La riforma del MES e il Recovery Fund

Scritto da in data Dicembre 14, 2020

La settimana scorsa il parlamento italiano ha approvato la riforma del MES e la Merkel ha sbloccato l’accordo sul Recovery Fund: cosa sta succedendo?

La cronaca dell’ultima settimana ci costringe a tornare su un argomento che avevamo trattato un po’ di tempo fa, quello del MES e del Recovery Fund.

Foto di copertina: S. Hermann & F. Richter da Pixabay.

Il riassunto della settimana

La settimana scorsa il parlamento italiano ha votato a favore della riforma del MES, il Meccanismo Europeo di Stabilità e, alcuni giorni dopo, a livello europeo la cancelliera Merkel ha trovato una mediazione sul Recovery Fund con l’Ungheria e la Polonia riuscendo a sbloccare quel piano.

Cerchiamo di capire cosa è successo. All’inizio della settimana scorsa l’intero panorama politico italiano era in subbuglio. La mania del presidente Conte di nominare commissioni, comitati, gruppi di esperti e di manager, reali o presunti, anche per la gestione dei soldi che arriveranno dal Recovery Fund non è piaciuta ad alcuni partiti della coalizione. Non è stata gradita da Renzi e dal suo movimento Italia Viva che minacciavano la crisi, ma non è piaciuta nemmeno a diversi esponenti del PD. Contemporaneamente si sviluppava l’ennesima puntata dello psicodramma all’interno del Movimento 5Stelle, con lo scontro tra coloro che volevano rimanere fedeli al programma elettorale − con il quale erano arrivati a ottenere quasi il 33% dei consensi nelle elezioni del 2018 − e i cosiddetti “governisti”, coloro che, diventati più realisti del re, sono disposti a rimangiarsi qualunque promessa elettorale in nome della cosiddetta governabilità. Ma qual era il problema? Mercoledì 9 dicembre il parlamento italiano doveva approvare la riforma del MES. Come noto i 5Stelle si erano sempre dichiarati contrari al MES, al suo utilizzo sia in quella che potremmo chiamare la versione “light”, ovverosia il MES sanitario, sia nella sua versione classica in quanto lo ritenevano un meccanismo sbagliato e anacronistico. Purtroppo, a livello europeo, sia il premier Conte che il ministro dell’Economia Gualtieri avevano dato il via libera dell’Italia alla riforma del MES − più avanti spieghiamo di cosa si tratta − e quindi il rischio era che diverse decine di parlamentari pentastellati si rifiutassero di votare quel provvedimento mandando in minoranza il Governo. Come già successo su altre questioni, dalla TAV al rapporto con l’Europa, dopo qualche giorno di mal di pancia, di fronte all’alternativa di una crisi di governo anche i 5Stelle hanno messo da parte le loro promesse elettorali e si sono accucciati alle ferree regole della realpolitik.

Approvata la riforma del MES

Anche l’Italia ha approvato la riforma del MES e, abracadabra, a un paio di giorni di distanza, dopo mesi di fibrillazioni, la Germania ha trovato la quadra sull’accordo che serviva per mandare avanti il Recovery Fund. Ovviamente le due cose sono legate tra di loro: l’Italia, che dovrebbe essere il maggior beneficiario del Recovery Fund − ben 209 miliardi di euro − aveva necessità di mandare avanti quel piano ma non aveva certo la forza politica per convincere polacchi e ungheresi. A sua volta la Germania aveva necessità di far approvare la riforma del MES che potrebbe servire al suo sistema bancario e quindi, come avviene spesso in politica, è avvenuto uno scambio di favori. L’Italia ha approvato la riforma del MES e la Germania ha messo in campo la sua forza politica per convincere i recalcitranti governi di Polonia e Ungheria. Niente di nuovo sotto il sole, la politica è anche compromesso.

La gestione dei fondi del Recovery Fund

E un compromesso, probabilmente, è stato trovato o si sta cercando anche sui meccanismi di gestione dei soldi che arriveranno con il Recovery Fund: la crisi di governo per ora è rimandata, anche lì niente di nuovo sotto il sole. Nei prossimi anni ci saranno più di 200 miliardi da spendere ed è ovvio che si scatenino gli appetiti delle forze politiche che finiscono poi per litigare su come gestire quei fondi e su chi li deve amministrare.

Alla luce delle esperienze passate c’è solo da sperare che la scalcinata pubblica amministrazione italiana sia in grado di gestire quei flussi di spesa e c’è anche da auspicare che le forze politiche, già in sollucchero alla vista del malloppo, non sperperino tutto in provvedimenti clientelari. Augurandoci che questo nostro auspicio non venga smentito dai fatti, non abbiamo intenzione di dilungarci ulteriormente sulle questioni politiche, che ognuno potrà giudicare in base alle sue convinzioni, anche se era necessario delineare il quadro generale per poter capire anche le questioni economiche.

Il MES conviene oppure no?

Cos’è la riforma del MES?

Ma cos’è questa riforma del MES? Facciamo qualche passettino indietro per spiegare la questione. Il MES, detto anche volgarmente “fondo salva stati”, fu creato nel 2011 per far fronte alla crisi della Grecia. Detto in maniera molto semplificata quel fondo doveva servire per fare credito a quei paesi dell’area Euro che si fossero trovati nell’impossibilità di accedere al mercato dei capitali, in pratica quelli talmente conciati male, dal punto di vista finanziario, che nessuno gli avrebbe più prestato un euro. Il MES fu utilizzato per far fronte alla crisi della Grecia con le conseguenze che abbiamo spiegato in alcuni podcast precedenti.

All’inizio del 2020, quando in tutta Europa scoppia la pandemia da coronavirus, i paesi europei si accordano su una sorta di “MES sanitario”. Il ragionamento è: dal momento che ci servono soldi per affrontare la crisi economica causata dalla pandemia, diamo la possibilità a tutti i paesi dell’area Euro di contrarre un prestito, per un importo che può arrivare al massimo al 2% del PIL di ogni paese, da utilizzare esclusivamente per affrontare le spese sanitarie causate dall’epidemia. Tutte le altre regole non sono state modificate, contrariamente a quanto ci hanno continuato a raccontare media sedicenti “autorevoli” per mesi.

Inoltre, già dagli anni precedenti era in corso una riforma dell’intero sistema bancario e finanziario europeo, una riforma che interessa molto i tedeschi per varie ragioni a cominciare dal fatto che alcune grandi banche tedesche hanno seri problemi e potrebbero avere necessità di aiuti per affrontare delle possibili crisi. Tra le varie cose che prevedeva questa riforma bancaria c’era anche la possibilità di ricorrere, qualora necessario, a un prestito del MES per far fronte a eventuali crisi bancarie.

Quindi, per spiegarla in termini un po’ grossolani ma facili da comprendere per tutti, il MES è in fin dei conti un fondo: è come se fosse una specie di grande salvadanaio dove i vari paesi europei hanno cominciato a versare ognuno la propria quota e si sono impegnati a fare ulteriori versamenti. Finora il MES è stato utilizzato come “fondo salva stati” per fare prestiti soprattutto alla Grecia ma anche a paesi come Spagna, Portogallo e Cipro quando, negli anni passati, si sono trovati in difficoltà finanziarie. Poi si è attivato nel 2020 quello che possiamo chiamare il “MES sanitario”, che è una cosa nuova ma il meccanismo è sempre lo stesso. Questo MES sanitario è disponibile sulla carta, ma sinora non è stato né utilizzato né richiesto da nessun paese. Infine, con la riforma approvata, il MES potrà intervenire anche nelle crisi bancarie, facendo un ulteriore prestito all’apposito fondo creato per gestire quel tipo di crisi. Quindi il meccanismo è sempre lo stesso: l’ente che lo regola è sempre lo stesso, il suo direttore è sempre lo stesso, quel simpaticone di Klaus Regling, arcigno economista teutonico. Le regole di funzionamento, cioè le procedure e le condizioni con le quali vengono erogati i prestiti sono sempre le stesse ma quei fondi che prima potevano essere utilizzati soltanto per fornire prestiti agli stati a rischio di fallimento, ora possono essere impiegati anche per spese sanitarie anti Covid-19 e per eventuali crisi bancarie.

MES riformato ma non richiesto

Quindi non confondiamo le cose: il fatto che l’Italia abbia approvato la riforma del MES non significa che abbia richiesto, per esempio, il MES sanitario, quei famosi 37 miliardi che potremmo chiedere ma che nessuno vuole chiedere.

Prima di scendere un tantino nel dettaglio della riforma appena approvata partiamo da una citazione tratta da un libro scritto da Yanis Varoufakis, ministro delle Finanze greco nel periodo della crisi del 2015 e che si intitola “Adulti nella stanza”.

In quel libro di memorie Varoufakis ripercorre la sua esperienza istituzionale all’epoca del cosiddetto “salvataggio della Grecia” e riporta anche spezzoni di dialoghi avuti, dietro le quinte, con i principali responsabili europei. Tra i vari episodi che racconta ce n’è uno che riguarda il MES. Varoufakis a un certo punto si rivolse a Klaus Regling, l’economista tedesco che era allora, ed è ancora oggi, direttore generale del MES, chiedendogli il rinvio del pagamento di una rata del prestito concesso alla Grecia, spiegandogli che per pagare quella rata nei tempi stabiliti non avrebbe avuto poi i soldi per pagare stipendi e pensioni. L’imperturbabile Regling gli rispose: «E allora non pagare stipendi e pensioni!». Ora, ognuno ovviamente ha le sue opinioni politiche come è giusto che sia in democrazia, però è bene essere consapevoli dei soggetti nelle cui mani stiamo mettendo il nostro futuro, poi se qualcuno si fida di elementi che danno risposte del genere, auguri!

Va anche ricordato che da quell’interessante libro di Varoufakis, pubblicato in Italia dall’editore “La nave di Teseo”, il regista Costa-Gavras trasse un film che però, curiosamente, non ha trovato nessun distributore, né sul mercato tedesco e nemmeno su quello italiano. Il fatto è singolare, perché Costa-Gavras non è uno sconosciuto regista underground ma è un grande regista conosciuto in tutto il mondo per i suoi film di impegno civile. Greco di origine − ma ormai vive e lavora da molto tempo in Francia − ha diretto film importanti come: Missing (scomparso) o Music Box (prova d’accusa) e ha vinto numerosi premi, tra cui l’Oscar nel 1970 con il film famosissimo “Z, l’orgia del potere”.

Come cambia il MES

Ma spieghiamo meglio in cosa consiste la riforma del MES appena approvata. Due sono le riforme sostanziali che vengono fatte. La prima è un’ulteriore stretta sulle condizioni per accedere ai finanziamenti.

Attualmente il MES può concedere prestiti ai paesi che trovano difficoltà a finanziarsi sui mercati, distinguendo tra due linee di credito differenti. La prima, che si chiama PCCL (Precautionary Conditioned Credit Line, ovvero Linea di credito condizionata precauzionale) può essere concessa a quei paesi che rispettano le regole del patto di stabilità e crescita per quel che riguarda deficit e debito pubblico, non hanno gravi squilibri macroeconomici e non presentano problemi gravi di stabilità finanziaria. L’Italia non rientra in questa prima categoria, noi potremmo eventualmente richiedere la seconda linea di credito, quella che si chiama ECCL (Enhanced Conditions Credit Line, ovverosia Linea di credito a condizioni rafforzate).

La sottoscrizione di entrambe le linee di credito prevedeva anche la firma di un memorandum d’intesa con il MES, ma la seconda linea, quella rafforzata, implicava condizionalità più rigorose. Ricordiamo che dietro le definizioni tecniche si nascondono precise scelte di politica economica. Nel memorandum si prevede un programma dettagliato di cosiddetti “aggiustamenti strutturali”, il che tradotto in linguaggio semplice significa politiche di austerità e quindi taglio di spesa pubblica, spese sociali, welfare. Tutte cose che abbiamo già visto nel caso greco.

Con la riforma appena approvata cosa succede? Si stabiliscono criteri più stringenti per accedere alla linea di credito precauzionale perché si stabilisce che i paesi richiedenti, per accedervi, non dovranno avere in corso da parte dell’Unione Europea procedure per disavanzo e per squilibri macroeconomici eccessivi, ma in cambio non è prevista la firma di alcun memorandum.

Il memorandum sarà previsto solo per quei paesi che accedono alla linea di credito rafforzata. Inoltre, si aumentano i poteri discrezionali di chi dirige il MES e si introducono nuove regole per facilitare le procedure di ristrutturazione del debito. In pratica la riforma distingue in maniera più netta tra paesi che rispettano le condizioni economiche previste dai trattati europei (patto di stabilità e fiscal compact) e paesi invece che quei parametri non li rispettano. Per questi ultimi, categoria alla quale appartiene l’Italia, le condizionalità per la concessione dei prestiti vengono rese più stringenti con un monitoraggio continuo della situazione macroeconomica.

Per dirla in altri termini, la riforma approvata dal nostro parlamento, prevede che qualora l’Italia dovesse ricorrere al MES, potremmo accedere, dati i nostri fondamentali macroeconomici, soltanto alla linea di credito rafforzata le cui condizionalità sono state rese più stringenti. Per dirla con una metafora è come se qualcuno che rischia l’impiccagione aiutasse il boia a insaponare la corda!

Il secondo pezzo della riforma riguarda la possibilità per il MES di prestare soldi al Fondo di risoluzione unico per le crisi bancarie nel caso di incapienza di quest’ultimo.

Spieghiamo meglio. Nel processo di integrazione dei sistemi finanziari e bancari a livello europeo fu creato un fondo per affrontare le crisi bancarie. Questo fondo ha una sua dotazione di risorse che, nel caso di una grave crisi bancaria, potrebbero non essere sufficienti e quindi potrà chiedere un ulteriore prestito al MES fino a un importo massimo di 55 miliardi di euro, da restituire in 5 anni. Questo pezzo della riforma del MES interessa molto la Germania perché in quel paese ci sono alcune grandi banche che hanno parecchi problemi e potrebbero avere necessità di un sostegno.

L’appello degli economisti

È uscito lo scorso 5 dicembre un appello di un’ottantina di economisti e giuristi di sinistra, quindi non trinariciuti sovranisti, contro la riforma del MES, che è passato in secondo piano sui media nazionali, molto più attenti e interessati a notizie più rilevanti come la nuova relazione sentimentale dell’onorevole Maria Elena Boschi. La lettura di quel documento è tuttavia illuminante, per cui, riportiamo alcune frasi di quell’appello: «… questa riforma risponde alla logica della “vecchia” Europa, quella che drammaticamente ha fallito nella gestione della crisi greca e che ha sbagliato anche nell’affrontare le conseguenze della crisi del 2008, relegando una delle aree economiche più ricche del mondo a una sostanziale stagnazione decennale… il MES non serve a “salvare gli stati”… ma a sottoporli a una sorta di “amministrazione controllata” attraverso le famigerate “condizionalità”… il MES non è uno strumento di aiuto, ma di controllo, un controllo affidato a funzionari senza nessuna legittimazione democratica e il cui compito statutario è agire nell’interesse del creditore, indipendentemente dalle conseguenze che ciò può provocare al paese sottoposto alla sua potestà… il MES va rifiutato senza se e senza ma, così come va respinta l’affermazione secondo cui il prestito sanitario avrebbe condizionalità leggere o persino inesistenti, cosa che non ha riscontro nelle norme, che non sono state in nulla modificate. Il problema è proprio il via libera a una riforma che riconferma una linea europea fallimentare, che in prospettiva mette in pericolo la stessa sopravvivenza dell’Unione… La storia d’Italia degli ultimi trent’anni è caratterizzata da snodi critici in cui riforme apparentemente tecniche e di scarsa portata hanno pesantemente condizionato gli sviluppi futuri e limitato fortemente la discrezionalità politica nazionale, consegnandola al “vincolo esterno”. Tali riforme sono state fatte passare senza che l’elettorato fosse sufficientemente informato e cosciente della posta in gioco, spesso con argomenti speciosi quali la necessità di non perdere credibilità dinanzi ai partner europei».

Non ci sembra ci sia nulla da aggiungere se non un’invocazione di una vecchia pubblicità di una birra che diceva: meditate gente, meditate!

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