9 giugno 2020 – Notiziario in genere
Scritto da Angela Gennaro in data Giugno 9, 2020
Chi è Breonna Taylor e perché anche la sua vita, come quella di George Floyd, importa. Brasile: il bimbo di una domestica muore mentre è affidato alle cure della sua padrona. Ungheria, secondo Amnesty la crisi da Coronavirus peggiora la discriminazione di genere. In Etiopia 101 ragazze violentate nel lockdown. In Cile una donna si isola in auto per una settimana per non contagiare i famigliari. Turchia: Decathlon sostiene la comunità Lgbtq e viene attaccata sui social. Indonesia: una coppia di amanti (ma munita di mascherina) frustata in pubblico.
Giustizia per Breonna
Breonna Taylor avrebbe compiuto 27 anni il 5 giugno scorso. Avrebbe dovuto passare il venerdì a prepararsi e vestirsi per festeggiare il suo compleanno con la sua famiglia allargata. “Era una diva”, dice sua mamma Tamika Palmer, come riportato da The Lily. Invece, Taylor, una tecnica di pronto soccorso di 26 anni, non compirà mai 27 anni.
Il 13 marzo, è stata brutalmente uccisa dagli agenti di polizia di Louisville nell’appartamento che condivideva con il suo ragazzo, Kenneth Walker. La polizia stava eseguendo un mandato “senza bussare” in relazione a un caso di droga. “Oggi avresti compiuto 27 anni! Sono ancora molto triste e ferita che non sei più qui “, ha scritto la sorella minore di Taylor, Ju’Niyah Palmer in un post di Instagram. “Vorrei che il paradiso avesse un telefono o delle visite perché sarei lì ogni giorno”. Palmer viveva con sua sorella e Walker ma non era a casa al momento dei fatti.
Officer Named in Breonna Taylor Shooting is Accused by Two Women of Sexual Assault https://t.co/pSD3evEanN
— People (@people) June 8, 2020
Gli Stati Uniti – e poi tutto il mondo – sono scesi in piazza in queste settimane per manifestare contro la morte di George Floyd, 46enne afroamericano morto in un fermo di polizia e le cui immagini di lui, schiacciato per 8 minuti e 46 secondi di agonia prima di morire, dal ginocchio dell’agente Derek Chauvin, hanno fatto il giro del mondo. BlackLivesMatter, e in piazza contro gli abusi dalla polizia sugli afroamericani c’è Louisville, la più grande città del Kentucky. Lì, ricostruisce Il Post, le manifestazioni sono state innescate anche da questa altra morte provocata da degli agenti di polizia: quella di Breonna Taylor il 13 marzo. Un caso di cui inizialmente si è parlato poco, forse anche a causa della pandemia di Coronavirus.
Cosa è successo
I poliziotti hanno fatto irruzione ne suo appartamento – con un mandato noknock, quindi senza necessità di bussare e identificarsi – per quanto loro dicano di essersi identificati, smentiti dai testimoni. Il fidanzato di Breonna, Walker, svegliatosi per il rumore, aveva creduto che fossero dei ladri e aveva preso la propria pistola – per cui aveva un regolare porto d’armi – e aveva sparato, pensando di difendersi. La polizia ha detto che in risposta agli spari di Walker tutti e tre gli agenti che avevano fatto irruzione avevano sparato: almeno 20 proiettili, otto dei quali avevano colpito Taylor, ancora a letto, uccidendola. Nella sparatoria uno dei poliziotti è stato ferito a una gamba; secondo i medici si riprenderà completamente. Nella casa di Taylor non sono state trovate droghe.
https://twitter.com/Trippyhippy10/status/1270249671341023232
Walker è stato inizialmente arrestato e accusato di tentato omicidio, per aver sparato a uno dei poliziotti. Il mese scorso però le accuse sono state ritirate. Intanto la famiglia di Taylor ha fatto causa alla polizia di Louisville. Il 21 maggio, quattro giorni prima della morte di George Floyd e dopo che il sindaco di Louisville Greg Fischer aveva definito la morte di Taylor «una tragedia», l’FBI ha annunciato un’indagine sulla sparatoria e i tre agenti di polizia che hanno fatto irruzione in casa di Taylor sono stati sospesi. Stanno emergendo una serie di irregolarità
Brasile
Manifestazioni antirazziste che si ispirano anche a quelle degli Stati Uniti del movimento #BlackLivesMatter per la morte di George Floyd hanno invaso in questi giorni la città brasiliana di Recife, dove martedì scorso il piccolo Miguel da Silva, un bambino nero di cinque anni, è morto precipitando dal balcone di un grattacielo in cui la madre, collaboratrice domestica, aveva affidato il figlio alla ricca padrona di casa (bianca) mentre usciva per portare a passeggio il cane di quest’ultima. Centinaia di manifestanti, soprattutto neri, hanno anche esposto cartelli con lo slogan “Vidas negras importam”, portoghese per “Black lives matter”, hanno percorso le strade della città capitale dello stato di Pernambuco, dal Palazzo di giustizia fino all’edificio teatro dell’incidente.
https://twitter.com/AahReyy/status/1270228590207078402
Cosa è successo: la mamma di Miguel aveva affidato il figlio, che era costretta a portarsi sul luogo di lavoro, alle cure della padrona di casa per la quale lavorava come collaboratrice domestica mentre era fuori con il cane della signora. Le immagini delle telecamere a circuito chiuso, trasmesse sulle tv brasiliane, mostrano la donna che porta il piccolo Miguel nell’ascensore di servizio, preme il bottone per l’ultimo piano e lo lascia lì da solo. Si pensa perché il piccolo abbia cominciato a piangere e chiedere della mamma, e perché la signora non abbia trovato niente di più intelligente da fare che dire: vai, raggiungila. Il bimbo, arrivato all’ultimo piano, è riuscito a uscire da una porta a vetri e, non conoscendo il posto, si è poi arrampicato sulla balaustra del balcone, precipitando nel vuoto per decine di metri. “La vita di Miguel rappresenta la realtà di molti bambini neri, i figli dei collaboratori domestici. Potrebbe succedere a chiunque di noi”, dice Nathalia Ferreira, una manifestante con maglietta che riproduce la foto del bambino e mascherina sul volto. “Temiamo che questo crimine venga preso sottogamba e rimanga impunito. È importante che sia fatta giustizia”, aggiunge Monica Oliveira, della Rete delle donne di Pernambuco.
Sari Corte além de ser responsável pela morte do pequeno Miguel também colocava suas funcionárias em risco de covid-19 e cometia crimes na prefeitura da cidade.#casomiguel#CasoMiguel#VidasNegrasImportam #BlackLivesMetter pic.twitter.com/ZcFm1NRteZ
— Turbanteira (@CabecaFalante) June 9, 2020
Cile
In Cile, una donna di 29 anni positiva al SARS COV-2 ha vissuto per quasi una settimana in quarantena all’interno di un’auto per paura di contagiare la sua famiglia, nel comune di Penalolén, a est di Santiago. A raccontarlo la zia della giovane, che spiega che la nipote, risultata positiva il 29 maggio scorso, ha deciso di passare la quarantena in macchina da sola perché vive in una casa molto piccola con una persona di 60 anni con ipertensione e due bambini: uno con epilessia e un altro con asma. “È dal momento in cui è risultata positiva che chiediamo una residenza sanitaria, perché non ha nessun posto dove stare”, dice la zia a radio Bio Bio. “Non c’è una camera da letto dove può stare da sola per l’isolamento, e ha quindi deciso di restare in auto dal momento in cui è risultata positiva”. A seguito della denuncia, il servizio dei Centri di salute familiare (Cesfam) del Cile ha spiegato che è stato informato del caso, che il sistema è saturo ma che aiuterà la giovane fornendole una residenza sanitaria. “Il suo caso è stato preso in carico per un trasferimento urgente in una residenza”.
Etiopia
Secondo quanto riferiscono le autorità, da quando è comparso il Coronavirus in Etiopia 101 ragazze sono state stuprate e curate nella capitale, Addis Abeba. A riportare la notizia è l’emittente televisiva privata Walta Tv. La violenza sessuale sarebbe in aumento, spiega Almaz Abraham, a capo dell’ufficio Affari donne e bambini di Addis Abeba, perché le scuole sono state chiuse per arginare la diffusione di Covid-19. “Centouno ragazze sono state violentate negli ultimi due
mesi, dopo lo scoppio della pandemia di Covid-19. Il problema è che, a differenza di quando le scuole sono aperte, gli attacchi non vengono denunciati fino a quando le ragazze rimangono incinte. Forse, ci sarebbe la possibilità di impedire loro di arrivare a un simile stadio se le ragazze andassero a scuola”, spiega. “Gli uomini che avevano abitudini diverse fuori dalle proprie abitazioni, ora le stanno praticando con la loro prole in casa”.
We are very concerned as we hear of stories of growing domestic violence and rape towards women & girls by their family members.
BHE strongly condemns violence & abuse of any kind. While we #StaySafe from #COVID19, let us fight to #EndViolence against women & girls together. pic.twitter.com/D7HJkInV8u
— Brave Hearts Ethiopia (@BraveHeartsEt) June 8, 2020
Ungheria
In Ungheria la pandemia da Covid-19 sta rendendo ancora più grave un problema esistente da lungo tempo di disuguaglianza di genere nell’ambito lavorativo. Secondo un rapporto di Amnesty International, le donne stanno subendo livelli ancora più elevati di insicurezza e discriminazione. A causa del confinamento, molte donne sono state espulse dal mercato del lavoro. “Le donne ungheresi, soprattutto quelle incinte e le madri con bambini piccoli, subiscono brutali forme di discriminazione diretta e indiretta sul posto di lavoro e la situazione è peggiorata durante la crisi sanitaria”, dice Krisztina Tamás-Sáróy, ricercatrice di Amnesty International sull’Ungheria.
La gravidanza e la maternità non dovrebbero essere considerate uno stigma nel XXI secolo. Il caso dell'Ungheria https://t.co/HieZWQvhjo
— Amnesty Italia (@amnestyitalia) June 4, 2020
“Ignorando l’obbligo di eliminare la discriminazione di genere nel campo del lavoro, le autorità stanno consentendo ai datori di lavoro di calpestare i diritti delle donne in un momento nel quale dovrebbero essere più protetti che mai”, aggiunge. Il diverso impatto della pandemia da Covid-19 sulle donne rispetto agli uomini è chiaramente visibile nel campo del lavoro, dove questi ultimi sono storicamente favoriti. L’onere della cura dei figli ricade sproporzionatamente sulle donne, molte delle quali sono state costrette ad abbandonare il loro impiego nel periodo in cui asili nido e scuole erano chiusi.
Particolarmente grave è la prassi di porre termine a un contratto non appena il datore di lavoro apprende che una sua dipendente è incinta. Nonostante il diritto del lavoro contenga misure di tutela al riguardo, spesso il datore di lavoro fa riferimento, senza fornire prove, alla condotta inappropriata della dipendente o trova un altro ingiustificato pretesto per interrompere il contratto.
#AmnestyReport In Ungheria, Polonia, Bielorussia, ad esempio, i governi hanno usato la pandemia per limitare i diritti delle persone. In questo 2020 è esploso il problema della disuguaglianza e della discriminazione
— Amnesty Italia (@amnestyitalia) June 4, 2020
“Dopo che avevo detto che ero incinta, mi hanno convocato in direzione. Mi hanno detto che il salario era troppo alto, quindi o firmavo un nuovo contratto con un salario inferiore e andavo in maternità con i benefici previsti, oppure le cose sarebbero terminate lì”, racconta “Bernadett” (nome di fantasia). Molti datori di lavoro ignorano l’obbligo di ripristinare il ruolo originario o affidarne uno equivalente al rientro dalla maternità. Sono numerosi i rifiuti delle richieste di part-time al rientro da un congedo per maternità. Complessivamente, è il sistema del part-time che non viene valorizzato in quanto “danneggia l’organizzazione”, nelle parole di Dora, intervistata da Amnesty International. Le donne temono spesso di subire ritorsioni per aver denunciato internamente o per vie legali la discriminazione subita. I meccanismi interni di reclamo sono pressoché inesistenti o comunque inefficaci.
Turchia
Duri attacchi sui social network in Turchia contro l’azienda francese di articoli sportivi Decathlon. La sede locale ha infatti espresso nei giorni scorsi sostegno per la causa lgbtq e il mese del gay pride. “Da Decathlon c’è spazio per ogni colore”, aveva scritto la società, pubblicando l’emoji di un arcobaleno. Una mossa che non è piaciuta a molti utenti – incluse influenti figure pubbliche dell’islam politico come Hilal Kaplan, editorialista del quotidiano filo-governativo Sabah – che on line hanno cominciato ad attaccare il brand, invitando al boicottaggio con l’hashtag #DecathlonBoykot.
Sporun birleştirici gücüne inanıyoruz. pic.twitter.com/tAcC753QpH
— Decathlon Türkiye (@DecathlonTurkey) June 4, 2020
“La reazione e i commenti ai nostri post ci hanno davvero scioccato e rattristato”, ha commentato l’azienda. Che non arretra: “Siamo contro ogni genere di discriminazione” e “ne siamo orgogliosi”, si legge sul profilo turco dell’azienda. In Turchia l’omosessualità è legale ma la comunità lgbt è spesso soggetta a discriminazioni e violenze. Dal 2015 il gay pride è stato regolarmente vietato dalle autorità, dopo che l’anno prima a Istanbul erano scese in piazza decine di migliaia di persone.
Indonesia
Due amanti, in Indonesia, scoperti a fare sesso senza essere sposati, sono stati frustati un centinaio di volte ciascuno. “Questa giovane coppia ha meritato un centinaio di frustate perché ha violato la legge islamica”, spiega Agus Kelana Putra, capo della divisione generale del crimine presso la procura nel distretto di Aceh Besar. Aceh è una provincia conservatrice, unica regione dell’Indonesia a maggioranza musulmana a imporre la legge islamica, che consente di impartire frustate per reati come gioco d’azzardo, adulterio, bere alcolici e sesso gay. A causa dei timori per la pandemia di Coronavirus, ad assistere alla punizione c’era solo una frazione della folla che abitualmente è presente in occasioni del genere. E la coppia, mentre veniva frustrata fuori da una moschea sulla punta occidentale di Sumatra, indossava la mascherina ed era stata sottoposta a controllo della temperatura.
In copertina Flickr
Ti potrebbe anche interessare:
- Iraq: le milizie attaccano la sede dell’MBC
- Perché così tante donne ancora prendono il cognome del marito?
- Gabon, depenalizzata l’omosessualità
- Cecenia, medici licenziati dopo le proteste di Julia Kalashnyk
- Di tennis, di politica e di anni 70 di Giuliano Terenzi
- Un’italiana contro la deforestazione in Amazzonia, di Valentina Barile
- Quel bisognino in RFID
- Il coronavirus e le sfide alla MacGyver
- Protetti da una bolla
- L’economia di baci e abbracci di Massimo Sollazzini per la rubrica Approfondimenti
- Aborto: la Polonia tra diritto e restrizioni di Alice Corte
- Cara Silvia, lettera a Silvia Romano di Barbara Schiavulli per la rubrica Parole scompigliate
- A San Juan Chamula c’è un posto di Valentina Ruozi per la rubrica Vieni via con me
- Onda Lunga – La rassegna stampa delle Funambole, LeFunambole per la rubrica Le storie di Clarissa
- Coronavirus e la Giornata Mondiale della Croce Rossa e Mezzaluna Rossa
E se credete in un giornalismo indipendente, serio e che racconta dai posti, potete sostenerci andando su Sostienici