Unhcr, nel 2020 record di rifugiati morti nel Golfo del Bengala: soprattutto donne e bambini

Scritto da in data Agosto 21, 2021

Il 2020 è stato l’anno che ha fatto registrare il più elevato numero di sempre di rifugiati morti nel corso di viaggi attraverso il golfo del Bengala e il mare delle Andamane. A dirlo è l’Unhcr.

La pandemia di Coronavirus «ha spinto numerosi stati del sudest asiatico a imporre restrizioni alle frontiere, decisione che ha portato a far rilevare il più alto numero di sempre di rifugiati naufragati in mare dalla crisi che ha segnato la regione nel 2015», si legge in una nota dell’Agenzia Onu per i Rifugiati.

Il nuovo rapporto dell’Unhcr “Left Adrift at Sea: Dangerous Journeys of Refugees Across the Bay of Bengal and Andaman Sea” (ovvero “Alla deriva: viaggi pericolosi di rifugiati attraverso il Golfo del Bengala e il Mare delle Andamane”), mette in risalto, inoltre, come circa i due terzi di coloro che tentano queste pericolose traversate siano donne e bambini.

«Questi viaggi mortali non rappresentano un fenomeno nuovo. Nell’arco dell’ultimo decennio, migliaia di rifugiati rohingya si sono imbarcati in fuga dallo Stato di Rakhine, in Myanmar, e dai campi rifugiati di Cox’s Bazar, in Bangladesh», racconta ancora l’Unhcr. «Alla radice di tali viaggi pericolosi vi è la condizione vissuta in Myanmar, dove i rohingya sono stati privati della cittadinanza e si sono visti negare diritti di base».

L’esodo rohingya

Per i rohingya che hanno trovato rifugio nei paesi confinanti, «restrizioni ai movimenti, necessità di procurarsi mezzi di sostentamento e desiderio di accedere all’istruzione rappresentano la spinta prioritaria a cercare di costruirsi un futuro altrove nella regione». Le ragioni sono molteplici, «spesso si sovrappongono, e comprendono anche l’aspirazione a ricongiungersi coi propri familiari».

I rischi sono aumentati notevolmente per quanti tentano di intraprendere il viaggio, dice ancora l’agenzia Onu. Delle 2.413 persone che è certo abbiano viaggiato nel 2020, 218 hanno perso la vita o risultano disperse in mare. «Questi dati testimoniano che i viaggi intrapresi nel 2020 sono stati 8 volte più letali rispetto a quelli del 2019».

A differenza del primo periodo, in cui le persone in viaggio erano soprattutto uomini, «la maggior parte di coloro che si imbarcano oggi è composta da donne e bambini, persone esposte a rischio ancora maggiore di divenire oggetto di abusi a opera dei trafficanti, durante tali viaggi. La loro odissea è stata resa peggiore dal fatto di non avere a disposizione alcun porto sicuro presso cui porre fine alle pericolose traversate».

Dall’anno scorso molte persone sono state abbandonate «per mesi su imbarcazioni inadatte alla navigazione, durante i quali sono cadute vittime di abusi a opera dei trafficanti, ammalandosi gravemente per la mancanza di cibo e acqua e sopportando le infide condizioni del mare, tra cui il calore ustionante, onde e temporali». E questi rischi «si sono protratti nelle occasioni in cui gli stati hanno “respinto” le imbarcazioni per impedire lo sbarco delle persone a bordo».

L’appello dell’Unhcr agli stati è quello di introdurre «operazioni di ricerca e soccorso di rifugiati alla deriva» e di autorizzarne lo sbarco in porti sicuri. Ma anche di mettersi al lavoro per l’istituzione di un meccanismo regionale che permetta di coordinare procedure di sbarco strutturate ed eque. Garantire «accesso alle procedure di asilo per le persone sbarcate», lavorare con l’agenzia dell’Onu e sostenere gli altri paesi della regione «affinché adottino misure di accoglienza dignitose e assicurino protezione e assistenza ai rifugiati sbarcati». E ancora affrontare «le cause alla radice dei movimenti marittimi di rifugiati, tra cui la necessità di ampliare le possibilità di accesso a canali di ingresso sicuri e regolari».

«Fino a quando gli stati affacciati sul mare delle Andamane e il Golfo del Bengala saranno riluttanti a soccorrere e far sbarcare le persone in mare alla deriva, l’inazione collettiva non farà che comportare conseguenze tragiche e fatali», dice nella prefazione al rapporto Indrika Ratwatte, Direttore Regionale UNHCR per Asia e Pacifico. «Possiamo e dobbiamo fare di più”.

Ascolta/leggi anche:

E se credete in un giornalismo indipendente, serio e che racconta dai posti, potete sostenerci andando su Sostienici


[There are no radio stations in the database]