Charlie Chaplin nel mirino dei talebani

Scritto da in data Ottobre 9, 2021

Quando lo incontrammo tre anni fa, era un ragazzo felice. La vita non era facile ma faceva quello che amava. E riuscire a fare quello che si ama in un posto come l’Afghanistan non è da tutti. Era una star. Un milione di visualizzazioni su YouTube, spettacoli a Kabul e nel resto del paese. Nelle scuole, negli hotel, per le strade.
La goffa camminata. La bombetta, il sorriso amaro, gli occhi vispi, i baffetti e quel bastone che fa girare come nessuno al mondo. Inconfondibile. Inarrestabile. I ragazzini quando lo vedevano prima lo guardavano con occhi sgranati per poi scoppiare in fragorose risate.
Non ha mai potuto abbassare la guardia per un momento perché gli artisti sono sempre stati nel mirino dei talebani, ma comunque faceva. Anche perché, come si potrebbe resistere al Charlie Chaplin dell’Afghanistan?

Sono passati tre anni appunto. E niente è come prima. Charlie Chaplin non fa per niente ridere i talebani che hanno conquistato il paese e dal 15 agosto governano mostrando una faccia accomodante all’occidente e un ghigno feroce alla gente. Gli artisti, le donne, gli attivisti, i giornalisti sono un bersaglio dei fondamentalisti e lui, come chiunque altro qui, non può più restare. Prima di incontrarci, dopo un paio di messaggi via whatsapp, ci chiede una foto, gli mando quella che avevamo fatto insieme. Si rilassa, chiunque potrebbe essere una trappola.

«Il 15 agosto ero all’università, discutevo la mia tesi alla facoltà di Arte all’Università di Kabul quando nel bel mezzo è arrivata la notizia che Kabul si era arresa e i talebani stavano entrando. Mi si è fermato il cuore, nessuno capiva più nulla, sono tutti scappati, fuori non si trovava neanche un taxi. Quel giorno tutto quello che sono, l’attore che sono diventato, è morto». Era già pronta una cattedra per lui alla facoltà ma l’università è stata chiusa e probabilmente se altre riapriranno, quella di Fine Arts ora non ha più alcuna speranza di poter lavorare e soprattutto che la facoltà riapra. «Quattro giorni dopo l’arrivo dei talebani, mio padre che abita nella provincia di Paktia ha ricevuto una lettera, gli dicevano che se fossi tornato a casa mi avrebbero ucciso. Non voleva dirmelo, mi ha detto solo di non tornare, poi ha confessato. Ora ho moglie e un bambino di nove mesi, ho paura per loro, ho paura che mi stiano vicino».

Tenta di scappare come hanno fatto in molti. Si dirige verso il confine, ma viene preso da talebani che non vogliono che gli afghani lascino il paese. Gli aprono il computer, vedono i suoi video, vedono perfino una foto con la sottoscritta, inorridiscono. Quando è truccato da Charlie Chaplin è irriconoscibile, ma quelle sono prove. Lo picchiano. Lui è magro, piccolo, indifeso. Poi lo legano, gli mettono una benda sugli occhi e gli puntano una pistola alla testa. «Ora facciamo fuori l’attore». Ma in quel momento arriva il comandante che decide che non è la giornata per uccidere qualcuno, forse pensa solo che farebbe troppo clamore, come è successo qualche mese fa con un noto commediante che faceva video critici contro i talebani. La sua esecuzione ha fatto il giro del mondo e ora i talebani che stanno parlando con l’Occidente perché hanno bisogno di soldi, non possono permettersi scivoloni come uccidere un famoso personaggio afghano.

Pestato e triste, Karim Asir, torna a casa e da allora non dorme più una notte nello stesso posto, come molti nella lista nera dei talebani ha visto la sua vita trasformarsi in un inferno che neanche poteva immaginare potesse essere.
«Non so che ne sarà di me e della mia famiglia, qui non possiamo più stare, l’Afghanistan è in ostaggio e io non so cosa fare», ci dice sul divano di casa sua con una finestra con vista sul cimitero.
Ma qualcosa l’ha già fatta, indossa un lungo salwar kamiz, il berretto tipico dei religiosi musulmani, si è fatto crescere la barba. Si finge uno di loro. Interpreta il ruolo forse più importante della sua esistenza, quello che gli serve per restare in vita. Eppure quegli occhi vivaci alla Charlie ChaplinÈ sono sempre lì per chi sa vederli, sotto la maschera della vita che deve recitare.

 

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