Due voci per “Amatissima” di Toni Morrison
Scritto da Le Funambole in data Novembre 12, 2020
Il nuovo ciclo della rubrica di recensioni e divagazioni letterarie “Ma tu, che leggi?” viene inaugurato da una puntata a due voci dedicata a una scrittrice immensa, Toni Morrison, Premio Nobel per la letteratura nel 1993.
Una donna con dei capelli da dea e una capacità di narrazione unica, così ce la presenta Federica Scrollini, che mi fa compagnia durante questa breve incursione nelle pagine di quello che probabilmente è il romanzo più citato e conosciuto di Morrison, Amatissima, del 1987.
Amatissima è un testo doloroso e denso che ci mette davanti alla capacità che l’essere umano possiede di esercitare sistematicamente violenza, annientandone un altro o un’altra in piena lucidità. Il disastro identitario che la schiavitù e la segregazione razziale hanno procurato in milioni di persone vengono narrati assumendo e restituendo tutto il peso del dolore materiale e simbolico di queste esperienza: «Liberarsi era una cosa, rivendicare la proprietà di quell’io liberato un’altra».
La narrazione dunque non si incentra solo sulla rivendicazione dei propri diritti umani e civili, la questione politica e quella identitaria si fondono in profondità e senza lasciare a chi legge la possibilità di sottrarsi alla complessità che l’intreccio di questi piani inevitabilmente comporta. Amatissima è un romanzo con un elevato potere trasformativo su chi lo legge, è una storia attraverso la quale non si può passare restando indifferenti: la sua voce dolce e profonda chiama e confonde, trascina in un universo di simboli e di gesti concreti, di fruste e alberi che germogliano.
Quella di Toni Morrison è una storia di inchiostro e sangue, di amore e disperazione, fatta di memoria incandescente: «It was not a story to pass on» scrive nelle ultime pagine l’autrice. Non era una storia da tramandare, non era una storia da tralasciare: in questo doppio senso, che racchiude tutto lo sforzo narrativo e umano della scrittrice e della protagonista, si cela la potenza di una narrazione che non lascia spazio al perdono, al caso, alla sfortuna: «Non è la sfortuna, è l’uomo bianco».
In copertina John Mathew Smith (celebrity-photos.com) From Enoch Pratt Library January 29, 1998 © copyright John Mathew Smith 2001
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