Settore editoriale: come va il mercato dei libri – Parte 2

Scritto da in data Aprile 26, 2021

Soltanto il 40% degli italiani legge libri, uno degli indici di lettura più bassi tra i paesi sviluppati, una delle ragioni del tendenziale declino del nostro paese.

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Gli italiani e i libri

Partiamo da una citazione dello scrittore Giovanni Papini, personaggio eclettico e controverso, il quale in un suo opuscolo, pubblicato da Vallecchi nel 1954 e intitolato non casualmente “Le disgrazie del libro in Italia”, scriveva: «Quando un italiano, spinto da una inconsueta e incoercibile voglia, desidera leggere un libro, ricorre a uno dei modi seguenti:

  • Lo chiede in omaggio, con un pretesto qualunque, all’editore.
  • Lo chiede in grazioso dono all’autore.
  • Cerca di farselo regalare da qualcuno che l’abbia ottenuto gratis dall’editore o dall’autore.
  • Lo chiede in prestito a un amico, col segreto proposito di non restituirlo mai più.
  • Lo prende in prestito da una biblioteca pubblica.
  • Lo cerca in una biblioteca circolante.
  • Lo ruba, se gli riesce, in casa di un conoscente o nella bottega di un libraio.

Solo quando tutti questi sette modi falliscono, o si dimostrano impraticabili e impossibili, sol quando ogni tentativo di ottenere il libro senza spendere un centesimo è frustrato, soltanto allora il nostro italiano, se il desiderio o la necessità l’assillano, prende una decisione eroica e sceglie l’ultimo e disperato mezzo: compra il libro con i suoi denari».

Papini con la sua verve polemica centrava un punto essenziale: in Italia i libri non hanno mai goduto di grande considerazione e infatti i tassi di lettura nel nostro paese sono tra i più bassi in Europa. D’altronde negli anni passati abbiamo avuto un importante Ministro dell’economia affermare pubblicamente che «con la cultura non si mangia» e non molto tempo fa una sottosegretaria alla cultura nell’attuale Governo Draghi, il cosiddetto “governo dei migliori”, si vantò pubblicamente di non aver letto nessun libro negli ultimi anni. Verrebbe da dire «la persona giusta al posto giusto», ma non vogliamo fare polemiche.

L’importanza dei libri

Eppure i libri sono importanti, anche perché sono stati per secoli il modo più pratico per trasmettere e diffondere le idee, le conoscenze ma anche le storie, i sentimenti, le speranze. I libri hanno cambiato il mondo. Basti pensare che quasi tutte le religioni hanno dei libri sacri, dei testi di riferimento dove si trovano i precetti da seguire.

Le tre maggiori religioni monoteiste vengono chiamate anche religioni del “libro”. In tutte  e tre − ebraismo, cristianesimo e islam − i fondamenti del credo religioso sono condensati in libri sacri. Per gli Ebrei ci sono innanzitutto la Torah, equivalente alla nostra Bibbia, dove si narra la storia del popolo d’Israele e del suo rapporto con Dio. C’è poi il Talmud, ovverosia l’insieme delle interpretazioni che i grandi saggi e studiosi ebrei hanno dato della Torah. Per i Cristiani i due libri sacri sono la Bibbia, o quello che viene chiamato Antico Testamento, e il cosiddetto Nuovo Testamento, ovvero i Vangeli e gli Atti degli Apostoli dove si raccontano la vita e le opere di Gesù Cristo e dei suoi discepoli. Nell’islam abbiamo il Corano, che però ha una sua caratteristica particolare, in quanto è il libro sacro per eccellenza. Il Corano altro non è che la parola di Dio trascritta e diffusa dal profeta Maometto. Essendo “parola di Dio”, qualunque profanazione del Corano è considerato un peccato gravissimo.

I libri che hanno cambiato il corso della storia

Ma ci sono molti altri libri che hanno cambiato il corso della storia. Nel 1848 due intellettuali tedeschi, uno povero in canna, Karl Marx, e l’altro ricchissimo essendo figlio di un industriale tessile, Friedrich Engels, diedero alle stampe un libello politico che si intitolava “Il Manifesto del Partito Comunista” e che diede il via a una delle più grandi e straordinarie idee politiche, sia nel bene che nel male, degli ultimi 170 anni.

I libri possono essere quindi oggetti pericolosi perché diffondono idee, soprattutto idee nuove che possono dare fastidio al potere costituito. La Chiesa cattolica pubblicò nel 1559, sotto il pontificato del papa Paolo IV, l’Index Librorum Prohibitorum, l’indice dei libri proibiti, abolito tra l’altro soltanto nel 1966. Era un catalogo dei libri che non si dovevano né leggere, né stampare, né vendere, né dare in prestito pena la scomunica.

Ma parecchi secoli prima in un altro angolo del mondo, la Cina l’imperatore Quin Shi Huang fu artefice di uno degli episodi più eclatanti di bibliocastia, un termine colto per definire la tendenza a distruggere i libri. Quin Shi Huang era riuscito nell’impossibile impresa di unificare quell’immenso paese e per questo passò alla storia come il primo imperatore cinese. Ma fu anche colui che iniziò la costruzione della Grande Muraglia e fu il committente di quell’incredibile esercito di terracotta, scoperto e riportato alla luce dagli archeologi qualche decennio or sono, composto da 8.000 statue di guerrieri a dimensione naturale, seppelliti nelle vicinanze del suo mausoleo. Con la sua salita al trono finiva il periodo degli “stati combattenti” e iniziava la storia della Cina imperiale, che si sarebbe conclusa all’inizio del XX secolo con la deposizione dell’ultimo imperatore e la proclamazione della Repubblica. Qin Shi Huang fu un grande riformatore, unificò e standardizzò le unità di misura, creò una rete di strade e canali navigabili tra le varie regioni dell’impero che favorirono i commerci ma consentirono anche di spostare con maggior celerità le truppe da una parte all’altra dell’immenso territorio sotto il suo dominio, unificò e standardizzò la scrittura cinese. Ma nel 213 a.C., con la finalità di impedire il ritorno alle antiche tradizioni, l’imperatore decise il rogo dei libri. Tutti gli antichi testi, tranne quelli di argomenti tecnici e scientifici, furono bruciati e si iniziò anche una persecuzione degli intellettuali, soprattutto quelli di cultura confuciana e ben 460 di questi fecero una pessima fine: furono sepolti vivi.

I roghi dei libri

I libri hanno sempre dato fastidio a tutti i regimi autoritari, e la risposta di quei regimi in diversi casi fu il rogo dei libri. Negli anni più recenti abbiamo assistito in Medio Oriente, nei territori sotto il controllo dell’ISIS, nel cosiddetto califfato, alla sistematica distruzione di biblioteche importanti come quella di Mosul in Irak e di Palmira in Siria. Ma anche in Europa abbiamo assistito ai roghi dei libri.

Uno dei più celebri avvenne nella Germania nazista negli anni Trenta. Anche quello fu un episodio clamoroso, tanto più che accadeva in uno dei paesi europei più civili e acculturati, almeno sino ad allora. Il 10 maggio del 1933 avvenne il primo dei cosiddetti Bücherverbrennung, cioè il rogo dei libri, a Berlino, ma contemporaneamente altri roghi avvenivano in altre città tedesche: Kiel, Francoforte sul Meno, Breslavia, Monaco di Baviera. Quei libri, considerati contrari allo spirito tedesco, erano stati prelevati da biblioteche e istituti nei giorni precedenti sulla base di un elenco di 160 autori messi al bando dal regime nazista. Tra questi c’erano scrittori come Ernest Hemingway con il suo romanzo “Addio alle armi”, un testo pericolosamente antimilitarista. Ma c’erano anche pubblicazioni di importanti scrittori di lingua tedesca come Thomas Mann, Bertold Brecht, Franz Kafka, Robert Musil, Stefan Zweig o le opere di scienziati come Charles Darwin, Albert Einstein, Sigmund Freud. Poi c’erano autori di cultura cosmopolita, come il francese André Gide. Opere di grandi pensatori comunisti: Karl Marx, Friedrich Engels, Lenin ma anche gli scritti del fondatore del primo istituto di sessuologia nato di Europa, il dottor Magnus Hirschfeld, le cui opere erano considerate pornografiche dai nazisti. Migliaia di volumi considerati anti-tedeschi erano stati ammassati nei giorni precedenti nella sede di una confraternita studentesca in Oranienburger Strasse. La gran parte di quei volumi furono venduti come carta straccia a una cartiera al prezzo di circa 4 marchi a tonnellata. Altri furono consegnati alla Biblioteca di Stato, altri ancora furono fatti sparire dagli stessi studenti. Quelli che avanzarono furono caricati su carretti e furgoncini per dar vita all’oscena sceneggiata. Verso la mezzanotte il corteo dei “monatti” nazisti raggiunse la porta di Brandeburgo. Manipoli di camice brune e di militanti della Hitlerjugend (la Giovenù hitleriana) erano in attesa: pochi gli spettatori in gran parte giornalisti e corrispondenti di giornali esteri. Sul pavimento in granito della piazza era stata versata della sabbia ed eretta una pira di tronchi di due metri per due e alta un metro e mezzo. Gli studenti man mano che entravano nella piazza si avvicinavano alla pira e lanciavano le loro torce. Il legno imbevuto di benzina prese fuoco e le fiamme si alzarono nel cielo illuminando gli edifici. Altri studenti ai avvicinavano al rogo gettando pile di libri. Nel frattempo, su un lato della piazza, era stato eretto un palco tutto imbandierato sul quale, dopo la breve introduzione di uno studente, si affacciò il profilo patibolare del dottor Joseph Goebbels, il Ministro della Propaganda nazista. Iniziò il suo discorso dicendo: «Queste fiamme non illuminano solamente la fine ultima della vecchia epoca, esse rischiarano anche la nuova». Dopo il discorso la serata continuò con la solita trucida sarabanda di saluti a braccio teso e urla di Heil Hitler, seguiti dai canti di battaglia delle ciurmaglie naziste. Dopodiché la folla si disperse mentre agli studenti spettò il compito di governare il fuoco sino all’alba.

Quella notte furono bruciati nella capitale del Reich circa ventimila volumi, non molti in un paese colto come la Germania, ma fu un atto simbolico e una ferita profonda nella storia della Germania e dell’intera Europa. Come aveva scritto, profeticamente, un grande poeta tedesco dell’inizio dell’Ottocento, Heinrich Heine: «Là dove si bruciano i libri, alla fine si bruciano anche gli uomini». Ed è quello che accadde, qualche anno dopo, nell’Europa sotto il dominio nazista.

Le disgrazie del libro in Italia

Ma torniamo a parlare, citando nuovamente Papini, delle «disgrazie del libro in Italia». Come si configura, come è strutturato il mercato del libro nel nostro paese?

Le case editrici attive sono attualmente poco meno di 5.000. In realtà questo numero va interpretato, perché per case editrici attive si intendono quelle che nel corso del 2020 hanno pubblicato almeno un libro. In realtà circa un terzo di quelle case editrici sono operatori professionali del libro, che pubblicano con una certa regolarità, che hanno una distribuzione commerciale e una struttura d’impresa. Il resto sono case editrici, potremmo dire, occasionali come associazioni culturali, società di comunicazione, amministrazioni pubbliche, enti di ricerca e via di seguito, che pubblicano qualcosa ma che si occupano di altro, vale a dire che non si occupano professionalmente di attività editoriale.

Resta elevato il numero dei titoli pubblicati, quasi 79.000, tra novità e ristampe. Si tratta di un numero oggettivamente eccessivo, soprattutto in rapporto a quelle che sono le dimensioni del mercato italiano, piuttosto piccole. Tra i circa 1.700 editori in senso proprio, cioè aziende che svolgono come loro attività principale quella editoriale, il 53% sono microeditori, cioè hanno stampato nel corso dell’anno complessivamente meno di 5.000 copie. C’è poi un 38% di piccoli editori, coloro che hanno stampato tra le 5.000 e le 100.000 copie, un 7% di medi editori, con una tiratura tra 100.000 e 1 milione di copie e un 2% di grandi editori che superano una tiratura annua di 1 milione di copie.

Il primo gruppo italiano è  Mondadori, che da solo rappresenta circa il 29% del mercato librario nel nostro paese, in buona parte di proprietà della famiglia Berlusconi, e infatti ha come presidente Marina Berlusconi. Il gruppo è costituito da diversi marchi editoriali, alcuni anche molto prestigiosi, acquisiti nel corso degli anni, come: Einaudi, Electa, Frassinelli, Le Monnier, Rizzoli, Fabbri Editori, Piemme, Sperling&Kupfer. Il gruppo ha poi una posizione molto rilevante anche nel settore dei periodici, e rapporti sinergici con il gruppo Fininvest che gestisce, come noto, diverse reti televisive, concessionarie di pubblicità e altro. Il gruppo Mondadori gestisce anche una propria rete, in franchising, di librerie.

Questa è un’altra caratteristica del settore editoriale italiano, nel quale gli editori, i più grandi ovviamente, sono anche distributori e rivenditori al dettaglio mediante proprie catene di librerie. Una situazione tipicamente italiana, in quanto negli altri paesi occidentali generalmente chi si occupa di distribuzione e vendita al dettaglio di libri è nettamente separato da chi i libri li produce, cioè gli editori. Questa situazione crea innegabilmente delle strozzature a livello distributivo, rendendo più difficile per i medi, piccoli e piccolissimi editori l’accesso alla distribuzione libraria, in buona parte controllata e gestita dai grandi gruppi editoriali.

Al secondo posto, con una quota di mercato attorno al 15%, c’è il gruppo GEMS (ovverosia il Gruppo Editoriale Mario Spagnol) al quale appartengono marchi come: Bollati Boringhieri, Corbaccio, Garzanti, Guanda, Longanesi, Newton Compton, Salani, Tea, Vallardi, per citare i più conosciuti.

A seguire c’è il gruppo fiorentino Giunti, quello milanese Feltrinelli, quello novarese De Agostini libri.

In pratica i primi cinque gruppi editoriali hanno una quota di mercato del 50% circa.

Un ultimo dato, per non annoiare troppo, sugli indici di lettura, che rappresenta un tasto doloroso perché in Italia sono piuttosto bassi. Soltanto il 40% degli italiani legge libri. Anche questo dato va interpretato, in quanto nella categoria si includono tutti coloro che nel corso dell’anno leggono almeno un libro. All’interno di quel 40% si distinguono due sottocategorie: quella dei cosiddetti lettori “deboli”, cioè chi legge almeno tre libri all’anno (all’incirca il 45%) e i cosiddetti “lettori forti”, cioè coloro che leggono almeno dodici libri all’anno (il 16% circa). Quindi, facendo i calcoli sul totale della popolazione, ci sono circa 4,5 milioni di italiani che possono essere definiti “lettori forti”.

Da sottolineare un altro dato, la differenza di genere: le donne leggono molto più degli uomini, il 45% del totale delle donne leggono almeno un libro all’anno contro soltanto il 35% degli uomini. Il fatto impressionante è che questi dati, letti da un’altra prospettiva, ci dicono che il 60% degli italiani non legge nemmeno un libro all’anno. Per un paese che è ancora tra le prime dieci economie del pianeta è un dato inquietante, una delle ragioni, non secondarie, del tendenziale declino dell’Italia.

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