Le sfide di Babele: come imparare una lingua?

Scritto da in data Agosto 21, 2020

Monolinguismo, bilinguismo. Glottodidattica: come insegnare una lingua. Come imparare una lingua, una cultura. Quali sono gli strumenti del mestiere dell’insegnante. Fino a che età si può acquisire una lingua. Valentina Barile ne parla con il prof. Paolo Balboni – linguista, docente universitario, direttore del Centro di didattica e delle lingue dell’Università Ca’ Foscari di Venezia – e Maria Cecilia Luise, direttrice della rivista scientifica Selm – Scuola e lingue moderne e responsabile didattica e culturale di Anils – Associazione nazionale insegnanti lingue straniere.

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Il monolinguismo è curabile?

Paolo Balboni ne Le sfide di Babele (Utet, 2015), manuale di glottodidattica, attraverso i contenuti oggetto dei suoi studi, promuove il messaggio di Anthony Mollica, che pone a sigillo fondamentale del suo libro: il monolinguismo è curabile.

«Mollica scrive: “Monolingualism can be cured”, il monolinguismo è curabile. In effetti, il nostro pianeta è un pianeta di persone plurilingui. Il mondo francese, che è accentratore per eccellenza, ha dato origine all’idea per cui uno stato debba avere una lingua, ma tenga un po’ presente che quando c’è stata l’unificazione dell’Italia nel 1861, dice De Mauro che circa il 2,5% della popolazione, fuori da Roma e Firenze, parlava italiano. In Italia, ancora oggi, ci sono molte persone che sono assolutamente bilingui, cioè parlano italiano e una delle lingue regionali che noi, per tradizione italiana, chiamiamo dialetti, ma che sono lingue a tutti gli effetti. Il resto d’Europa non è monolingue come pensiamo. Si cresce plurilingui facilissimamente, poi ci sono alcuni che sono convinti che si debba sapere solo una lingua, ma questi possono essere curati. In realtà, non è il monolinguismo che è curabile, è l’ignoranza dei monolingui».

 «Le lingue servono per capire come funziona il mondo, per imparare a leggere quello che succede, per vincere discriminazioni e incomprensioni, per capirsi e incontrarsi», rafforza quanto illustrato dal professor Balboni, Maria Cecilia Luise. E spiega ai microfoni di Radio Bullets quanto l’apprendimento di una nuova lingua possa verificarsi in qualsiasi età (“Gli anziani e le lingue straniere”, Luise – Cardona, Pensa Multimedia, 2018): «Non solo lo sviluppo non termina in un qualche punto della vita umana, ma anche proprio la predisposizione ad apprendere, quindi, perdura tutta la vita. Oggi, la popolazione mondiale è sempre più vecchia, in particolare nel primo mondo gli anziani sono una parte sempre più consistente, importante della società e questo pone una fondamentale questione sull’opportunità per tutti di possedere le competenze necessarie a esercitare quella che viene definita cittadinanza attiva. Tra queste competenze, quelle linguistiche, quelle interculturali, hanno un ruolo fondamentale: ecco, oggi, tra i nuovi pubblici che da una parte hanno bisogno, ma che dall’altra anche chiedono formazione linguistica, ci sono i componenti della terza e della quarta età. Dal punto di vista glottodidattico, scientifico, non solo imparare una lingua straniera in vecchiaia è possibile, ma può portare anche all’anziano benefici dal punto di vista cognitivo, psicologico, sociale, fungendo anche da protezione delle funzioni mentali. L’apprendimento delle lingue straniere, quindi, non solo può essere utile per la qualità della vita dell’anziano e la sua partecipazione attiva alla società, ma ha anche un’importante funzione per stimolare e preservare le risorse cognitive. Tra l’altro, molti studi confermano un rapporto positivo tra bilinguismo e apprendimento delle lingue straniere, e riduzione dell’insorgenza della demenza senile, dell’Alzheimer».

Cosa è la glottodidattica?

Per definizione, è la scienza dell’educazione linguistica e, almeno per gli aspetti attinenti l’uso della lingua, si interessa anche dell’educazione letteraria e microlinguistica. Si configura come una scienza pratica e interdisciplinare. In altre parole, è l’insieme degli approcci e dei metodi che portano all’apprendimento e, poi, all’acquisizione di una lingua.

Parola al prof. Balboni: «La glottodidattica è stata la prima a puntare l’attenzione su come la mente apprende per organizzare, poi, il modo di insegnare. E questa sarebbe la prima cosa che potrebbero fare più o meno tutte le discipline, ma soprattutto è da anni che ci sono molti materiali, molte ricerche sul problema dell’italiano e dello studio. Ci fu una ricerca negli anni Ottanta, a Padova, che diceva che, praticamente, quattro compiti sbagliati su cinque di geometria erano stati sbagliati perché non era stato capito bene il problema dal punto di vista linguistico. I materiali ci sono, le teorie ci sono, le pratiche ci sono, gli esempi ci sono, l’importante è riuscire a farlo sapere ai docenti di italiano e delle altre lingue».

Perché la glottodidattica, se è così efficace nell’insegnamento di una nuova lingua, non può essere applicata a tutte le altre discipline? Perché tarda a diffondersi nella scuola italiana? Non potrebbe essere un facilitatore, almeno per gli studenti? Maria Cecilia Luise: «Credo che più che vedere la glottodidattica come una scienza inesatta, nella scuola italiana si paghi uno scotto a una tradizione vecchia di insegnamento delle lingue che non è stata ancora del tutto superata. Ci sono motivi storici per tutto questo: da un lato, per più di un secolo, la scuola italiana è stato il luogo della realizzazione di un principio che possiamo riassumere nel motto: una nazione, una lingua. Dopo l’Unità d’Italia, fatta l’Italia andavano fatti gli italiani, anche e soprattutto attraverso una politica del monolinguismo in italiano. È la politica che ha portato, da una parte, sicuramente alla negazione di cittadinanza ai dialetti, alla negazione delle lingue alloglotte, ma ha anche portato per decenni a trascurare le lingue straniere e il loro insegnamento. Da un altro lato, la glottodidattica è una scienza recente. Per lungo tempo si è pensato che per poter insegnare una lingua bastasse saperla parlare oppure, ancora peggio, saperne descrivere le strutture grammaticali, e che l’insegnamento delle lingue riguardasse soltanto i docenti di italiano e di lingue straniere. Negli ultimi trent’anni, la glottodidattica delle lingue materne, seconde, straniere si è costituita un solido fondamentale bagaglio di psicolinguistica, neurolinguistica, psicodidattica, antropologia. Ecco, io credo che sia da qui che i docenti di tutte le discipline, visto che tutti gli insegnanti sono anche insegnanti di lingua, possano partire per rinnovare la loro didattica, che significa innanzitutto mettere davvero al centro di qualsiasi progetto educativo lo studente».

L’abito fa il monaco?

Molto spesso accade che tra persone di culture diverse, che parlano quindi lingue diverse, soprattutto per matrice linguistica, senza che vi sia una lingua franca in comune si riesca a comunicare a gesti. Ma attenzione! Ci sono dei gesti che comunicano significati diversi a seconda della cultura.

Cosa si comunica senza parlare? È possibile già comunicare prima di muovere un passo verso qualcuno, prima di fargli un cenno con la mano? Sì! Ci sono aspetti extralinguistici della comunicazione – i linguaggi non verbali – che riguardano la cinesica, la prossemica, la vestemica e l’oggettemica. Vale a dire: quando comunico, con quali gesti lo faccio? Quanta distanza c’è tra me e il mio interlocutore? E quali abiti indosso, con quali accessori comunico il mio status sociale?

Paolo Balboni per Radio Bullets: «Il libro “La comunicazione interculturale” (Balboni Caon, 2015), quello edito da Marsilio, è un libro che mostra i punti critici della comunicazione tra persone che appartengono a diverse culture, anche se usano una lingua comune, una lingua franca. La mente di un italiano funziona in un modo diverso dalla mente di un cinese, di un brasiliano, di uno svedese. Ma al di là delle menti, quindi dei software mentali – come diceva Hofstede: Software of the mind – ci sono proprio delle differenze anche di linguaggio fisico. Noi pensiamo sempre che i gesti siano naturali… no, gli stessi gesti hanno significati diversi nelle varie lingue. In alcune lingue sono offensivi, in altre, no. Le posture del corpo, la distanza interpersonale, gli oggetti che si hanno sul corpo e intorno al corpo sono tutti linguaggi e tutti vengono usati per comunicare, anzi i linguaggi visuali sono elaborati dal cervello prima della lingua, quindi… dimmi come ti mostri e ti dirò chi sei, dimmi come sei vestito e ti dirò chi sei. L’abito linguistico fa il monaco, ma anche l’abito fa il monaco. In altre parole, quello che abbiamo cercato di fare – e che poi ha portato anche a un sito ad accesso gratuito che è www.mappainterculturale.it – dove con il modello descritto in questo libro, che è un modello di osservazione, ciascuno può partire dalla mappa interculturale che c’è già lì, ma può stamparsela oppure può stamparsi dei file per i paesi che gli interessano, copiandosi quelle parti e integrandolo man mano che viaggia, che visita, che legge. La condivisione interculturale ha dei punti critici: quello è un elenco dei punti critici, quindi è uno strumento non da imparare, ma è uno strumento da realizzare lifelong, per tutta la vita. Anche perché la cultura cambia rapidissimamente. Se pensiamo come eravamo noi venti anni fa e come siamo oggi. Come eravamo noi a dicembre, prima del Covid-19, e come siamo oggi… si capisce che molti valori, modi di fare, modi di darsi la mano, di stare insieme, sono cambiati. Tutto cambia, e quindi conviene avere strumenti per osservare più che liste di argomenti da imparare».

Per essere un buon insegnante, è necessario formarsi per tutto l’arco della vita. Il lifelong learning, l’apprendimento permanente, è diventato una condizione imprescindibile per tutti, che va oltre l’obbligo scolastico. Fortemente promosso dall’Unione Europea, rientra nel quadro delle competenze chiave definite dal Parlamento europeo per la formazione dell’insegnante. Acquisire, apprendere, aggiornarsi per tutta la durata della propria vita. Le persone cambiano, i contenuti cambiano, la lingua cambia, le comunità di parlanti inventano nuovi modi di dire che molto spesso sovrascrivono le regole grammaticali.

Maria Cecilia Luise conclude: «La formazione e il confronto tra i docenti, oggi più che mai, è lo strumento per essere parte attiva di una scuola che ha visto un’accelerazione dei processi di trasformazione e di innovazione. Ecco, mettere in discussione il proprio modo di trasmettere le conoscenze, trovare percorsi alternativi di comunicazione con gli studenti, confrontarsi con i colleghi, sperimentare nuove pratiche didattiche. Se non sono caratteristiche del bravo insegnante, ma azioni connaturate con la professionalità di qualsiasi insegnante, oggi hanno un significato ancora più importante. Anche perché dall’altra parte abbiamo i nostri studenti, grandi o piccoli che siano, studenti che si sono scoperti parte di una comunità, quella scolastica, alla quale per loro, in questi ultimi mesi, è stato molto difficile rinunciare. Dice Giancarlo Cerini che la professionalità del docente richiede una manutenzione continua perché i ragazzi cambiano e bisogna affinare gli strumenti per osservarli, conoscerli, capirli, per partire dai loro stili di apprendimento, dalle loro motivazioni che spesso vanno ricostruite oggi più di ieri».

Di seguito, le informazioni utili per gli insegnanti: www.reteducazionelinguistica.it
balboni@unive.it

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