La rabbia del Libano

Scritto da in data Agosto 8, 2020

BEIRUT – “Sono pronta a tutto. Sono pronta a morire. Quelli devono andarsene”. Ha il volto trasfigurato dalla maschera antigas, uno scudo fatto con un cartello stradale e l’energia di una ragazza che sa perfettamente cosa vuole e quanto è rischioso pensarlo. In piazza dei martiri ci sono decine di migliaia di giovani, ma anche anziani. Chi batte contro il metallo in un ritmo inesorabile che segna il suono della protesta. Insieme alle autoambulanze, i proiettili di gomma, le forche che girano per la piazza all’urlo “Thaura – rivoluzione”.

In Libano la rabbia è palpabile, non saranno tutti, ma sono molti, è visibile come il fumo dei gas che cerca di disperdere la folla, ma chi non cade a terra ferito e viene portato via dalle autoambulanze che sembrano non fermarsi mai, resta. Sono arrivati da ogni parte del paese e non intendono andarsene. L’esplosione di martedì ha cambiato qualcosa, sembra la goccia che fa traboccare il vaso. “Se non ora quando”, dice una signora che ieri ha passato la giornata con altri volontari a pulire le strade dalle macerie e oggi manifesta perché vuole che il potere politico se ne vada. Basta fazioni, basta milizie, basta corruzione, basta crisi, basta accordi e compromessi. Basta – Khalas.

Tutti in piazza

“La gente è veramente, veramente arrabbiata, il sistema non funziona. Niente funziona”. Qualcosa è cambiato con l’esplosione? Questo è il momento? “Oh sì siamo furiosi come pensavamo non potesse essere possibile, questo è il momento del cambiamento, se non ora quando?”. Intanto la piazza continua a riempirsi, col calare del sole, si vedono piccoli incendi provocati dai candelotti di gas, ma tutta questa zona è già stata sventrata dal disastro di qualche giorno fa, la gente sta sui tetti, si affaccia dalle finestre senza vetri, urla dagli scheletri degli edifici.

Il giorno del giudizio

“È il giorno del giudizio”, si legge su una scritta dove sono appese della corde annodate per fare un cappio. Le foto dei politici vengono fatte bruciare, la sagoma di cartone di Nasrallah, il leader del movimento degli Hezbollah, che di fatto controlla buona parte del paese, viene simbolicamente impiccata. Intorno la polizia fa cordone, sul ponte ci sono le forze speciali, più nascosti nelle vie, miliziani che aspettato che cali la sera. I manifestanti raggiungono il parlamento e anche il ministero degli Esteri, quello dell’Ambiente, del Commercio, dell’Energia, l’associazione dei banchieri. Sono mesi che la gente protesta.

“Ne parliamo lunedì”

Il primo ministro Hassan Diab si mostra in tv, parla alla nazione, dice che la gente ha diritto di essere arrabbiata, che chiederà elezioni anticipate lunedì, sperando di calmare la folla nella piazza, dice che c’è bisogno di una nuova leadership politica, ma di fatto il premier non conta molto nel panorama politico. E chi manifesta neanche lo sente, nessuno ha più voglia di sentire promesse che poi non vengono mantenute. Molti fanno domande e ora pretendono risposte: anche qualora ci fossero elezioni, il sistema settario con cui sono sempre state fatte è proprio quello che la gente non vuole più. Chiedono un governo di emergenza, riforme, vogliono una nuova iniziativa politica che deve essere creata. Tutto quello che hanno ora, è un governo che dice che qualcosa lunedì verrà proposto. Ma la manifestazione di oggi non è più solo una questione politica, non è più una questione di economia e di crisi, quella di oggi è una richiesta di giustizia per le 157 persone che sono morte, per i 5.000 feriti, e le 60 ancora disperse.

La gente si muove, si allontana dal gas lacrimogeno, e poi ritorna, la manifestazione di questa sera, non è come nessun’altra in precedenza, lo mormorano tutti. “Siamo sotto occupazione, siamo migliaia di persone che hanno attraversato la guerra civile, chiediamo diritti fondamentali, quali elettricità, lavoro, la fine della corruzione, di non essere uccisi in un’esplosione perché nessuno si è occupato di un problema per sette anni. Oggi c’è rabbia, oggi c’è vendetta, migliaia di noi stanno chiedendo giustizia per tutti quelli che sono feriti, per quelli uccisi, i martiri, e invece di aiutarci ci sparano, guarda”, dice Assaad Thebian, uno degli attivisti della protesta, costretto ad alzarsi mentre ci parla perché stanno sparando i gas lacrimogeni.
Sono centinaia i feriti della protesta, in un primo bilancio si parla anche di un poliziotto morto, confermato dalla polizia secondo il canale Al Jazeera. Arrivano i soldati, picchiano duro, usano munizioni vere oltre ai proiettili di gomma, la gente si disperde.

Ma l’eco di piazza dei Martiri continua a battere come un cuore agitato, il cuore di una città fatta a pezzi, dall’altra parte il mare, quel mare dal quale si vede una Beirut devastata, un lungomare di scheletri di edifici sventrati, ma il cuore della protesta batte forte, sarà la rabbia, sarà amore per il proprio paese, sarà lo spirito della rivoluzione.

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