Spagna, a Melilla centinaia di bambini in condizioni inaccettabili
Scritto da Alice Corte in data Settembre 6, 2020
Una piattaforma di 68 organizzazioni spagnole per la tutela dell’infanzia ha chiesto che siano trasferiti bambine e bambini attualmente detenuti nel CETI (Centro di permanenza temporaneo per immigrati) di Melilla, enclave spagnola sulla costa marocchina.
I 143 minori nel CETI di Melilla
Secondo quanto riportato da El Salto, le organizzazioni di Plataforma de Infancia starebbero facendo pressioni sul ministro dell’Interno spagnolo, Fernando Grande-Marlaska Gómez, affinché si adoperi nel trasferimento di bambine e bambini e delle loro famiglie da Melilla alla penisola iberica. Sarebbero almeno 143 i minori che vivono nel CETI dell’enclave, ammassati in edifici che ospitano il doppio delle persone per cui sono stati costruiti. L’affollamento ha causato nei mesi scorsi proteste tra gli ospiti delle strutture, anche vista l’impossibilità di mantenere il distanziamento per prevenire infezioni da Covid-19.
Attualmente, vivono nel CETI 1.375 persone migranti, a fronte delle previste 782, e alla fine di agosto sono stati registrati alcuni casi di Coronavirus nella struttura, con l’isolamento di 40 persone. Dopo le proteste, che chiedevano anche l’arrivo di materiale sanitario, la risposta è stata principalmente quella di incrementare il controllo, aumentando il personale di sicurezza.
Plataforma de Infancia denuncia quindi lo stato di bambine e bambini, in un tale contesto sociale e sanitario, nonché l’assenza di sostegno educativo all’interno del centro. Segnalazioni peraltro già avvenute a marzo, all’inizio della diffusione del virus e avvalorate da una sentenza che il 24 marzo giudicava “sproporzionato e inefficace” il confinamento delle persone nel centro, laddove esistono soluzioni migliori. Sarebbe quindi lo stesso tribunale a suggerire il trasferimento delle persone detenute dall’enclave alla penisola iberica, in strutture con maggior capacità di accoglienza e che permettano di diminuire i rischi sanitari.
Ad aprile era stato invece il Defensor del Pueblo, organo costituzionale incaricato di vegliare sui diritti dei cittadini, a segnalare le gravi condizioni in cui bambine e bambini migranti si trovano a Melilla, visti anche i traumi subiti per la migrazione stessa, e a suggerire il trasferimento dei gruppi di persone vulnerabili dal CETI alla penisola iberica.
Una situazione difficile in tutta Europa
Va aggiunto che la situazione dei bambini e delle bambine migranti e rifugiati nel mondo è comunque molto vulnerabile ovunque. A maggio l’organizzazione di beneficenza Theirworld, nata nel 2002 per incentivare l’educazione delle generazioni future, denunciava la situazione dei minori non accompagnati nei campi per rifugiati in Grecia. Cinquemila, tra bambine e bambini, vi vivono infatti in situazioni pericolose e di sovraffollamento. Di questi, a maggio, solo 150 sono rientrati in programmi europei di ricollocamento (l’obiettivo è arrivare a 1.600), mentre gli altri si trovano nei campi, per lo più sulle isole greche. Nel solo campo di Moria, sull’isola di Lesbo, vivono 1.100 ragazze e ragazzi non accompagnati, per lo più maschi adolescenti.
Altro problema è quello della violenza di genere, che sulle minori non accompagnate, come segnalato da Unicef per la situazione italiana, rischia di essere esercitata sia durante la migrazione, sia all’arrivo in Europa. Inoltre, sebbene siano le ragazze a essere più colpite, anche i ragazzi possono essere abusati sessualmente lungo la rotta o al loro arrivo, come si legge nel rapporto Unicef stesso:
La violenza di genere è un elemento che caratterizza l’esperienza migratoria della maggior parte di donne e ragazze prima, durante e dopo il percorso migratorio. Spesso esse lasciano il proprio paese di origine per sfuggire a qualche forma di violenza, come un matrimonio precoce, abusi perpetrati dalle famiglie o dai partner o mutilazioni genitali femminili. Inoltre, sebbene tutte le rotte migratorie siano pericolose, la rotta del Mediterraneo centrale – quella che collega la Libia all’Italia – lo è in più di qualunque altra. A parità di condizioni, il rischio di subire violenze è maggiore per le minorenni che si spostano da sole, senza familiari al seguito. Inoltre, negli ultimi anni molti studi e rapporti, incluso quello di Women’s Refugee Commission (WRC), hanno messo in evidenza come anche uomini e ragazzi siano sottoposti ad alti livelli di violenza sessuale nel loro itinerario verso l’Italia. Le violenze vengono perpetrate all’interno dei centri di detenzione e delle prigioni clandestine in Libia, nei siti in cui si pratica lavoro forzato, ai posti di blocco a opera di gruppi armati, di bande criminali o di altri soggetti, e per finalità che vanno dall’estorsione di denaro alla punizione per comportamenti vietati, al puro piacere sadico, e che comportano spesso profonde crudeltà e torture psicologiche.
La situazione dei minori, migranti o rifugiati, presenta delle complessità ulteriori rispetto a quella degli adulti, su tutto il territorio europeo e non, complessità cui diverse organizzazioni stanno cercando di rispondere.
Foto di Daniele Napolitano, migranti a Bihac, Bosnia, gennaio 2020
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