Il successo della Panini

Scritto da in data Maggio 24, 2021

In pochi decenni la Panini da piccola azienda familiare diventa leader mondiale del suo settore: raccontiamo la sua storia.

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Da piccola azienda a leader mondiale

Concludiamo con questa puntata la storia della Panini, l’azienda di Modena nata nel 1960 e diventata in pochi anni leader mondiale nel settore delle figurine da collezione. Le figurine da collezione erano comparse in Italia negli Anni Trenta, in pieno Ventennio fascista. Nel 1936 due aziende prestigiose la Perugina che produceva cioccolato e la Buitoni che produceva pasta, hanno, come diremmo oggi, un’idea di marketing che sviluppano assieme: un album da completare con delle figurine che si trovano nelle confezioni dei loro prodotti.

La collezione si intitolava “I quattro moschettieri” e si ispirava non tanto ai personaggi del romanzo di Alexandre Dumas quanto a un programma radiofonico, una sorta di sceneggiato vocale, che aveva avuto un enorme successo di pubblico. Quel programma era diventato talmente popolare che si decise persino di spostare gli orari di inizio delle partite di calcio per evitare che si sovrapponessero con quella trasmissione radiofonica.

Quella raccolta di figurine ebbe un successo enorme anche perché la finalità della collezione era di consentire la vincita di diversi premi a cominciare, ovviamente, da confezioni di prodotti della Perugina e della Buitoni, ma, soprattutto c’era la possibilità di partecipare a un concorso che consentiva di vincere una Fiat 500 Topolino: un’automobile, in un’epoca nella quale l’automobile se la potevano permettere soltanto i ricchi. La popolarità di quella collezione è testimoniata anche dal fatto che il primo anno furono vinte ben 200 automobili.

Alcune figurine della collezione erano introvabili, come quella de “Il Feroce Saladino”, e cominciarono anche a girare voci, vox populi, che qualche gerarca si fosse lamentato di questo problema addirittura con lo stesso Duce chiedendogli di prendere opportuni provvedimenti. Ovviamente si era anche sviluppato un mercato di scambio delle figurine tra i collezionisti, intenzionati a completare i loro album per poter ottenere i premi in palio, e diversi giornali cominciarono a pubblicare un’apposita rubrica con il borsino delle varie figurine e il loro valore di scambio.

Ma un anno dopo, nel 1937, il regime decide di chiudere sia lo show radiofonico che il concorso con le figurine. Qualcuno insinua che quella scelta impopolare fosse ispirata dalle lamentele dei figli e delle mogli dei gerarchi stufi di non riuscire a trovare la figurina de “Il Feroce Saladino”, ma in realtà c’erano ragioni più corpose e probabilmente più veritiere, a cominciare dalle lamentele dei concorrenti di Perugina e Buitoni, accusate di concorrenza sleale. Il successo di qualcuno dà sempre fastidio a qualcun altro. Ma pare che persino la Chiesa sia intervenuta. La ricerca delle figurine per partecipare al concorso aveva elettrizzato il pubblico e la cosa poteva rasentare la stessa smania che suscitava il gioco d’azzardo, vizio popolare che bisognava stroncare.

Di fatto, con un regio decreto del novembre 1937, furono vietati tutti i concorsi che prevedessero distribuzione e collezione di figurine.

Le figurine dei calciatori

Ma torniamo alla storia della Panini. Come abbiamo raccontato nella puntata precedente, nell’inverno del 1960 esce il primo album con la prima collezione di figurine dei calciatori. Il successo di vendite è strepitoso e i fratelli Panini si rendono conto di aver fatto centro. Ora però debbono organizzarsi e il tempo, come sempre, è tiranno. Per il campionato successivo, quello 1961-62, bisognava arrivare preparati, la loro felice intuizione doveva trasformarsi in un’attività imprenditoriale, dovevano diventare editori, creare una struttura produttiva, un’organizzazione commerciale e il tutto partendo quasi da zero.

La decisione fu presa ma bisognava fare in fretta. Il periodo migliore per fare uscire una collezione di figurine dedicate ai calciatori della serie A è sotto Natale, il campionato è ancora in pieno svolgimento, sotto Natale la gente è più disposta a spendere, ma mancavano pochi mesi. Nell’autunno del 1961 tuttavia, nonostante le mille difficoltà, tutto è pronto per il grande lancio: l’album di una quarantina di pagine, le foto dei calciatori, le bustine, un abbozzo di rete commerciale.

Nell’album tutti i club erano in ordine alfabetico e per ognuno, oltre ad alcuni dati essenziali, veniva riportato lo stemma, un’immagine della squadra al completo, i migliori piazzamenti e c’erano 13 figurine, gli undici titolari di ogni squadra più due rincalzi. Per ogni atleta, nome, cognome, data di nascita, ruolo.

In tutto le figurine del primo album erano 285 e in copertina una foto di un campione dell’epoca che batte di testa il pallone: Niels Liedholm, un centrocampista svedese che aveva giocato nel Milan.

Una caratteristica di quell’album è che tutti coloro che avessero consegnato 100 figurine con la scritta “valida” al loro rivenditore avrebbero ricevuto in regalo un pallone, questa volta di cuoio: un vero pallone da calcio. I tempi erano cambiati, nell’Italia del boom economico cominciavano a girare un po’ di soldi e quindi anche i consumatori erano più esigenti.

Il simbolo della Panini: la rovesciata di Parola

Qualche anno dopo, nel 1965, a Giuseppe Panini viene un’idea. All’epoca ancora non si sapeva cosa fosse un “brand” e non si parlava nemmeno di logo, ma il concetto nella testa di quell’imprenditore modenese era chiaro. Ci voleva un’immagine che caratterizzasse, che distinguesse le figurine Panini, che le rendesse immediatamente riconoscibili, ci voleva qualcosa che colpisse l’immaginario di qualunque appassionato di calcio. Si ricordava di aver visto alcuni anni prima, su una rivista sportiva che si intitolava “Calcio Illustrato”, l’immagine di una mirabile rovesciata fatta, nel 1950, da Carlo Parola, mitico difensore della Juventus e della Nazionale. Quello scatto fu utilizzato in pratica come logo delle figurine e degli album Panini.

L’album dei calciatori divenne subito un appuntamento fisso per tutti gli appassionati. Le bustine dei calciatori si vendevano a milioni in tutta Italia. Nel 1965 viene inaugurato il nuovo stabilimento produttivo a Modena in viale Emilio Po, in pochi anni la produzione artigianale si era trasformata in un prodotto industriale. Servivano macchinari moderni, spazi più grandi, personale.

Nell’inverno del 1963 su La Stampa di Torino compare la notizia che in una scuola del Piemonte il direttore aveva vietato agli alunni di entrare in classe portando nella cartella le figurine dei calciatori. Evidentemente costituivano una distrazione e gli scambi facevano perdere tempo agli alunni.

Quella notizia, che oggigiorno farebbe la felicità di qualunque ufficio marketing che cercherebbe di sfruttare quel divieto per stuzzicare il gusto del proibito e quindi aumentare le vendite, all’epoca diede piuttosto fastidio ai fratelli Panini. In qualche modo si sentivano sminuiti, le loro figurine che avevano un successo clamoroso erano considerate qualcosa che poteva deviare i ragazzini dai loro doveri scolastici. Il collezionismo non si sposava con la cultura, anzi poteva essere un ostacolo.

Un po’ spinti da quella notizia che li aveva infastiditi, ma anche per abbassare il rischio d’impresa, decisero di diversificare la produzione. Gli album e le figurine dei calciatori si vendevano soprattutto a ridosso del Natale e nei mesi immediatamente successivi, poi arrivava la primavera, il campionato finiva e i macchinari dell’azienda che ormai era un’impresa industriale restavano fermi. Occorreva inventarsi qualcosa per riempire i tempi morti della produzione. Dal momento che a protestare con il direttore di quella scuola piemontese per far vietare le figurine fu una professoressa di geografia, i Panini si inventarono una nuova collezione: Bandiere di tutto il mondo. Quella raccolta non ebbe il successo di quella dedicata ai calciatori ma fu il primo di una serie di prodotti che si aggiunsero negli anni. Nel 1965 apparve la raccolta Animali di tutto il mondo, e poi Aerei e missili di tutti i tempi, nel 1966 la raccolta La Terra, dedicata alle bellezze del nostro pianeta, seguita da Italia Patria Nostra, dedicata alle bellezze del nostro paese, nel 1967 la raccolta Uomini illustri. Nel 1970 in occasione del centenario della breccia di Porta Pia fu pubblicata una raccolta dedicata ai personaggi del Risorgimento, che ebbe anch’essa un notevole successo. Pare che Giovanni Spadolini, che all’epoca dirigeva Il Corriere della Sera, chiese alla casa editrice di poter avere un album completo di quella raccolta.

Dai calciatori a Pinocchio

I fratelli Panini con le loro collezioni in qualche modo facevano cultura, una cultura popolare o, per usare un termine gramsciano, potremmo dire nazional-popolare, ma pur sempre di cultura si trattava.

Nel 1972 la RAI lancia uno sceneggiato intitolato Le avventure di Pinocchio con un cast di prim’ordine. Nino Manfredi interpreta Geppetto, Gina Lollobrigida la Fata Turchina e la coppia Franco Franchi e Ciccio Ingrassia il Gatto e la Volpe. Alcuni degli attori più in voga in quel periodo per una produzione che conosce un grande successo di pubblico.

Ai fratelli Panini viene in mente di fare un album ispirato a quella serie televisiva ma con una piccola innovazione. La televisione all’epoca era in bianco e nero e come avrebbero fatto gli spettatori ad ammirare, per esempio, i capelli turchini della fata turchina? Semplice, bastava riprodurre le figurine a colori dello sceneggiato. L’idea sembrava buona ma bisognava convincere la RAI e il suo burbero direttore Ettore Bernabei. L’idea piacque subito e il progetto decollò. La pellicola dello sceneggiato d’altronde era girata a colori e poi proiettata in bianco e nero dalla televisione, quindi bastava riprendere le immagini dalla pellicola e trasformarle in figurine.

Il successo fu clamoroso. Ci guadagnarono sia la RAI che la Panini. Pubblicità per gli uni e fatturati per i secondi. Qualche anno dopo l’operazione fu ripetuta con un altro sceneggiato di grande successo, Sandokan il pirata della Malesia, tratto dai racconti di Emilio Salgari e interpretato da Kabir Bedi. Nel 1977 fu la volta di Furia, cavallo del West.

Nel 1978, sull’onda del successo del primo film della saga di Star Wars, i fratelli Panini capirono che anche quello poteva essere un buon affare e, acquistati i diritti da George Lucas, diedero vita a una nuova collezione di figurine.

L’internalizzazione dell’azienda

Negli Anni Settanta cominciò anche l’internazionalizzazione dell’azienda. Si inizia con la Jugoslavia, un paese comunista, ma fuori dall’orbita sovietica. Gli jugoslavi erano interessati alle figurine ma soprattutto a quelle di tipo didattico, poi fu la volta dell’Egitto dove la passione per il calcio era molto diffusa. Nei principali paesi europei, Francia, Germania e Regno Unito, la Panini aprì proprie filiali e anche lì le figurine dei calciatori ebbero un successo strepitoso. In Belgio dove lo sport più popolare era il ciclismo fu lanciato un album, intitolato Sprint, dedicato agli assi delle due ruote. A Singapore fu lanciato un album dedicato agli animali in collaborazione con il WWF.

Poi iniziò la conquista dell’America. Su quel mercato c’era un colosso come la Disney che, inizialmente, dimostrò una certa diffidenza verso quella piccola azienda italiana, ma dopo alcuni test di mercato con risultati incoraggianti, fu trovato l’accordo.

Quelle immaginette che riproducevano gli assi del calcio, poi quelli di altri sport, i divi del cinema, della televisione, della musica, perché le raccolte proposte erano le più varie e seguivano i fenomeni mediatici, erano ormai entrate nelle case degli italiani e di milioni di altri collezionisti in giro per il mondo.

Nel frattempo il catalogo delle Edizioni Panini si arricchiva di altri prodotti, più tradizionali ma sempre di grande successo, a cominciare dall’Almanacco illustrato del calcio, la cui prima edizione uscì nel 1973.

Verso la fine degli Anni Ottanta i fratelli Panini si rendono conto che sono giunti a un momento di svolta. Gli affari vanno ancora bene ma il mondo sta cambiando, inoltre si pone il problema del ricambio generazionale. Nel 1986 era morto uno dei fratelli, Benito, e gli altri comunque cominciavano a invecchiare. Il passaggio generazionale  in un’azienda familiare è sempre un momento estremamente delicato, soprattutto in una famiglia molto numerosa come quella Panini. Possono sorgere conflitti, litigi, diatribe che mettono a rischio il futuro dell’azienda. L’altra alternativa sarebbe stata la quotazione in Borsa, ridurre la quota di capitale di proprietà della famiglia e recuperare risorse finanziarie, ma della Borsa e del nuovo capitalismo sempre più rampante e finanziarizzato i fratelli Panini in realtà non si fidano.

Prevale un’altra decisione, quella di vendere. Vendere quando sei al vertice del successo è sempre una strategia furba. Molti sono convinti che si debba vendere quando si è con l’acqua alla gola, ma quello è il momento peggiore: il potere contrattuale è minimo. È all’apice del successo che si può massimizzare il risultato.

La vendita dell’azienda

Iniziano le trattative con imprenditori italiani come Carlo De Benedetti, ma poi arriva la classica offerta che non si può rifiutare da uno dei maggiori imprenditori del settore dei media al mondo: Robert Maxwell, un editore inglese proprietario, tra l’altro, di testate come il Daily Mirror e che aveva alle spalle una vita quasi romanzesca.

Nel settembre del 1988 la Panini fu ceduta all’abile imprenditore britannico. Qualche anno dopo il 5 novembre del 1991 il cadavere di Robert Maxwell fu ritrovato al largo delle isole Canarie. Con la sua scomparsa il suo impero editoriale andò in bancarotta e anche la Panini subì i contraccolpi di quel tragico evento.

Ma dopo alterne vicende la Panini, che è sempre stata un’azienda sana, cioè un’azienda che produceva utili, nel 2016, è stata acquisita da un gruppo di manager attraverso un’operazione di leveraged buyout, una complessa operazione finanziaria per acquisire la proprietà di un’azienda.

Oggigiorno le figurine si trovano ancora nelle edicole e i ragazzini le collezionano. Ci sono quelle dei calciatori ma ci sono anche quelle nuove, i Pokemon, i Dragon Ball e tutte quelle diavolerie di origine giapponese o americana che piacciono tanto ai nostri figli e nipoti ma che noi adulti non capiamo bene. Oggi altre diavolerie, quelle elettroniche, attirano la curiosità e impiegano il tempo dei ragazzini ma il fascino per quelle vecchie collezioni, quel mondo di fantasia, di scambi, l’emozione che si provava da bambini nell’aprire quelle bustine cercando le figurine mancanti sono piacevoli ricordi che restano nella memoria di ciascuno di noi.

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