5 dicembre 2020 – Notiziario Africa

Scritto da in data Dicembre 5, 2020

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  • Etiopia: un mese di guerra
  • Somalia: Trump annuncia il ritiro delle truppe USA
  • Marocco: arrestati tre jihadisti che preparavano un attentato
  • Ghana al voto lunedì
  • Uganda: Bobi Wine torna a fare campagna elettorale
  • Rep. Centrafricana: l’ex presidente Bozizé escluso dalla corsa alle presidenziali
  • Namibia: 700 elefanti in vendita

Questo e molto altro nel notiziario Africa di Radio Bullets, a cura di Giusy Baioni. Musica di Walter Sguazzin

Etiopia

È passato un mese dal giorno in cui, il 4 novembre, è iniziato il conflitto in Etiopia. L’esercito federale ha preso il controllo di Mekele, la capitale del Tigray, ma il TPLF ha promesso di continuare a combattere. Questo giovedì, su Tigray TV, Getachew Reda, leader del movimento, ha annunciato che «la guerra continua su diversi fronti», aggiungendo che il TPLF si è ritirato da Mekele «per evitare di combattere in città». Le prime immagini della capitale del Tigray dalla sua conquista da parte delle truppe federali sono state trasmesse dai media statali. Hanno mostrato una città tranquilla con soldati di pattuglia. Ma secondo diverse fonti, i combattimenti sarebbero effettivamente continuati. Secondo alcune di queste, le truppe tigrine avrebbero scavato nelle montagne circostanti proprio per condurre una guerriglia. Redwan Hussein, uno dei portavoce del governo, ha ammesso sporadici scontri che ha definito «atti di disperazione» da parte del TPLF.

Giovedì il vice primo ministro Demeke Mekonnen ha incontrato il suo omologo russo Sergei Lavrov e poi le Nazioni Unite. Gli operatori umanitari hanno convogli di aiuti pronti a partire per il Tigray. Le loro preoccupazioni sono molteplici. Alcune popolazioni sono tagliate fuori da tutto e hanno urgente bisogno di cibo e medicine. Nel frattempo alcune fonti accusano l’esercito etiope di bloccare le persone che cercano di fuggire in Sudan. Aumenta la tensione al confine, mentre i profughi che hanno già attraversato il lato sudanese sono preoccupati per la permanenza delle loro famiglie nel Tigray.

È passata una settimana da quando il primo ministro etiope Abiy Ahmed ha annunciato la vittoria delle sue truppe impegnate nella regione dissidente del Tigray. Tuttavia i combattimenti continuano, come affermato dal TPLF e da fonti diplomatiche. Le telecomunicazioni sono ancora tagliate e nella regione da un mese e più di tre milioni di persone hanno bisogno di aiuti umanitari.

Aiuti che tardano ad arrivare, soprattutto perché il governo etiope limita l’accesso solo alle aree sotto il suo controllo. Anche le Nazioni Unite hanno confermato ieri che combattimenti sono in corso in diverse parti del nord del Tigray, nonostante le dichiarazioni di vittoria del governo federale etiope.

In visita in Sudan e Addis Abeba, il commissario europeo per la gestione delle crisi, Janez Lenarcic, chiede maggiori sforzi da parte delle autorità etiopi, in particolare per dare un accesso umanitario completamente libero e indipendente al Tigray. «Le organizzazioni umanitarie decidono dove, quando e a chi possono fornire assistenza. Non dovrebbe essere deciso dal governo. I limiti imposti sono inaccettabili», afferma.

Principale ostacolo alla gestione delle crisi, secondo Janez Lenarcic, il blackout delle telecomunicazioni. La provincia è ancora tagliata fuori dal mondo da più di un mese, ormai. «Se vuoi combattere efficacemente la disinformazione, allora apri il Tigray! Ripristinare le telecomunicazioni, dare accesso agli operatori umanitari e autorizzare le indagini per far luce sulle atrocità commesse. Non è complicato».

Per ora nessun convoglio umanitario è riuscito a intervenire nel Tigray. Il conflitto ha causato migliaia di vittime, secondo International Crisis Group, e decine di migliaia di sfollati interni e rifugiati. Secondo le testimonianze di molti rifugiati tigrini nei campi in Sudan, l’esercito federale etiope trattiene migliaia di civili che cercano di fuggire dai combattimenti. Alcuni parlano di posti di blocco che presidiano le strade, altri di arruolamento forzato nell’esercito, arrivando fino a esecuzioni sommarie per chi non ottempera agli ordini dei militari o dei miliziani Amhara che controllano l’area.

Da parte sua, l’esercito federale assicura che la situazione è tornata alla normalità da parte etiope e che i profughi possono tornare sani e salvi. Ma sono ancora in diverse centinaia ad attraversano il confine ogni giorno. Il loro numero è stato ridotto, ma le ONG sono preoccupate perché questi esiliati stanno utilizzando nuovi punti di passaggio e corrono sempre più rischi per trovare rifugio in Sudan.

Mercoledì le Nazioni Unite hanno firmato un accordo con il governo etiope e hanno ottenuto un accesso illimitato alla regione per fornire aiuti umanitari estremamente necessari.

Una settimana fa il primo ministro Abiy Ahmed ha rivendicato la vittoria. Ha detto che l’operazione militare ha avuto successo, aggiungendo che i combattimenti erano finiti dopo aver conquistato la capitale regionale di Mekele.

Somalia

Il presidente uscente statunitense Donald Trump ha deciso il ritiro dei militari USA dalla Somalia. 700 soldati delle forze speciali statunitensi sono presenti attualmente come formatori dell’esercito somalo nella loro lotta contro i jihadisti. La decisione di ritirare le truppe è stata annunciata ieri sera dal Pentagono. Dovrebbe entrare in vigore all’inizio di gennaio, poco prima della fine del mandato del presidente degli Stati Uniti.

«Gli Stati Uniti non si stanno disimpegnando o ritirando dall’Africa», afferma il comunicato stampa del Pentagono, che aggiunge: «Restiamo impegnati con i nostri partner africani e forniamo loro un sostegno duraturo».

Washington promette di mantenere la capacità di condurre operazioni antiterrorismo in Somalia. L’esercito americano manterrà le sue basi in Kenya e Gibuti da dove partono i droni che effettuano attacchi in Somalia.

Secondo il Dipartimento della Difesa, parte dei 700 soldati statunitensi attualmente dispiegati in Somalia saranno assegnati al di fuori dell’Africa orientale mentre un altro sarà di stanza nelle vicinanze.

L’annuncio di questo ritiro arriva pochi giorni dopo la morte in combattimento sul posto di un ufficiale della CIA, membro di un’unità d’élite e avviene un mese prima delle elezioni legislative in Somalia. Questo preoccupa gli esperti, che temono una recrudescenza di attacchi terroristici nell’ambito della campagna.

Intanto, la Somalia ha deciso di richiamare il suo ambasciatore a Nairobi ed espellere l’ambasciatore keniota. In una dichiarazione, il ministero degli Affari esteri della Somalia ha accusato il Kenya di “palesi e palesi interferenze” negli affari interni del Jubbaland. «Nelle ultime settimane, è diventato evidente al governo federale della Somalia che il governo keniota sta esercitando una grande pressione politica sul presidente regionale del Jubaland, Axmed Maxamed Islaan, al fine di perseguire i suoi interessi politici ed economici in Somalia».

Non è la prima volta che le relazioni diplomatiche tra i due paesi sono tese. Dopo che i giacimenti petroliferi al largo della costa, contesi da entrambi, sono stati venduti all’asta dalla Somalia, il Kenya ha richiamato il suo ambasciatore a Mogadiscio lo scorso febbraio.

Lo stato del Jubaland, uno dei cinque stati semi-autonomi della Somalia e zona cuscinetto con il Kenya, è ora al centro delle tensioni diplomatiche tra i due paesi dell’Africa orientale.

Ma ciò che più turba molti somali è la presenza delle truppe keniote nelle forze dell’AMISOM, la missione dell’Unione africana in Somalia, vissuta come un radicamento del Kenya in Jubaland.

Marocco

La polizia marocchina ha annunciato ieri di aver arrestato tre uomini nella città settentrionale di Tetouan, sospettati di complotti terroristici e legami con il gruppo dello Stato Islamico.

Secondo il Central Bureau of Judicial Investigations, «gli uomini avevano registrato un video in cui si erano impegnati a giurare fedeltà al presunto emiro dell’IS». Nel video, gli uomini avevano anche specificato i principali obiettivi dei loro piani terroristici.

I sospetti avevano già effettuato diversi sopralluoghi per identificare i propri obiettivi, afferma il comunicato, aggiungendo che intendevano attaccare con esplosivi o con metodi simili a quelli usati da Daesh.

Gli oggetti sequestrati sono sostanze chimiche utilizzate per fabbricare ordigni esplosivi, uno striscione IS e diverse armi da fuoco.

I sospetti hanno un’età compresa tra i 21 e i 38 anni. Il Marocco, secondo un rapporto ufficiale, nel 2019 ha effettuato 79 arresti legati al terrorismo.

Ghana

Il Ghana, esempio di democrazia in Africa occidentale, si prepara a eleggere il suo presidente lunedì in un ballottaggio che si preannuncia particolarmente serrato tra due oppositori politici di lunga data.

Il presidente ghanese Nana Akufo-Addo, che corre per un secondo mandato presidenziale e il rivale di lunga data dell’opposizione politica, John Mahama, che è ex presidente e predecessore di Akufo-Addo, hanno firmato un patto di pace prima di affrontare le urne nelle prossime elezioni di lunedì.

Nel 2012 e nel 2016 si erano già scontrati per accedere alla carica suprema. Ciascuno ha vinto per poco uno dei due scrutini. Anche se altri undici candidati, tra cui tre donne, sono in corsa, la contesa vera appare essere fra i due principali contendenti, che dovranno convincere i 17 milioni di elettori ghanesi, più della metà dei quali ha meno di 35 anni.

https://twitter.com/cobbo3/status/1334801733554466816

Dall’inizio degli anni Duemila, questo paese ricco di oro, cacao e, più recentemente, petrolio ha registrato una forte crescita. E il tasso di povertà estrema si è dimezzato in meno di 25 anni.

Ma alcune regioni, soprattutto al nord, continuano a vivere in estrema povertà, senza acqua potabile né elettricità. Inoltre, la crisi causata dal coronavirus ha colpito duramente il Ghana, la cui crescita quest’anno dovrebbe limitarsi allo 0,9%, secondo il FMI, che è il tasso più basso osservato da oltre 30 anni a fronte del 6,5% del 2019.

Il presidente uscente è stato elogiato per la sua gestione della crisi e ha mantenuto alcune delle sue promesse per la campagna 2016 − in particolare sull’istruzione e l’accesso all’elettricità − ma ha deluso nel suo impegno principale: combattere attivamente contro la corruzione, dopo che il mandato di John Mahama è stato segnato da scandali.

Il procuratore speciale anti-corruzione, nominato dopo l’elezione di Akufo-Addo, si è dimesso a novembre, accusando il presidente di ostacolare il suo lavoro.

Da parte sua, Mahama dovrà far dimenticare le accuse di cattiva gestione economica che avevano impedito la sua rielezione nel 2016.

Nei sondaggi Akufo-Addo precede Mahama, ma la maggioranza del suo partito in parlamento potrebbe crollare.

Il coronavirus − che da marzo ha ufficialmente colpito più di 50 mila persone e ha provocato 300 morti – ha pesantemente influito anche sulla campagna elettorale.

Finora in Ghana non si sono avute violenze post-elettorali e le transizioni politiche sono state in gran parte pacifiche, a differenza di molti dei vicini. Tuttavia gli oppositori hanno accusato in particolare la commissione elettorale di mancanza di neutralità.

I due rivali politici hanno firmato venerdì “un patto di pace”, segno di un fortissimo attaccamento alla democrazia in questo paese.

Nella campagna elettorale hanno pesato le immagini del presidente Nana Akufo-Addo filmato mentre riceveva denaro in una busta. Le immagini risalgono al 2016, prima del suo arrivo al potere, e vengono contestate dal suo partito ma hanno creato scalpore e forte dibattito.

La scena si svolge a casa del presidente Nana Akufo-Addo, all’epoca ancora un semplice candidato. In un ufficio scarsamente illuminato, si vedono un uomo e una donna in abiti tradizionali chiacchierare con Akufo-Addo.

Secondo un’indagine della redazione del quotidiano Salis che ha pubblicato il video, i due visitatori, consegnandogli una busta piena di soldi, avrebbero chiesto al presidente di coprire un caso di corruzione, pagando l’equivalente di circa cinquemila euro.

Per l’avversario John Dramani Mahama, è semplicemente una tangente. Il caso mostrerebbe, secondo lui, il divario tra la realtà e la presunta immagine del cavaliere bianco nella lotta alla corruzione che Nana Akufo-Addo voleva forgiare, mentre secondo l’entourage del presidente si tratta di una fake news, poiché il denaro sarebbe stato una donazione.

Mali

Dopo il colpo di Stato dello scorso agosto, in Mali giovedì è finalmente stato reso noto l’elenco dei 121 membri del Consiglio nazionale di transizione (CNT), che ricoprirà il ruolo del parlamento dopo il lungo stallo tra militari e società civile.

A quasi due mesi dal giuramento del presidente Bah N’Daw e del suo vicepresidente, il colonnello Assimi Goïta, questo organo legislativo è l’ultimo anello del meccanismo previsto nel quadro della transizione che durerà 18 mesi.

Questo “parlamento di transizione” era al centro di aspre discussioni sull’equilibrio tra movimenti militari, politici e società civile e su quali personalità integrare.

L’elezione del presidente della CNT si terrà durante la sessione inaugurale, prevista per oggi 5 dicembre. Il colonnello Malick Diaw, numero 2 della giunta maliana che ha preso il potere il 18 agosto, è in cima alla lista ufficiale pubblicata. Il suo nome circola da diverse settimane per prendere la direzione del Consiglio nazionale di transizione. Per ottenere ciò le manovre di corridoio sono già iniziate. L’elezione del presidente della CNT avverrà in linea di principio questo sabato 5 dicembre.

Come previsto dalla Carta di Transizione, il CNT comprende soldati, membri di gruppi armati firmatari dell’accordo di pace di Algeri, membri di partiti politici, personalità del Movimento 5 giugno-RFP (il movimento di protesta che ha partecipato alla caduta dell’ex presidente Ibrahim Boubacar Keïta), sindacalisti… ma l’equilibrio numerico fra le parti ha creato molto malumore, in particolare dopo la pubblicazione, il 9 novembre, di un decreto che assegna 22 seggi ai militari contro solo 8 per l’M5-RFP e 11 per i partiti politici, che sono circa 120.

Diversi di loro hanno annunciato il desiderio di boicottare il CNT.

Anche i gruppi armati che hanno firmato l’accordo di pace e riconciliazione del 2015 stanno facendo un notevole ingresso nel CNT. In particolare, da segnalare la presenza del segretario generale del Movimento per la salvezza dell’Azawad (MSA) e del portavoce della Coalizione popolare per l’Azawad (CMA). Nel CNT presenti anche notabili del nord del paese, come Mohamed Ag Intall, presidente dei tradizionali e consueti chiefdom Tuareg del Mali, e Abdoul Magid Ag Mohamed Ahmed Al Ansary, detto “Nasser”, capo generale della tribù Kel Ansar di Timbuktu.

Intanto si è aperta la seconda udienza pubblica della Commissione per la verità, la giustizia e la riconciliazione sulle gravi violazioni dei diritti umani commesse in Mali dal 1960, creata nel 2014: «circa 19 mila vittime si sono fidate di noi» ha affermato il suo presidente.

Tornato a Bamako dal 21 ottobre, Ibrahim Boubacar Keïta è stato nuovamente posto agli arresti domiciliari. Dopo un mese e mezzo di permanenza ad Abu Dhabi per motivi di salute, il 21 ottobre Keïta è rientrato e vive a Bamako sotto la stretta sorveglianza della guardia presidenziale, di fatto agli arresti domiciliari.

Uganda

In Uganda, Bobi Wine, principale sfidante del presidente Yoweri Museveni per le elezioni presidenziali del 14 gennaio 2021, ha ricominciato giovedì la campagna elettorale, dopo un altro scontro con la polizia questa settimana. Martedì, il suo veicolo è stato preso di mira dalla polizia. Dall’apertura della campagna il mese scorso, gli incidenti si sono moltiplicati.

«Chiudono le strade, erigono posti di blocco, mi fanno seguire da uomini armati e ora sparano al mio veicolo», denuncia Wine.

Martedì, l’oppositore è stato nuovamente escluso dalla campagna elettorale. Il suo veicolo è stato bloccato a un posto di blocco a circa 50 chilometri da Kampala e la polizia ha sparato alle gomme della sua auto. Il candidato ha sospeso la sua campagna per 24 ore.

«La polizia e l’esercito hanno sparato ai pneumatici del mio veicolo. Ci viene continuamente impedito di prendere le strade principali dalla polizia e dall’esercito. Siamo costretti a prendere le piccole strade sterrate, e anche lì l’esercito è schierato e spara ai nostri simpatizzanti. La polizia non deve capire dove possiamo fare campagna».

La polizia ha reagito all’incidente, accusando Bobi Wine di non rispettare il percorso della sua campagna che gli vieta di passare per i centri cittadini, ufficialmente a causa del Covid-19, spiega Fred Enanga, portavoce della polizia: «Hanno puntato alle gomme per immobilizzare il veicolo perché c’era un posto di blocco sulla strada e Bobi Wine non ha voluto voltarsi. Non è stato preso di mira, nessuno vuole la sua vita. È sbagliato. Ma è testardo e fa quello che vuole».

La commissione elettorale, da parte sua, ha chiesto moderazione da entrambe le parti poiché manca ancora un mese e mezzo di campagna elettorale.

Intanto, la polizia si è scusata per le violenze commesse: ha deplorato il recente scontro che ha portato alcuni di loro a sparare proiettili veri che avevano ucciso più di 50 persone durante la manifestazione contro l’arresto di Bobi Wine.

Il direttore della polizia, responsabile delle operazioni, ha affermato che l’uso di proiettili veri per disperdere la folla non era richiesto, dicendo che gli agenti di polizia avrebbero potuto usare invece gas lacrimogeni. «Le circostanze in cui abbiamo perso quelle vite sono davvero deplorevoli e sarebbe stato evitato se i nostri ufficiali avessero usato gas lacrimogeni per disperdere i manifestanti. Tuttavia, è in corso un’indagine scientifica per stabilire quali pistole hanno sparato i proiettili veri e gli agenti che lo hanno fatto saranno ritenuti individualmente responsabili», ha detto.

Intanto, il Consiglio interreligioso dell’Uganda ha annullato il dibattito tanto atteso tra i candidati alla presidenza. Il dibattito, previsto per giovedì 3, è stato annullato a causa delle risorse limitate. I media locali hanno riferito che si prevedeva che un totale di dieci candidati alla presidenza avrebbero partecipato.

Repubblica Centro Africana

La Corte Costituzionale centrafricana ha invalidato la candidatura di François Bozizé alle elezioni presidenziali previste per il 27 dicembre. Con lui, altri quattro candidati sono stati bocciati.

L’ex presidente centrafricano, estromesso dal potere nel 2013 dalla ribellione dell’ex Séléka, non potrà partecipare alle elezioni presidenziali. La Corte ha emesso la sua decisione sotto l’alta protezione delle forze nazionali e della Minusca. Molte ONG e istituzioni hanno ora limitato i loro movimenti in previsione di possibili manifestazioni di malcontento. Nella capitale le forze di sicurezza sono visibilmente dispiegate.

La Corte ha ritenuto che le sanzioni delle Nazioni Unite contro di lui fossero incompatibili con una candidatura alla presidenza. «Il candidato è oggetto di un mandato di cattura internazionale emesso contro di lui il 31 marzo 2014 davanti ai tribunali del suo Paese, in particolare per omicidi, arresti, rapimenti, detenzioni arbitrarie e torture», ha precisato la Corte. L’organismo ha inoltre sottolineato che, «secondo i termini di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, il candidato è soggetto a sanzioni, rinnovate il 28 luglio 2020».

Le altre quattro candidature sono state respinte per corruzione e appartenenza a gruppi armati. Argomenti già avanzati dalla Corte Costituzionale per giustificare la sua decisione, il 28 novembre, di respingere diversi candidati nelle elezioni legislative che si terranno nella stessa data delle elezioni presidenziali.

Costa d’Avorio

L’ex capo di stato ivoriano Laurent Gbagbo, assolto dalla Corte Penale internazionale de L’Aja, dopo diversi mesi di attesa, ha recuperato, questo venerdì 4 dicembre, i suoi due passaporti: uno ordinario e uno diplomatico. Dal suo arresto nell’aprile 2011, Laurent Gbagbo non aveva più un documento di viaggio.

L’ex presidente aveva avviato le pratiche lo scorso luglio, ma si erano registrati molti ritardi nel rilascio dei documenti, proprio a ridosso della campagna elettorale. Ora, Gbagbo intende rientrare entro la fine dell’anno.

Parallelamente, Laurent Gbagbo continua a chiedere il rilascio dei leader politici e della società civile arrestati dopo le elezioni presidenziali del 31 ottobre. «Non possiamo imprigionare i leader perché hanno affermato il loro diritto di dire ‘no’ a un terzo mandato incostituzionale», denuncia ancora nel comunicato stampa. Attraverso la voce del suo avvocato, Laurent Gbagbo chiede il loro rilascio e «il ritorno in sicurezza degli esiliati» per ristabilire un clima di fiducia.

In un rapporto pubblicato mercoledì, l’ONG Human Rights Watch denuncia l’entità della violenza post-elettorale in Costa d’Avorio e chiede alle autorità di indagare sulla morte di circa 50 persone che hanno perso la vita in scontri o violenze intercomunali.

HRW denuncia l’uso eccessivo della forza da parte delle forze di sicurezza, che avrebbero sparato proiettili veri per disperdere una manifestazione dell’opposizione.

Viceversa, in alcuni casi, le testimonianze raccolte da questa ONG evocano il deterioramento della situazione legato all’assenza della polizia.

Sia l’opposizione che il partito al governo sono stati coinvolti in alcuni atti di violenza, specifica l’ong, che domanda alle autorità di avviare indagini indipendenti per assicurare alla giustizia gli autori delle violenze.

Altro caso clamoroso riguarda il duo musicale Zouglou: domenica scorsa, durante un concerto, i due cantanti Yodé e Siro avevano accusato il pubblico ministero Richard Adou di perseguire solo attivisti dell’opposizione, nell’ambito delle indagini sulle violenze elettorali nelle elezioni presidenziali dello scorso 31 ottobre.

Il giudice ha condannato i due a un anno di reclusione con sospensione della pena e cinque milioni di franchi CFA ciascuno.

Niger

In Niger, mercoledì 2 dicembre, è iniziata la campagna elettorale per le elezioni municipali e regionali. Quasi 7,5 milioni di elettori dovrebbero votare domenica 13 dicembre per scegliere i propri funzionari eletti locali. Queste prime votazioni serviranno da pallone di prova poche settimane prima delle successive elezioni politiche del 27 dicembre, mentre il paese è in preda a una crescente insicurezza, soprattutto nella regione di Tillabéri, nel sud-ovest del paese.

Le elezioni locali sono ancora un fenomeno recente per il Niger. Prima del decentramento degli anni ’90, il potere centrale nominava, infatti, gli amministratori delegati.

Il 13 dicembre, 8 regioni e 266 comuni sceglieranno i loro rappresentanti eletti a livello locale.

Coronavirus

L’Africa sta affrontando la seconda ondata della pandemia di coronavirus. Molti paesi del continente stanno registrando un focolaio di nuovi casi, secondo l’agenzia sanitaria specializzata dell’Unione africana (CDC-Africa).

Il direttore dell’agenzia, John Nkangasong, questo fine settimana ha concluso la sua missione di valutazione per la pandemia nella Repubblica Democratica del Congo. Mette in guardia dal mancato rispetto delle misure imposte, rassicura sugli sforzi in atto per assicurare un vaccino contro il virus anche agli africani, ma aggiunge che probabilmente quseto non sarà disponibile prima della seconda metà del 2021.

Sudafrica

Il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa ha annunciato giovedì nuove restrizioni localizzate per arginare una recrudescenza di Covid-19 nel sud del paese, tra i crescenti timori che nuove infezioni possano trasformarsi in una seconda ondata.

Le autorità nel paese più colpito dal virus in tutta l’Africa sono sempre più preoccupate per le epidemie di cluster nelle province del Capo orientale e del Capo occidentale, esplose il mese scorso.

Gli esperti temono che l’aumento potrebbe diffondersi ulteriormente durante le prossime vacanze estive, quando i cittadini attraversano le province per trascorrere il Natale e il Capodanno con la famiglia e gli amici.

«Abbiamo sempre saputo che una seconda ondata di infezioni è possibile in Sud Africa se non prendiamo le misure necessarie», ha detto Ramaphosa in un discorso alla nazione giovedì, osservando che «questo virus non si prende una vacanza».

Mercoledì il Sudafrica ha registrato oltre 4.400 nuove infezioni, il più alto aumento nelle 24 ore da metà agosto.

Mauritania

Scuole e università saranno chiuse per dieci giorni. S i tratta di un provvedimento motivato dall’impennata di nuovi casi di coronavirus registrati nelle ultime settimane. Quasi 159 casi sono stati registrati nelle ultime 24 ore. Dall’inizio della pandemia lo scorso marzo, la Mauritania ha registrato 9.000 casi di infezione, di cui 7.900 guarigioni e 181 decessi. Il tasso di morte è accelerato negli ultimi giorni.

L’evoluzione negativa della pandemia preoccupa le autorità mauritane. Il virus sta circolando rapidamente e ovunque, spiega ai microfoni di RFI il dottor Sidi Ould Zahaf, direttore generale della sanità pubblica: «È difficile spiegare la ricomparsa di Covid-19, è diventata una malattia endemica, quindi, come qualsiasi malattia trasmissibile endemica, può aumentare. Quando le condizioni sono favorevoli, il virus dà picchi epidemici. Ed è quello che stiamo vivendo attualmente, noi in Mauritania».

Per frenare la diffusione del virus, il Direttore Generale della Salute chiede il rispetto delle misure preventive: il lavaggio sistematico delle mani, l’obbligo di indossare una maschera e il rispetto delle distanze sociali, in particolare nei luoghi pubblici come mercati e moschee. Anche il governo mauritano ha deciso di ridurre la presenza dei dipendenti pubblici nelle pubbliche amministrazioni.

Africa

Anche quest’anno, il Global Firepower World Ranking, appena pubblicato, mostra che l’Africa è ancora ampiamente militarizzata. La classifica della forza militare 2020 del sito globalfirepower.com dimostra che la rinuncia alle spese militari non è all’ordine del giorno nel continente africano.

Egitto, Algeria e Sudafrica sono in testa alla classifica africana. Gli analisti del gruppo Global Firepower forniscono, ogni anno, la classifica del “PowerIndex”, che raccoglie i dati militari di oltre 125 Stati. Secondo i molti parametri esaminati, l’Egitto, per esempio, risulta dotato di un esercito con un potere più forte di paesi come l’Italia, la Danimarca o l’Australia, o di alcune nazioni note per essere molto militarizzate: Iran, Turchia, Pakistan, Israele o persino Arabia Saudita.

Costa d’Avorio e Ghana

La Costa d’Avorio e il Ghana continuano la loro resa dei conti con le multinazionali del cioccolato. I due paesi, che concentrano i due terzi della produzione mondiale di cacao, le accusano di rifiutarsi di pagare il decente differenziale di reddito (DRD), il premio di 400 dollari per tonnellata destinato ai coltivatori.

Gli organismi di regolamentazione, l’Ivorian Coffee-Cocoa Council (CCC) e il Ghanaian Cocoa Board (Cocobod), hanno lanciato una campagna mediatica contro queste multinazionali, molto preoccupate per la loro immagine e per l’immagine del cacao che acquistano. Le multinazionali  certificano questo cacao per garantire che non sia prodotto da bambini o che non contribuisca alla deforestazione. Hershey è una delle aziende particolarmente segnalate nella lista nera del Ghana e della Costa d’Avorio, che l’hanno sospesa da tutti i loro programmi di certificazione.

Adama Coulibaly, ministro dell’Economia e delle Finanze della Costa d’Avorio, sostiene la lotta dei produttori ivoriani e ghanesi: «Attualmente solo il 6% del business del cioccolato va ai coltivatori. Non è accettabile. […] Quindi stiamo lavorando per garantire che i produttori di cioccolato possano rispettare i loro impegni».

Per il ministro dell’Economia sono in corso discussioni: «Non è solo il governo ivoriano; ci coordiniamo molto bene con il Ghana. Posso dirti che le cose stanno andando per il verso giusto e che molto presto le cose torneranno alla normalità».

Madagascar

Il Madagascar soffre di una forte mancanza di piogge, che porta a carenze di acqua potabile in diverse regioni del paese, e non solo nel sud dove la carestia è diffusa. Nel sud del Madagascar colpito dalla siccità, le persone sono costrette a saziarsi con argilla bianca mescolata con tamarindo per far fronte alla carestia. Più di un anno senza pioggia sta portando la gente del posto sull’orlo della carestia. L’alimento base, il frutto di cactus, non può essere prodotto a causa della siccità. I bambini hanno particolarmente faticato a digerire la miscela di argilla e tamarindo. Secondo il World Food Programme (WFP) questo provoca gonfiore alla pancia.

La metà della popolazione nella regione meridionale dell’isola dell’Oceano Indiano ha attualmente bisogno di aiuti alimentari di emergenza, ha affermato l’agenzia delle Nazioni Unite.

Théodore Mbainaissem è a capo dell’ufficio di Ambovombe per il World Food Program (WFP). «La gente non poteva uscire a causa del blocco. A ciò si aggiunge l’insicurezza alimentare causata dai cambiamenti climatici, che è stata molto grave quest’anno», ha detto.

Il WFP ha dichiarato che sono urgentemente necessari circa 31 milioni di euro per nutrire gli affamati nel Madagascar meridionale.

Anche se la siccità non è rara nella zona, questo periodo di siccità è stato aggravato dal cambiamento climatico. Per due o anche tre anni, in alcune comunità, non c’è stata pioggia.

La crescente insicurezza e i furti di bestiame hanno esacerbato la povertà e complicato gli sforzi umanitari. Il governo ha schierato i militari per distribuire cibo e pronto soccorso nella zona.

Mentre la stagione delle piogge dovrebbe essere in pieno svolgimento, il dipartimento meteorologico ha deciso la scorsa settimana di avviare “piogge artificiali” per consentire alle sorgenti di rigenerarsi. La prima località a beneficiarne è stata quella di Fianarantsoa, nelle Highlands.

Le nuvole devono essere seminate per influenzare le precipitazioni, ma sono necessarie molte condizioni, spiega Stéphason Kotomangazafy, Direttore di Meteorologia Applicata in Madagascar: «Prima di tutto, abbiamo bisogno di nuvole adatte e procediamo alla provocazione. È la creazione di ciò che si intende per “nucleo di condensazione”, cioè una particella che accelera la formazione di goccioline d’acqua. E dopo la formazione di goccioline d’acqua, è la precipitazione».

Al di là del suo ingente costo, la precipitazione rimane casuale e deve essere ripetuta più volte.

Le prossime piogge artificiali si svolgeranno il 6, 7, 8 dicembre al sud e un’altra è prevista per dicembre per la capitale.

Namibia

170 elefanti, in Namibia, saranno venduti a causa della pressione della siccità e del conflitto territoriale con gli esseri umani.

I pachidermi in vendita comprenderebbero interi branchi al fine di preservare l’importante struttura sociale nelle comunità di elefanti.

Ai fini dell’esportazione, gli acquirenti devono garantire che i requisiti CITES siano soddisfatti sia dagli stati esportatori che da quelli importatori affinché il commercio sia autorizzato.

Il paese semi-arido dell’Africa meridionale, scarsamente popolato, è stato recentemente criticato per aver sparato agli elefanti per controllare la sovrappopolazione.

Secondo stime ufficiali, la Namibia ospita circa 28.000 elefanti.

L’anno scorso il governo ha offerto in vendita circa 1.000 animali tra cui 600 bufali, 150 springbok, 60 giraffe e 28 elefanti.

Francia

Dal 6 dicembre, i canali televisivi France 2 e TV5 Monde lanciano “Oh! AfricArt”, un breve programma sull’arte africana contemporanea.

Ormai da diversi anni l’arte africana contemporanea ha ottenuto riconoscimenti internazionali, attirando collezionisti e investendo in fiere specificamente dedicate. Lentamente, l’entusiasmo di questo piccolo mondo di creatori ha raggiunto il grande pubblico. Da qui, la decisione di due importanti canali televisivi francesi (che raggiungono tra 2,5 e 3 milioni di spettatori) di lanciare un nuovo programma dedicato agli artisti contemporanei del continente africano.

La serie consisterà in 24 programmi di un minuto e mezzo ciascuno. Ogni puntata avrà lo scopo di presentare, a partire da un’opera, un artista e un paese. «Il nostro desiderio è mostrare, attraverso le dinamiche e la vitalità della scena artistica, un’Africa in movimento che scrive storie nuove, un continente in piena effervescenza», scrivono gli autori.

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