Declino demografico e prospettive economiche
Scritto da Pasquale Angius in data Dicembre 14, 2022
Il declino demografico dell’Italia è ormai un dato certo, cerchiamo di capirne le ragioni.
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Le teorie di Malthus
Thomas Robert Malthus era un filosofo, sociologo ed economista britannico che nel 1798 pubblicò un libro intitolato: “Saggio sul principio della popolazione e i suoi effetti sullo sviluppo futuro della società”. Nella seconda metà del Settecento l’economia cominciava a differenziarsi dalla filosofia per diventare una branca autonoma delle scienze sociali e quello di Malthus fu uno dei primi studi nei quali ci si occupava dei problemi demografici. La tesi centrale sostenuta in quel libro era che la popolazione cresceva ad un ritmo superiore rispetto alla disponibilità di prodotti alimentari e quindi per sostentare i nuovi nati si finiva per estendere le colture a terreni sempre meno fertili e quindi meno produttivi. A lungo andare ci sarebbe stata una penuria di prodotti alimentari che avrebbe causato carestie, epidemie, guerre che avrebbero ridotto la popolazione e quindi lo sviluppo economico. Da quell’idea, poi non confermata dall’evoluzione storica, nacque una corrente di pensiero chiamata malthusianesimo che sosteneva la necessità del controllo delle nascite per evitare crisi economiche. Teorie analoghe rispuntano periodicamente e vengono applicate anche ad altri prodotti. Le biblioteche sono piene di volumi che predicevano l’esaurimento a breve delle riserve mondiali di petrolio e gas, teorie regolarmente smentite dai progressi tecnologici e dalla scoperta di sempre nuovi giacimenti. Dei combustibili fossili dovremmo in futuro farne a meno non per un loro esaurimento fisico ma perché troppo inquinanti.
Le catastrofiche previsioni di Malthus non si sono verificate anche se gli economisti utilizzano ancor oggi il concetto di “trappola malthusiana”, riferendosi all’esperienza di alcuni paesi in via di sviluppo negli ultimi decenni. Per esempio il Ruanda, piccolo paese dell’Africa Centrale, assurto tragicamente agli onori della cronaca nel 1994 quando ci fu il genocidio dei tutsi, quasi un milione di persone massacrate a colpi di machete, bastoni chiodati e armi da fuoco, nell’indifferenza della comunità internazionale. Nei decenni precedenti l’economia ruandese, che si basava sulla coltivazione e l’esportazione di tè e caffè, era cresciuta ma tutto l’aumento del PIL era stato annullato da una forte crescita demografica. Alla vigilia del genocidio il reddito pro capite nel paese era tornato ai livelli dell’inizio degli anni Sessanta.
Dinamiche della popolazione ed economia
Gli economisti si sono sempre occupati di demografia perché le dinamiche della popolazione influenzano la crescita economica, la struttura produttiva, la sostenibilità del debito pubblico o, per fare un esempio facilmente comprensibile, la sostenibilità del sistema pensionistico. In Italia oggi le pensioni vengono pagate con il cosiddetto sistema “a ripartizione” cioè i versamenti di coloro che lavorano vengono utilizzati per pagare le pensioni di chi non lavora più. Ma ciò significa che per mantenere in equilibrio il sistema, ci dovrà essere un numero sufficiente di gente che lavora e paga i contributi, ma significa anche che, man mano che la popolazione invecchia e aumenta il numero dei pensionati, si farà sempre più fatica a pagare le pensioni e quindi bisognerà intervenire o aumentando l’età nella quale si va in pensione o aumentando i contributi a carico dei lavoratori o aumentando la quantità di persone che lavorano e pagano i contributi.
Il problema che oggi deve affrontare un paese come l’Italia ma anche la gran parte degli altri paesi europei non è legato all’eccesso di popolazione ma l’esatto contrario, quello che gli studiosi hanno chiamato “inverno demografico”. I tassi di natalità si riducono e la popolazione invecchia.
Qualcuno potrebbe pensare che la riduzione della popolazione non sia di per sé una cattiva notizia. In fondo su questo pianeta siamo già in troppi e facciamo troppi danni, stiamo distruggendo l’ecosistema. Inoltre se siamo di meno stiamo più larghi, avremo meno traffico e magari potremmo essere più ricchi e vivere meglio. Purtroppo le cose non stanno proprio così e le questioni demografiche che sono molto complesse e delicate hanno conseguenze rilevanti sulle nostre economie e quindi sulle nostre vite.
I dati ISTAT sulla popolazione italiana
Cominciamo a vedere qualche dato preso da studi e analisi fatti dall’Istat, il nostro istituto di statistica. Nel 2021 la popolazione italiana è diminuita di 253.000 unità, arrivando a 59,2 milioni di abitanti.
I decessi sono stati 709.000, i nuovi nati sono stati 400.000, il saldo tra immigrati ed emigrati è stato di 56.000 persone.
Nel 2022 è previsto un ulteriore calo che porterà la popolazione residente al di sotto dei 59 milioni. Negli ultimi anni abbiamo avuto il problema del Covid che ha aumentato la mortalità, dal 2020 ad oggi ci sono stati 182.000 decessi causati da questa pandemia. Ma anche se prendiamo i dati degli anni precedenti, quindi dal 2019 in giù, la tendenza al declino della popolazione italiana è ormai consolidata. Nel 2019 su 107 province italiane soltanto una, quella di Bolzano, aveva più nati che morti.
Le nascite si riducono di circa 14.000 unità all’anno, attualmente siamo su poco meno di 400.000 nuovi nati ogni anno, proseguendo con questo trend tra trent’anni le nascite saranno a zero. Soltanto vent’anni fa, all’inizio del nuovo secolo, nascevano in Italia 545.000 bambini all’anno. Dall’altro lato i decessi aumentano perché la popolazione invecchia e il tasso di mortalità cresce perché nelle classi di età più avanzate la probabilità di morte è più elevata. Se il numero dei decessi cresce e quello dei nuovi nati diminuisce la popolazione del paese si riduce.
Se a ciò si aggiungono la ridotta percentuale di donne in età fertile, la minor propensione a creare coppie e la minor propensione delle coppie a fare figli abbiamo la “tempesta perfetta” dal punto di vista demografico.
Secondo una proiezione dell’Istat, la popolazione italiana si ridurrà entro il 2070 a poco più di 47 milioni contro i poco più di 59 attuali ed entro la fine del secolo saremo un paese di 30 milioni di abitanti. Proseguendo con il trend attuale nel 2070 il Nord del paese avrà perso il 12% della popolazione che aveva nel 2020, il centro perderà il 18% e il Sud addirittura il 33%.
Ci saranno intere aree del Mezzogiorno che resteranno spopolate. Questo dato è un po’ un ribaltamento di quello che è avvenuto nei decenni passati quando il Mezzogiorno era in un certo senso la “sala parto” del paese. I tassi di natalità al Sud erano più elevati e i meridionali emigravano prima all’estero e poi nelle più floride regioni del Nord in cerca di lavoro e di fortuna. Tra cinquant’anni, stando a queste proiezioni, il Sud avrà perso un terzo della sua popolazione. Il divario tra Nord e Sud del paese mai colmato si accentuerà anche per ragioni demografiche.
Ma riduzione e invecchiamento della popolazione significa che perderemo forza, energia, vitalità, e questo fatto influirà anche sulla dinamicità del nostro sistema economico che avrà minore slancio creativo, minore capacità d’innovazione, minore propensione a creare nuove imprese, minore capacità di produrre ricchezza.
Ma perché si fanno meno figli? Rispondere a questa domanda non è semplice ma partiamo da un dato, il tasso di fecondità della popolazione italiana, detto in maniera semplice il numero medio di figli per donna in età fertile. Questo tasso in Italia è pari a 1,2, un valore molto basso. Ma cosa significa questo dato? Scomponiamolo, la popolazione femminile in età feconda, cioè le donne tra i 15 e i 49 anni, arrivano al limite d’età dei 49 anni in questo modo, il 25%, quindi un quarto del totale non fa fatto figli, un 40% ha fatto 1 figlio, il 30% ne ha fatti 2 e il restante 5% ha fatto più di 2 figli. Quindi la maggioranza delle donne, il 40% si orienta sul figlio unico.
La scelta del figlio unico
Le ragioni che portano le coppie a preferire il figlio unico sono molteplici. Innanzitutto sono ragioni di carattere sanitario. I progressi della scienza e della medicina hanno ridotto a percentuali molto basse la mortalità infantile. Fino a 50 o 100 anni fa si facevano molti figli anche perché esisteva una probabilità abbastanza elevata che qualcuno non arrivasse all’età adulta, i figli erano per i genitori braccia da lavoro per chi viveva nelle campagne, la maggioranza della popolazione, i figli rappresentavano per i genitori l’assicurazione di essere accuditi da qualcuno nella vecchiaia in un’Italia nella quale il sistema pensionistico non era universale e così generoso come quello attuale.
Le altre ragioni per le quali le coppie si orientano sempre più per il figlio unico sono di natura economica. Oggi i figli si tende a farli studiare il più a lungo possibile anche quando non hanno grande propensione per lo studio. Ma portare un figlio fino all’università significa che fino all’età di 23, 24, 25 anni occorrerà mantenerlo. Quindi per un quarto di secolo una parte importante delle risorse economiche di una famiglia dovranno essere dedicate al mantenimento del pargolo, anche oltre la maggiore età. Se subito dopo la laurea non trova lavoro o trova posizioni lavorative precarie la famiglia dovrà mantenerlo fino ai 30 anni e anche oltre. Se i figli sono due o più l’investimento economico diventa oggettivamente impegnativo.
I figli costano troppo
Mantenere un figlio oggi è molto più complicato, dal punto di vista economico rispetto ad una volta. I figli non basta mandarli a scuola, se hanno qualche difficoltà o qualche carenza occorrerà pagargli corsi e lezioni di recupero, poi bisogna mantenerli nelle attività sportive, nelle attività ricreative, dal corso di danza a quello di teatro, per fare degli esempi, ma poi bisogna mantenerli anche nelle attività ludiche, e dargli le paghette settimanali il cui importo cresce proporzionalmente con l’età. Ma poi ci sono le vacanze, i corsi studio all’estero per imparare le lingue, il computer nuovo, l’ultimo modello di cellulare, la connessione internet, il motorino, l’auto e quant’altro. In sintesi oggi i figli sono un vero e proprio investimento e quindi se ne fanno di meno perché costano troppo.
Ma ci sono anche altre ragioni per cui si fanno meno figli, ragioni che vengono poco esplicitate perché facilmente strumentalizzabili da parte di coloro che per ragioni ideologiche o religiose difendono il modello di famiglia cosiddetto “tradizionale”.
Oggi le donne come anche gli uomini ritengono che la carriera, la professione, la realizzazione nel lavoro sia un valore importante al quale non intendono rinunciare e quindi non possono dedicare tutte le loro energie esclusivamente alla crescita dei figli. Ma c’è anche una ragione che potremmo definire “edonistica”, pochi pensano ormai che scopo principale della vita di ciascuno di noi sia soltanto quello di crescere la prole. Pochi oggigiorno pensano di poter trovare la loro realizzazione personale esclusivamente nella creazione di una famiglia e nella crescita dei figli. I figli possono essere una tappa della propria realizzazione personale ma possono anche non esserci. Oggi chi ha 30, 40, 50 o 60 anni, che sia maschio o che sia femmina, finito il lavoro, si vuole anche divertire, vuole viaggiare, vuole aver tempo per seguire i suoi hobby, le sue passioni. Se devi crescere 3 o 4 figli di tempo da dedicare a te stesso ne resta oggettivamente molto poco. Qualcuno direbbe che questa è una motivazione di tipo egoistico. Il termine è discutibile in quanto implicitamente esprime un giudizio di valore e quando si cerca di fare un’analisi, cioè di fotografare una realtà i giudizi morali, ideologici o religiosi andrebbero accantonati. In ogni caso è un dato di fatto che le coppie molto religiose che siano cattoliche, ebraiche o musulmane, tendono a fare più figli. Chi segue un percorso di fede ha una maggior propensione a sacrificarsi per i figli e a considerare i figli come la ragione fondamentale della sua esistenza.
Nella scelta di non fare figli o di farne al massimo uno c’è poi un fenomeno difficile da ammettere, perché non rispetta le liturgie del “politically correct”, e che svela un lato o un aspetto del nostro modo di concepire la vita che ci spaventa o quantomeno ci lascia perplessi. I figli sono molto, forse troppo impegnativi, in una società nella quale siamo sottoposti a continui stimoli per essere efficienti e competitivi nel lavoro, altrimenti il lavoro lo perdi, perché c’è sempre qualcuno più efficiente di te, una società nella quale l’affermazione di sé passa attraverso immagini e modelli di “persone vincenti” che i mass media ci portano quotidianamente ad esempio e che amplificano, una società nella quale non si può apparire affaticati ma bisogna essere sempre brillanti, se non più giovani quantomeno giovanili, se non belli quantomeno piacenti, se non soddisfatti quantomeno spensierati, in una società cioè sempre più competitiva in ogni ambito i figli assorbono una quantità enorme di energie e di risorse non soltanto economiche ma anche psicologiche, affettive e di tempo. Oggettivamente è più facile da gestire un cane, un gatto o qualche altro animale da compagnia. Gli dai la sua ciotola quotidiana, lo porti a fare la passeggiatina e ti dà sempre ragione, non ti contesta mai, ti vuole bene senza se e senza ma, richiede in effetti un dispendio di energia molto inferiore. Ebbene sì i figli sono certamente una cosa meravigliosa ma sono anche una colossale rottura di scatole. Questo è un pensiero che attraversa tutti, sia coloro che i figli li hanno fatti, sia coloro che i figli non li hanno fatti, ma è difficile riconoscerlo.
Il settore degli animali da compagnia è in costante crescita nel nostro paese ed è impermeabile alle crisi, la ragione in parte è dovuta al fatto che parecchie persone ai molto impegnativi “figli umani” preferiscono i meno impegnativi “figli pelosi”, come vengono chiamati ormai gli animali domestici.
A ciò si aggiunga che i figli, proprio perché sono sempre meno diventano estremamente preziosi e quindi in una coppia quando nasce un figlio diventa il re, l’imperatore, il tiranno al quale tutto è dovuto e al quale tutto si può e si deve sacrificare. Da quel momento in poi la vita dei genitori è un percorso di guerra per soddisfare gli impegni, le esigenze, le voglie, le aspirazioni del piccolo dittatore che ha preso possesso dei loro beni e delle loro vite. A quel punto l’unico modo per difendersi è limitare i danni per cui molte coppie optano per la scelta del figlio unico. Un tiranno si può soddisfare ma due o più diventerebbero incompatibili con la sopravvivenza!
Ma cosa si può fare per affrontare quello che è stato chiamato l’inverno demografico? Nessuno ha in tasca la formula magica. Sono state avanzante diverse soluzioni ma le analizzeremo nella prossima puntata.
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