Allo stesso tempo il Governo cinese investe nella costruzione di grandi infrastrutture: porti, aeroporti, strade, ferrovie, reti tecnologiche, sia perché bisogna modernizzare il paese sia perché i forti avanzi della bilancia commerciale grazie alla crescita dell’export mettono a disposizione grandi quantità di capitali.
Si crea, quindi, negli ultimi tre decenni un meccanismo virtuoso che consente alla Cina di trasformarsi da un paese di contadini poveri nella seconda più grande potenza economica del pianeta dopo gli Stati Uniti.
Questo processo quasi ininterrotto viene messo in affanno nel 2008 con la crisi economica e finanziaria internazionale che però i Cinesi riescono ad affrontare con decisione e a superare in breve tempo.
La “Nuova Via della Seta”
Nel 2013 la Cina lancia la cosiddetta Belt and Road Initiative, quella che giornalisticamente è stata chiamata “Nuova via della seta”, una strategia che presenta diversi aspetti e diverse interpretazioni. Si tratta di un grande programma di investimenti infrastrutturali: strade, ferrovie, porti, aeroporti, gasdotti, oleodotti, con l’obiettivo di migliorare la cooperazione e i flussi commerciali su scala transcontinentale. Le direttrici verso cui si muovono queste nuove connessioni sono terrestri, attraverso l’Asia Centrale per raggiungere l’Europa e il Medio Oriente, ma anche marittime, muovendosi verso l’Oceano Indiano e il Mar Rosso, da un lato, e verso le isole del Pacifico, dall’altro.
Gli esperti di geopolitica sostengono che la ragione alla base di quella strategia sia la necessità, per una potenza continentale come la Cina, di sottrarsi all’abbraccio soffocante dell’altra grande potenza, gli Stati Uniti, che sono invece una potenza marittima la quale, con le sue flotte controlla gli accessi al mare della Cina e in caso di conflitto potrebbe soffocare le rotte commerciali del Paese. A nord, verso l’Artico, e ad est, verso il Pacifico, la Cina è circondata da paesi che sono stretti alleati degli Stati Uniti: la Corea del Sud, il Giappone, Taiwan, le Filippine. A sud, verso l’Oceano Indiano, c’è lo stretto di Malacca, bloccando il quale gli Stati Uniti potrebbero mettere in crisi gli approvvigionamenti energetici cinesi dal Medio Oriente, come le rotte delle esportazioni cinesi verso l’Africa e, attraverso Suez, verso l’Europa. La Cina quindi, essendo presa in una tenaglia, avrebbe la necessità di aprire nuove rotte commerciali attraverso il continente asiatico ma anche di rafforzare i rapporti economici e politici con la catena di paesi che dall’Indocina si estendono fino al Golfo Persico: Indonesia, Tailandia, Cambogia, Malesia, Myanmar, Pakistan, Sri Lanka. Resta fuori l’India con la quale ci sono diverse rivalità. La costruzione di nuove infrastrutture, dalle ferrovie, alle strade, ai porti in quei Paesi, opere finanziate e costruite dai cinesi, serve per rafforzare le rotte commerciali, rinsaldare i rapporti politici e migliorare le prospettive di crescita dei paesi aderenti.
Secondo molti economisti invece la strategia della “Nuova via della seta” più che da ragioni geopolitiche è stata motivata da ragioni economiche, cioè la necessità di continuare a spingere la crescita dell’economia cinese, quando cominciava a rallentare, incentivando la costruzione di nuove infrastrutture anche all’estero. Se la crescita del mercato immobiliare interno, dalle abitazioni alle infrastrutture, rallenta, si aprono nuove opportunità di investimento e di guadagno sui mercati esteri, grazie anche al forte sostegno del Governo cinese.
Entrambe le interpretazioni hanno una loro logica e, probabilmente, sono state entrambe alla base di quella strategia.
La “bolla” immobiliare
Ma nel 2020 arriva un nuovo problema che si chiama Covid-19, la pandemia rallenta la crescita economica cinese ma, soprattutto, gli effetti dei ripetuti lockdown, particolarmente rigidi in quel paese e durati, sia pure con fasi alterne, fino alla fine del 2022, quando furono rimossi a seguito di sempre più violente proteste popolari, causarono un calo consistente della domanda di nuove abitazioni. Attualmente in Cina ci sono la bellezza di 90 milioni di case sfitte o invendute, una quantità enorme anche per un paese di quelle dimensioni.
Prima che le aziende del settore si accorgessero del fatto che probabilmente la festa era finita e si stava creando un’enorme bolla immobiliare c’è voluto del tempo, anche perché è difficile frenare quella che era diventata una straordinaria macchinetta per fare soldi. Il settore immobiliare era cresciuto ininterrottamente per trent’anni, facendo guadagnare molti soldi agli imprenditori di quel settore ma facendo guadagnare anche i risparmiatori che investivano nel mattone e avevano visto aumentare costantemente il valore dei loro immobili, ma ci guadagnavano anche gli enti locali che potevano mantenere bassa la tassazione sui cittadini e incassare dalle concessioni edilizie, ma ci guadagnavano anche le banche che prestavano soldi alle società immobiliari.
La crisi della società Evergrande ha riportato all’attenzione dei media e dell’opinione pubblica le difficoltà che attualmente sta affrontando l’economia cinese che vanno ad aggiungersi alle difficoltà e ai rischi che sempre più si addensano sull’economia mondiale, ma di questo argomento ci occuperemo nella prossima puntata.
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