Un singolo passo: perché fare l’Erasmus?
Scritto da Valentina Barile in data Giugno 26, 2020
Università. Erasmus. Europa. La prima esperienza in solitaria – e non – dello studente universitario, oltre i confini del proprio paese. Sogni, progetti, orizzonti. Studio e lavoro intessono le vite delle generazioni. Quale sarà il futuro dell’Erasmus nel post pandemia da coronavirus? Valentina Barile ne parla su Radio Bullets con Lorenzo Coltellacci, autore della graphic novel Un singolo passo, e Fabio Caon, ricercatore all’Università Ca’ Foscari di Venezia.
Cosa è il programma Erasmus?
European Community Action Scheme for the Mobility of University Students, il programma universitario di mobilità studentesca europea, nasce nel 1987. Due anni prima della caduta del muro di Berlino.
Il progetto Erasmus porta il nome dell’umanista e teologo francese Erasmo da Rotterdam, il quale viaggiò per molti anni in Europa per conoscerne le culture.
Il viaggio. Sempre lui a unire trasversalmente i punti sparsi di un solido.
Il programma Erasmus, tra le varie strade del grande sogno europeo, vede ondate migratorie di studenti che si muovono dal proprio Paese per studiare in quello confinante o poco più in là. Si ritorna, e si può non ritornare perché il luogo di passaggio diventa, poi, meta.
O si ritorna con la voglia di andare altrove, come in Un singolo passo, la graphic novel edito da Tunué, scritto da Lorenzo Coltellacci e illustrato da Niccolò Cedeno ed Enrico Rollo.
Baffo, il protagonista del fumetto, va a Porto, gli prende il panico per il trasferimento e vuole tornarsene già il giorno successivo in Italia. Poi, incontrerà altri studenti in Portogallo con i quali trascorrerà uno dei frammenti indimenticabili della sua vita.
«L’Erasmus raccontato nella graphic novel è il mio! La mia partenza, la mia storia che comincia con la scelta di studio della lingua portoghese. La volontà di andare via per conoscere, anzitutto la cultura che stavo studiando, e poi per cambiare aria. Sono consapevole dell’importanza che ha un tale progetto; non si tratta di solo studio, ma di vita. L’ho vissuto sulla mia pelle, e credo che se non fossi mai andato a Porto, grazie all’Erasmus, probabilmente non sarei, poi, mai partito per Amsterdam, dove è cominciata la mia esperienza come narratore di storie, comunicatore… se io oggi so fare è anche grazie a come ho deciso di cominciare la mia vita dopo l’università. L’ho capito durante l’Erasmus». – Lorenzo Coltellacci mette un fiocco definitivo a ciò che viene narrato per immagini e con pensieri e parole nel fumetto.
Perché fare l’Erasmus?
Fabio Caon – ricercatore all’Università Ca’ Foscari di Venezia e direttore del Laboratorio di Comunicazione interculturale e didattica – dà una definizione al progetto.
«Il senso, per me, dell’Erasmus è dato proprio dalla possibilità di trasformare una società multiculturale – che come la definisce il consiglio d’Europa è un’idea statica in cui c’è una semplice compresenza di diverse culture – a un’idea di intercultura, cioè di relazione a un processo dinamico, per cui le culture – che poi alla fine non ci sono culture, ma ci sono persone, quindi le diversità culturali – interagendo, possono costruire delle relazioni. Questa dimensione porta ovviamente al tema della responsabilità perché, se io devo stabilire una relazione, devo anche stabilire come impostare questa relazione, quindi, su quali parametri, su quali valori, su quali confronti. Uno dei grandi valori dell’Erasmus è proprio questo: mettere le persone nella condizione di dover fare alcune scelte. E quindi, una grande possibilità perché poi, sta alla persona, al singolo, capire che cosa fare – come sempre – della vita».
Chissà cosa accadrà nei prossimi mesi, nel post pandemia, quando gli atenei ricominceranno a essere luoghi di scambio, di ricerca, di studio. Di crescita.
«Fatto salvo la necessità di rispettare le regole, qualora il virus imponesse ancora restrizioni o limitazioni o, addirittura, impossibilità di viaggiare, si potrebbero… si stanno già cercando delle soluzioni per cui far comunicare i ragazzi a distanza e, quindi, credo si possa intensificare lo scambio grazie alla tecnologia, perché ovviamente questa abbatte i confini. È ovvio che la pregnanza di una esperienza totale, quindi di immersione reale in un paese, è impagabile, però diciamo che a cercare un aspetto positivo si potranno appunto intensificare delle relazioni tramite online e in questo la creatività delle università o dei soggetti promotori, se non degli stessi ragazzi ad intensificare questi scambi e a migliorarli qualitativamente, sarà vincente».
Fabio Caon, dal suo canto, dà una speranza di continuità. Grazie alla tecnologia, i confini non esistono. Grazie alla Rete, le distanze si azzerano e, seppure in qualità di surrogato, le esperienze si possono fare. Non è come vivere un luogo, gli umani che lo abitano, quindi impregnarsi di cultura e abitudini sociali, ma è una forma di connessione.
Due testimonianze a confronto, lo sceneggiatore di “Un singolo passo”, il quale racconta praticamente la propria esperienza di studio all’estero – in questo caso il Portogallo – facendolo anche attraverso una graphic novel, dietro una lunga progettualità, scandita anche da nuove esperienze di lavoro fuori dall’Italia, e un professore universitario, che a differenza del primo, e con rammarico, non ha aderito – a suo tempo – al progetto, pentendosene.
Conclude il suo intervento con un invito: «Credo che l’Erasmus sia una esperienza fondamentale da fare per i ragazzi, io purtroppo non l’ho fatto ed è una delle cose di cui mi pento maggiormente nella mia vita. Quindi, imparare le lingue, in particolar modo l’inglese, è una necessità; invito i ragazzi a viaggiare, a fare esperienze, andare all’estero, avere una dimensione internazionale, perché questo è davvero una delle competenze necessarie per i prossimi anni, non solo come professionisti ma anche come cittadini».
«Così, tutto sommato, non mi importava più sapere se stessi tornando o partendo e verso chi o cosa andassi… ciò che contava, adesso, era sapere finalmente chi fossi diventato». – da Un singolo passo.
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