7 luglio 2020 – Notiziario in genere
Scritto da Angela Gennaro in data Luglio 7, 2020
Perché così tante donne ancora prendono il cognome del marito? Il caso di Inghilterra e Norvegia. Usa: sequestrate extension fatte in campi di lavoro in Cina. Putin deride la bandiera Lgbtq esposta dall’ambasciata americana a Mosca. Israele, diminuisce la durata della leva obbligatoria (solo per gli uomini). In Kenya al via un’indagine sull’aumento della violenza contro donne e ragazze durante la pandemia di Coronavirus.
Perché così tante donne ancora prendono il cognome del marito?
In Gran Bretagna quasi tutte le donne sposate – quasi il 90% secondo un sondaggio del 2016 citato da The Conversation – abbandonano il proprio cognome per prendere quello del marito.
Dall’indagine è emerso che ha scelto di farlo anche la maggior parte delle donne più giovani – di età compresa tra i 18 e i 34 anni. Ci sono donne che – sbagliandosi – credono che sia un obbligo legale. E lo stesso scenario, scrive Simon Duncan, professore emerito in Social Policy all’Università di Bradford, si ripropone nella maggior parte dei paesi dell’Europa occidentale e degli Stati Uniti.
Un cambiamento nell’identità delle donne che emerge dalla storia patriarcale in cui le mogli non avevano cognomi se non quello di essere identificate con “moglie di X”. La moglie era di proprietà del marito e fino alla fine del XIX secolo, le donne in Inghilterra cedevano ai mariti col matrimonio tutti i diritti di proprietà e da genitori.
New brides on why they chose to take their husband’s surname after marriage. https://t.co/WYBKarZDOP
— The Conversation (@ConversationUK) July 6, 2020
Ecco allora che Duncan si chiede come una pratica nata dalla subordinazione delle donne agli uomini sia rimasta così radicata in un’epoca ormai di emancipazione delle donne. Nell’ambito della ricerca sociologica dal titolo Comprendere la tradizione: il cambio del cognome con quello del marito in Gran Bretagna e Norvegia, Duncan racconta l’aver intervistato donne e uomini in procinto di sposarsi o freschi di matrimonio appunto in Inghilterra e Norvegia. La Norvegia peraltro, nota il docente, è un caso interessante per fare un confronto. Si classifica regolarmente tra i primi quattro paesi al mondo per l’uguaglianza di genere, ma la maggior parte delle mogli norvegesi prende ancora il nome del marito.
E allora? Allora il potere patriarcale non è scomparso. In Inghilterra, per esempio, alcuni mariti hanno subordinato il matrimonio al fatto che la moglie ne prendesse il cognome. “In realtà non volevo cambiare il mio nome ma … ha detto che se non lo avessi fatto, non avrebbe avuto senso sposarsi… Ha detto che il matrimonio non avrebbe significato niente”, racconta una donna intervistata nell’ambito della ricerca, Mandy.
"Taking a husband’s name has emerged from patriarchal history where wives had no surname except 'wife of X'. The wife was the husband’s possession and right up to the late 19th-century, women in England ceded all property and parental rights to husbands on marriage."-Simon Duncan
— Amy Diehl, Ph.D. (@amydiehl) July 6, 2020
Più spesso, semplicemente, viene dato come un fatto scontato. “È tradizionale e convenzionale”, risponde Eleanor. È “la cosa giusta da fare”, dice Lucy. “Prenderò il cognome del mio compagno e rispetterò i miei voti”, spiega Jess. “Abbiamo scoperto tuttavia – racconta ancora il professor Duncan – che in Norvegia, dove la maggior parte delle donne mantiene il proprio nome come cognome secondario, in mezzo, per preservare la propria identità, i punti di vista esposti sono diversi.
Per alcune donne inglesi, assumere il cognome del marito non era solo un fatto assunto e indiscusso, ma era qualcosa di atteso con impazienza. Come diceva Abigail, “Non vedo l’ora di essere una moglie e di cambiare il mio cognome”. Per Adele “è bello poter dire ‘marito’ e prendere il nome di qualcun altro e chiamarsi ‘signora’”.
Putin deride la bandiera Lgbt esposta dall’ambasciata Usa
Ve ne abbiamo parlato la scorsa settimana: l’ambasciata americana in Russia ha esposto la bandiera arcobaleno simbolo dell’orgoglio Lgbt il 25 giugno, anniversario della sua prima apparizione come simbolo dell’orgoglio gay nel 1978, ma anche primo dei sette giorni di voto per la riforma costituzionale voluta da Vladimir Putin che, tra le altre cose, definisce il matrimonio come “unione tra un uomo e una donna” promuovendo a livello costituzionale il divieto dei matrimoni omosessuali – riforma approvata tra accuse di brogli e di voto non libero.
Un gesto, quello dell’esposizione della bandiera, che era già stato criticato dal Cremlino e che Vladimir Putin ha deriso suggerendo che rifletta l’orientamento sessuale dei diplomatici Usa. “Chi lavora in quell’edificio?”, ha chiesto Putin a un senatore durante una video-conferenza trasmessa in tv. “Americani”, ha risposto il parlamentare. “Lasciamoli celebrare”, ha replicato Putin con un sorriso. “Hanno mostrato un certo qualcosa sulle persone che lavorano lì”.
Russian President Vladimir Putin mocked the U.S. embassy in Moscow for flying a rainbow flag to celebrate #LGBTQ rights, suggesting it reflected the sexual orientation of its staff.https://t.co/mXa0hlQs5d
— NBC Out (@NBCOUT) July 5, 2020
Usa: sequestrate extension fatte in campi di lavoro in Cina
I funzionari dell’US Customs and Border Protection hanno sequestrato 13 tonnellate di prodotti per capelli nei porti di New York e New Jersey che sarebbero stati fabbricati dai musulmani detenuti nei campi di lavoro forzato nello Xinjiang, in Cina. Si tratta – secondo i media Usa – di extension realizzate con capelli umani e altri prodotti per un valore stimato di circa 800mila dollari. “La produzione di questi beni costituisce una violazione dei diritti umani molto grave, e il sequestro ha lo scopo di inviare un messaggio chiaro e diretto a tutti coloro che cercano di fare affari negli Stati Uniti, ossia che le pratiche illecite e disumane non saranno tollerate nelle catene di approvvigionamento”, dice Brenda Smith, vice commissaria dell’Ufficio del commercio del Customs and Border Protection.
#extensions gefällig?
1/2 #USA beschlagnahmen fast zwölf Tonnen Menschenhaar aus China.
US-Bundesbehörden haben e Lieferung von Haarteilen u anderen Schönheitsaccessoires beschlagnahmt, die mögl. aus Internierungslagern in #China stammen. 11,8 Tonnen Produkte a menschlichem Haar pic.twitter.com/HjjoDb1g21— Glory ⚫⚪ (@White87Knight) July 3, 2020
È la seconda volta quest’anno che la dogana Usa esegue un ordine di sequestro sulle spedizioni di prodotti per capelli dalla Cina, basandosi sul sospetto che vengano prodotti in violazione dei diritti umani. Rushan Abbas, attivista americano uiguro la cui sorella è scomparsa in Cina quasi due anni fa e si ritiene che sia rinchiusa in un campo di detenzione, ha detto che le donne che usano le extension dovrebbero pensare a quale potrebbe essere l’origine di questi prodotti. “È straziante per noi”, dice. “Voglio che la gente pensi alle persone in schiavitù. Mia sorella è seduta da qualche parte costretta a fare cosa, extension di capelli?”. Le spedizioni sequestrate sono state inviate da esportatori che si trovano nella regione dello Xinjiang, nella parte occidentale della Cina, dove negli ultimi quattro anni il governo ha arrestato circa un milione di minoranze etniche turche.
Israele, diminuisce la durata della leva obbligatoria (solo per gli uomini)
Il servizio militare obbligatorio per gli uomini in Israele passa da 32 a 30 mesi. Per le donne invece la durata resta invariata, di 24 mesi. A dirlo l’esercito in applicazione di una legge approvata nel 2016 che aveva già tagliato il precedente lasso di tempo di servizio portandolo da 36 a 32 mesi. Per le donne il servizio obbligatorio resta quindi a due anni, a meno che non siano impegnate in unità che richiedono ulteriori periodi.
Kenya
Il presidente del Kenya ha ordinato un’indagine sulle crescenti notizie di violenze contro donne e ragazze – inclusi stupro, violenza domestica, mutilazioni genitali femminili (MGF) e matrimonio infantile – a seguito delle restrizioni provocate dal Coronavirus. Le chiusure decise per frenare la diffusione di Covid-19 hanno alimentato un’impennata della violenza di genere in tutto il mondo, con donne e ragazze più isolate e vulnerabili agli abusi e allo sfruttamento, affermano gli attivisti e le attiviste per i diritti delle donne.
Non ci sono statistiche ufficiali sul numero di casi di violenza contro donne e ragazze in Kenya, scrive Reuters, ma le chiamate ai numeri di assistenza sono aumentate di oltre 10 volte da quando sono state imposte misure di blocco a fine marzo. Uhuru Kenyatta ha affermato di essere preoccupato per le “crescenti tensioni” all’interno della casa, rilevando che la violenza di genere è aumentata, i problemi di salute mentale sono peggiorati e i casi di gravidanza adolescenziale sono aumentati.
“Dobbiamo sempre ricordare che la famiglia è una proiezione dello stato. Se la famiglia è sotto attacco, lo stato è sotto attacco. Se la famiglia è debole, il paese è debole “, ha detto Kenyatta in un discorso televisivo. “Pertanto … ordino al National Crime Research Center di sondare i casi crescenti di violenza di genere (e) la preoccupante tendenza dei casi in cui bambine e ragazze vengono rese inermi”.
The rise in violence against women during #coronavirus is terrifying – and the domino effects on families, women at work, mental health. See our story by @nitabhalla on Kenya ordering a probe into rise in violence against women and girls during pandemic. https://t.co/FNX82VgQjF
— Belinda Goldsmith (@BeeGoldsmith) July 6, 2020
In copertina Unsplash/Sandy Millar
Ti potrebbe interessare anche:
- La terra promessa di Barbara Schiavulli
- Ucciso a Vienna, critico del leader ceceno di Julia Kalashnyk
- La storia dell’igumeno ribelle di Julia Kalashnyk
- EstraDati: No DAD? A scuola per posta di Massimo Sollazzini
- Un libro sul comodino: I ragazzi hanno grandi sogni, di Valentina Barile
- Le canzoni in onore di George Floyd
- Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza sessuale dai conflitti
- Lockwine di Massimo Sollazzini
- La leggenda di Mrs. Macquarie per la rubrica Vieni via con me di Valentina Ruozi
- Lastesis, donne e lotta sociale in Cile di Valentina Barile
- Mario D’Agata – Il canto del gallo per la rubrica Sportcast di Giuliano Terenzi
- Bambini ucraini tra guerra e pandemia di Julia Kalashnyk
- 89 -1004 defunding police di Massimo Sollazzini
- Il notiziario di oggi
E se credete in un giornalismo indipendente, serio e che racconta dai posti, potete sostenerci andando su Sostienici