La nascita della Panini e il business delle figurine

Scritto da in data Maggio 17, 2021

All’inizio degli Anni Sessanta nasce a Modena l’azienda Panini, che in pochi decenni diventerà leader mondiale nel comparto delle figurine adesive: ripercorriamone la storia.

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La storia del cinese e dell’americano

Molti pensano, erroneamente, che per metter su un’azienda e per far soldi occorra un’idea veramente geniale. Ci vengono in mente personaggi come Steve Jobs fondatore della Apple, Bill Gates fondatore della Microsoft o, per restare in Italia, Guglielmo Marconi inventore della radio o Enzo Ferrari fondatore dell’omonima casa automobilistica. Dicevamo erroneamente, perché in realtà non è necessario inventare la ruota per mettere in piedi un business milionario.

Nei corsi di management si racconta talvolta la storia del cinese e dell’americano. La storia è più o meno questa. Ci sono un cinese e un americano che camminano nella savana e a un certo punto davanti a loro si staglia un leone. I due restano paralizzati dalla paura per qualche secondo, poi il cinese, rapidamente, apre il suo zaino e comincia a mettersi ai piedi un paio di scarpe da ginnastica. L’americano lo guarda con un’aria di evidente compatimento poi sbotta: «Non penserai mica di riuscire a correre più veloce del leone?». Il cinese non si scompone minimamente e risponde: «Certo che no, mi basta correre più veloce di te!».

Cosa ci vuol dire questa storia? Che non è necessario avere l’idea del secolo per mettere su un business che funziona. Non c’è bisogno di correre più veloce del leone, impresa oggettivamente impossibile. Molte idee imprenditoriali sono delle idee semplici, persino banali, ma non sono né semplici né banali le modalità con le quali quell’idea viene sviluppata.

Molte idee imprenditoriali, poi, nascono non tanto da un’attenta analisi di mercato, da calcoli e proiezioni sui possibili guadagni ma semplicemente da una passione, da un hobby, da una di quelle attività a cui ognuno di noi dedica del tempo semplicemente perché si diverte e ne trae soddisfazioni non di natura economica.

In altri casi le idee imprenditoriali nascono per caso. Spesso è un mix di diverse componenti che porta al successo un’azienda e un imprenditore.

Oggi racconteremo la storia di un’azienda, la Panini, nata all’inizio degli anni Sessanta e che è diventata in pochi decenni leader mondiale nel settore delle figurine da collezione. Chiunque sia nato dalla metà degli anni Cinquanta in poi ha giocato con e collezionato album e raccolte di figurine.

Nel 2020 il Gruppo Panini, oggi una multinazionale con sedi in tutto il mondo, dalla Russia alla Francia, dagli Stati Uniti al Sud America, che si occupa di produzione e distribuzione di figurine, fumetti e altri prodotti editoriali, ha raggiunto un fatturato superiore agli 800 milioni di euro. I fondatori dell’azienda, la famiglia Panini, non ci sono più ma il marchio è conosciuto in tutto il mondo e la città di Modena, che ospita la sede centrale del gruppo, è diventata un punto di riferimento mondiale per i collezionisti.

La storia di Antonio Panini

Antonio Panini era nato nel 1897 in un paesino vicino Modena, Pozza di Maranello, figlio di contadini. Richiamato alle armi durante la Prima Guerra Mondiale fu arruolato nella nuova arma, l’Aviazione. Riuscì a salvare la ghirba e a tornare a casa alla fine del conflitto.

In quel primo dopoguerra Antonio conosce Olga, la figlia di un casaro, un piccolo artigiano che produceva formaggi. I due giovani misero su famiglia e si diedero subito da fare dando vita in una decina d’anni a ben 8 figli, quattro maschi e 4 femmine.

Antonio, da sempre appassionato di cose meccaniche, dovendo darsi da fare per mantenere la famiglia aveva conseguito un brevetto per conduttore di caldaie a vapore e aveva trovato un incarico presso l’Accademia Militare di Modena, un’istituzione prestigiosa in quella piccola città di provincia.

Nell’Italia del Ventennio fascista Antonio tira su la famiglia lavorando senza sosta, i soldi non bastano mai e d’altronde mantenere otto figli è un’autentica impresa. Ma poi il destino cinico e baro si presenta a chiedere il conto quando meno te lo aspetti. Antonio si ammala improvvisamente: è un tumore, lui guarda angosciato i suoi figli e si domanda come avrebbero fatto senza di lui. Il 9 novembre del 1941 Antonio Panini si spegne e, per ironia della sorte, quello stesso giorno il suo primogenito Giuseppe, che aveva 16 anni e da poco aveva cominciato a lavorare in un’officina dove riparavano biciclette, riceve il suo primo stipendio. Quei soldi serviranno per il funerale del padre.

L’Accademia Militare che conosceva e apprezzava il caldaista Antonio e sapeva che lasciava una moglie e otto figli offre a Olga un lavoro come sarta. Il lavoro è pesante e i soldi non bastano mai, in più era cominciata una nuova guerra.

Una sera la figlia Veronica, che lavorava come dattilografa presso uno studio legale di Modena, le racconta una confidenza che le ha fatto il suo titolare, l’avvocato Guidelli. Un suo socio aveva dato in gestione un’edicola a una persona che non pagava l’affitto, e quindi stava pensando di chiuderla, quell’edicola.

Olga però vede una possibilità. Il periodo è nero, la guerra sta finendo ma c’è ancora il fascismo nel Nord Italia, l’acquisto di un’edicola non è un gran business, la gente ha altre priorità e altri problemi, non si affanna certo a comprar giornali. Ma Olga ci crede e riesce a recuperare le 6.000 lire che servono per rilevare quell’edicola nella piazza centrale di Modena e all’inizio del gennaio del 1945 comincia l’avventura.

La scommessa di Olga Panini

Come le sia venuto in mente di rilevare un’edicola in piena guerra non lo sa nessuno, forse fu la passione, o forse l’intuito. Olga aveva fatto le scuole elementari ma poi aveva dovuto smettere, non c’era la possibilità di andare oltre anche se le sarebbe piaciuto continuare, ma le era rimasta la passione per la lettura e anche, per la scrittura. Ogni tanto declamava ai suoi figli poesie famose che aveva imparato a memoria e quando aveva tempo scriveva piccole storie.

Certo, pensare di fare business con un’edicola ci voleva una discreta dose di incoscienza o una dose altrettanto robusta di capacità di visione. Nell’Italia di quegli anni l’analfabetismo era ancora diffuso e quindi molti italiani non compravano giornali perché non sapevano leggere. Poi c’era il regime fascista che controllava la stampa, c’erano tanti giornali ma alla fine dicevano tutti le stesse cose, erano tutti soggetti al controllo della censura e delle direttive del Minculpop, il ministero della cultura popolare.

A dispetto di tutto ciò, il 6 gennaio del 1945 quell’edicola sulla piazza del Duomo di Modena veniva aperta dalla famiglia Panini.

La scommessa di Olga da lì a qualche mese si sarebbe rivelata lungimirante. La fine del regime e la fine della guerra significarono anche la fine del pensiero unico. La voglia di discutere, di dibattere, di conoscere degli italiani trovò sfogo in una gran quantità di nuove pubblicazioni di tutte le tendenze politiche. Dopo vent’anni di partito unico gli italiani avevano ansia di conoscenza, di informazione, di verità non ce n’era più soltanto una, quella raccontata dal regime, ma ognuno, finalmente, poteva raccontare la sua. Nell’immediato dopoguerra nacquero un’infinità di giornali in ogni angolo della penisola, le nuove forze politiche diffondevano le loro idee e le loro proposte soprattutto attraverso la stampa. Le edicole traboccavano di giornali, riviste, bollettini e la gente li comprava.

Ma in quel dopoguerra, nell’Emilia in gran parte rossa la lotta politica era molto accanita. Nel 1948 il Fronte Popolare, che univa il Partito Comunista con i socialisti, fu sconfitto dalla Democrazia Cristiana. In quel periodo, vicino a Modena, in provincia di Parma, viveva un intellettuale di destra, Giovannino Guareschi che aveva pubblicato una serie fortunata di romanzi con le storie di Don Camillo e Peppone da cui furono tratti anche film di grande successo. Ma Guareschi era anche direttore di un settimanale di satira che si intitolava il “Candido” che prendeva di mira soprattutto i comunisti e l’Unione Sovietica.

Un giorno si racconta che dei militanti del PCI si presentarono all’edicola dicendo che avevano l’ordine da parte del partito di sequestrare e bruciare tutte le copie di quella rivista. La signora Olga non si fece intimidire e rispose senza peli sulla lingua che loro potevano anche bruciarle le copie di quella rivista ma soltanto dopo che le avessero acquistate e pagate perché lei aveva otto figli da mantenere e quindi affamare i suoi figli non era proprio in linea con le idee del comunismo. I militanti si guardarono perplessi, dissero che avrebbero dovuto chiedere lumi ai loro capi, ma se ne andarono e non si presentarono mai più.

I fumetti e le “buste a sorpresa”

Ma nel dopoguerra in quell’edicola si vendevano anche nuovi prodotti. Per esempio, si vendevano sempre più fumetti, quelli che erano chiamati “nuvole parlanti”, che avevano sempre più successo tra i ragazzini. Nel 1948 escono i primi fumetti di Tex Willer, ambientati nel Far West anche se pubblicati da una piccola casa editrice di Milano, la Sergio Bonelli Editore.

Che Olga avesse il pallino per gli affari lo dimostrò in quegli anni quando inventò il metodo delle “buste a sorpresa”. Dal momento che non tutti i fumetti venivano venduti le copie avanzate invece di essere rese all’editore venivano messe in una busta sigillata dove c’erano tre o quattro copie. Gli acquirenti compravano a scatola chiusa, senza sapere cosa avrebbero trovato, a un prezzo scontato, ovviamente, ma quella proposta ebbe subito un grande successo.

Le ragazze invece compravano i fotoromanzi, un’invenzione tutta italiana: delle storie generalmente romantiche, raccontate per immagini, con i dialoghi scritti in piccole nuvolette, come nei fumetti. Col tempo molti di quei fotoromanzi furono interpretati dai divi e dalle dive del cinema italiano che conobbe in quelli anni una straordinaria rinascita e successi clamorosi al botteghino. D’altronde non c’erano molti svaghi nell’Italia di allora e il cinema era uno dei più economici.

Ma i Panini si resero conto anche di un’altra cosa: la passione per la filatelia era già diffusa. I francobolli dei vari paesi erano un modo per viaggiare con la fantasia, in tempi nei quali ancora non esisteva il turismo di massa. Ma molti italiani dovevano viaggiare per cercare lavoro, l’emigrazione era diffusa e tutti coloro che vivevano all’estero scrivevano a casa alle famiglie. I Panini cominciarono a raccogliere i francobolli delle lettere e delle cartoline che la gente riceveva da parenti e amici emigrati. Quei francobolli venivano poi confezionati in buste per i collezionisti e venduti nell’edicola. Anche quel nuovo prodotto ebbe un enorme successo.

L’idea delle figurine

I Panini si accorsero con questi due nuovi prodotti che c’era un mondo sotterraneo fatto di appassionati delle cose più diverse e più strane, il mondo del collezionismo. La gente collezionava fumetti, francobolli, monete, tappi di bottiglia, portachiavi e mille altre cose. Era un mondo infinito perché infinite possono essere le passioni umane, un mondo che andava soltanto esplorato e sfruttato commercialmente.

L’idea venne a Giuseppe, il più grande della famiglia che nel 1956 convinse gli altri a produrre un album con una collezione di disegni e immagini di fiori e di piante. Erano distribuite soltanto a Modena e dintorni. Si comprava l’album e quindi le bustine con le immagini da appiccicare sull’album. Una forma semplice e tutto sommato economica di collezionismo. L’idea era buona ma il soggetto scelto, piante e fiori, non era di quelli da suscitare grandi entusiasmi, e infatti commercialmente fu un flop. Ma era un primo prodotto autonomo, una famiglia di edicolanti stava per trasformarsi in una famiglia di imprenditori.

Nel 1957 Umberto, il penultimo dei fratelli decide di cambiare aria. Modena gli sta stretta, è insoddisfatto, e seguendo il suo spirito d’avventura finisce in Venezuela, all’epoca un paese ricchissimo e in pieno sviluppo, dove già avevano trovato fortuna molti italiani. In quella terra lontana Umberto trova lavoro e diventa uno dei più apprezzati meccanici di Maracaibo. Guadagna bene e decide di sposarsi: fa arrivare in Venezuela la sua fidanzata modenese, si sposano e cominciano a nascere i figli. Ormai pensano che il loro futuro sarà in Sudamerica ma, nel 1964, su insistenza del fratello Giuseppe, tornano a Modena. Giuseppe è riuscito a convincerlo che l’America ormai loro ce l’hanno in casa, l’azienda di famiglia sta crescendo e c’è bisogno di qualcuno esperto di meccanica, come Umberto, che segua gli impianti produttivi.

Un altro fratello, Benito, era un gran collezionista di monete e la sua competenza e la sua passione per la numismatica furono utili per lo sviluppo di un’azienda che basava il suo business sul collezionismo.

Franco Cosimo Panini era invece il più piccolo e sarà colui che si occuperà dell’internazionalizzazione del gruppo negli Anni Settanta.

Dai fiori ai calciatori

Il fallimento dell’iniziativa dell’album di fiori e piante non aveva scoraggiato troppo né Giuseppe né i suoi fratelli. Certo, le sconfitte bruciano e soprattutto bruciano le ironie della gente: Modena in fin dei conti è un grande paesone. La gente si domanda come ti può venir in testa di fare i soldi vendendo figurine di fiori, ma chi se le compra. Ma il tempo a volte è galantuomo e la tenacia è una qualità che i buoni imprenditori debbono avere.

Nel 1960 Giuseppe e suo fratello Benito vanno a Milano a trovare una piccola casa editrice che si chiamava Nannina che aveva distribuito nelle edicole figurine dedicate ai calciatori. L’album con cui raccoglierle si intitolava Gol ma non c’era nessuna attenzione a quello che oggi chiameremo marketing. L’album era anonimo, non c’erano immagini di campioni che potevano subito fare da richiamo per il grande pubblico degli appassionati di calcio. E infatti quell’iniziativa non aveva avuto grande successo e così i due fratelli Panini decisero di comprarsi lo stock di figurine invendute. Decidono di ristamparle e di confezionarle tre per ogni bustina. Ma si inventano anche un concorso: chi si presenterà con 100 figurine con la dicitura “valida” riceverà in omaggio un pallone, un pallone di plastica, non di cuoio ché costava troppo, ma per i ragazzini dell’epoca anche un pallone di plastica era un premio agognato.

Nel 1961 esce la prima collezione di bustine di calciatori della stagione 1960-1961. Una parte erano lo stock acquistato a prezzo da macero dalla casa editrice milanese, ma in parte erano anche delle ristampe, perché quelle figurine ebbero subito un successo clamoroso. In pochi mesi ne vendettero 3 milioni, un successone. Tre milioni di bustine ovviamente, quindi ben 9 milioni di figurine.

Gli italiani erano poco interessati ai fiori, ma al calcio erano interessati eccome. Nonostante le carenze organizzative, nonostante l’artigianalità dell’offerta editoriale, il pubblico aveva apprezzato l’idea. Il calcio stava diventando sempre più una delle grandi passioni nazionali.

Nella prossima puntata vedremo come si svilupperà l’azienda, diventando in pochi decenni leader mondiale nel settore delle figurine adesive.

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