Mediterraneo in barca

Scritto da in data Maggio 6, 2020

Un viaggio. La curiosità. Un reportage narrativo per Geoges Simenon. I migranti, le emozioni, il soccorso, un altro tipo di viaggio per il capo missione di “Mar Ionio” di Luca Casarini. Valentina Barile raccoglie due racconti di viaggio che definiscono una umanità senza confini, oppressa dalle velenose radici del potere.

Simenon nel Mediterraneo

Tra giugno e settembre 1934, George Simenon (scrittore belga in lingua francese) parte per l’esplorazione del Mediterraneo in barca a vela, riportando il suo viaggio in articoli scritti per il settimanale francese Marianne. Reportage narrativo pubblicato, poi, in Italia, da Adelphi, nel 2019.

Simenon è mosso dalla curiosità di conoscere i suoi inquilini del mare, una vastità che bagna popoli e culture differenti, che hanno in comune spezie, condimenti, temperature. E colore della pelle.

«Quando scende la notte, una chitarra sgrana qualche nota, timida sulle prime, e una voce ancora più timida le risponde. Non riusciamo più a vederci. Non ci conosciamo. Ma ci passiamo vino bianco da una barca all’altra. Si scorgono ombre che scavalcano i parapetti. Altre voci si uniscono alla prima». – da Mediterraneo in barca di George Simenon.

Gli uomini del mare, l’unica identità che li nomina. I pescatori tunisini, i mercanti che fanno avanti e indietro tra l’oriente e l’Europa e oltre, comitive in yacht dalla Costa Azzurra, uomini e donne che lasciano il Nord Africa per un futuro migliore, che non è sempre la ricerca della speranza, ma un rifugio per ripararsi dalle torture.

Cosa è il Mediterraneo?

Simenon prova a dare una definizione nei primi capitoli del suo diario e finirà raccontandoci che il Mare Nostrum è qualcosa di molto, molto vicino a ciò che vede Luca Casarini, ottantacinque anni dopo, quando, a capo della missione umana Mar Ionio, partirà per salvare vite umane al largo delle coste libiche. Azione che gli costerà un prezzo diverso dal primo, che attraversa il Mar Mediterraneo solo per esplorarlo.

Luca Casarini sarà accusato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina con il rifiuto di obbedire all’ordine imposto dalle autorità italiane di arrestare l’imbarcazione.

Sulle parole di George Simenon, di seguito riprese, chiedo a Casarini di continuare la definizione, parlandoci della sua missione.

«Il Mediterraneo è… è tutto quel che ho detto finora e tante altre cose. Sono le uova in conserva che dalla Turchia vanno in Spagna e i granchi che dall’Italia vanno in Russia. Sono i mercanti ebrei, armeni e greci che hanno bottega un po’ ovunque, a Barcellona, a Tangeri, a Messina, a Corinto, ad Alessandria. Sono tutte le imbarcazioni malandate che pullulano al largo delle coste greche, con i loro equipaggi sordidi ed eroici. Sono le torpediniere che l’Italia vende a tutti i suoi vicini dell’Est e che vengono consegnate in serie, come salsicce. Sono le isolette dalle pareti scoscese su cui cresce una vegetazione inaridita dal sole ma che diffonde nell’aria un profumo d’incenso. Sono i turisti sballottati da un monumento all’altro, a cui tutti vendono souvenir, birra tiepida e cartoline. È la gente che muore di fame alle pendici del Partenone e gli imbecilli che si suicidano a Montecarlo. Ma il Mediterraneo è soprattutto… »

Casarini nel Mediterraneo

«Eravamo con a bordo cinquanta persone salvate dal naufragio e ci stavamo dirigendo verso Lampedusa, ci ordinarono di spegnere i motori per farci stare fuori, per bloccarci fuori dalle acque territoriali e noi dicemmo di no, che non l’avremmo fatto perché dovevamo mettere in sicurezza le persone, equipaggio compreso. Fu anche quella missione che aprì di nuovo i porti italiani, dopo il periodo della famosa politica dei porti chiusi. Eravamo in quella missione, in quella nave, e mi ricordo che discutendo con il comandante, Pietro Marrone – io ero il capo missione, quindi, quando fai il capo missione in mare, insieme al comandante è un continuo scambio, un continuo ragionare sul cosa fare, passi molto tempo assieme in plancia, di giorno e di notte, ed è occasione anche chiaramente di discussione –, mi ricorderò sempre questa frase del comandante quando io gli sottolineavo l’irrazionalità delle politiche che stavano dietro all’omissione di soccorso nel Mediterraneo: nel trasformare il Mar Mediterraneo in una specie di frontiera liquida, mortifera, pericolosissima, nel renderlo un deserto anche dal punto di vista delle relazioni commerciali, nel far sì che diventasse una palude, non un mare, cioè un mare chiuso. E lui mi rispose nella sua infinita saggezza semplice:

“Ma Luca, ma che vuoi che ne capiscano di mare… questi vedono solo acqua!”.

Ecco, questa è una frase che, secondo me, rende tantissimo il fatto che…da dove si parte per dire che cosa è il Mediterraneo? Il Mediterraneo non è acqua. Il Mediterraneo è un organismo, è un mondo, è una cosa vivente, è una cosa – diciamo così – che è in movimento e mette in movimento. Quindi, non è solo per la presenza, naturalmente, di tutto ciò che vive nel Mediterraneo sotto la superficie, ma proprio la funzione che il Mediterraneo ha all’interno di questo quadrante europeo e, poi, anche chiaramente partendo dall’Europa, all’interno di una dimensione globale.

Il Mediterraneo veniva definito il grande Lago di Tiberiade perché è evidente che il Mediterraneo è un mare di scambio, per esempio, cioè un mare che ha sempre avuto una funzione legata al commercio e alle relazioni, alla migrazione, al mescolamento, al meticciato. Ha una funzione fondamentale nel suo essere percorso, sostanzialmente abitato dalle tribù costiere che poi sono accomunate non a caso da un monoteismo religioso, delle tre religioni che si affacciano sul Mediterraneo, che non è un caso, ovviamente.

Il Mediterraneo è anche il terreno, oggi, di sperimentazione – per quello che io ho potuto vedere – di sperimentazione di questa differenza tra terra e mare, di cui già ci parlava Smith, nel senso che il Mediterraneo è quel laboratorio di sperimentazione del tentativo proprio di trasformarlo, di interrarlo, di costruire un diritto del mare che sia in realtà in funzione della terra. Non è mai stato così, ed è questo il motivo per cui noi, quando ci muoviamo nel Mediterraneo, entriamo in una contraddizione, e risulta evidente che entriamo in una contraddizione perché appunto basti pensare che, ad esempio, noi affrontiamo il punto finale di un percorso migratorio, che quindi è un percorso migratorio ma che però ha a che fare con il soccorso in mare, ha a che fare con il naufragio, con il diritto del mare.

Ed è proprio quel punto di contraddizione tra terra e mare che viene utilizzato dalle persone per tentare di salvarsi. Le persone hanno individuato in quel punto una contraddizione, una contraddizione forse insanabile, o comunque non facilmente risolvibile, tra quello che è il diritto di terra e il diritto del mare».

Mentre i decreti legge nazionali vogliono il Mediterraneo come una frontiera invalicabile, il diritto del mare viene tutelato dalle convenzioni internazionali, come ad esempio, la convenzione del 1979 di Amburgo, che regola il soccorso in mare, per renderlo un luogo più sicuro.

Sappiamo, quindi, che il Mediterraneo non è una frontiera tra Sud e Nord del mondo.

Il Mediterraneo è un mare di mezzo che anticipa le acque oceaniche, che prepara l’uomo alla grande navigazione.

Foto di copertina: Photo by Yassine Khalfalli on Unsplash

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