Cisgiordania: La lenta e silenziosa agonia

Scritto da in data Gennaio 4, 2024

RAMALLAH – “Me le porto al lavoro perché ci sono le vacanze scolastiche, ma mi fanno impazzire”, dice un’impiegata scuotendo la testa in segno di resa, in un ufficio di Ramallah in Cisgiordania. Due ragazzine sveglie di dodici e nove anni, “trouble makers”, le definisce la madre aggiungendo: “e menomale che è così, perché chi crea problemi, trova anche sempre il modo di sopravvivere”. Lasciarle a casa? Considerando che le famiglie palestinesi sono spesso allargate e nessuno resta mai veramente solo: “Per nulla al mondo. I soldati israeliani fanno raid tutti i giorni, non ce la faccio a lasciarle a casa da sole, non sarebbero al sicuro. Qui almeno le posso tenere d’occhio”.

Le mamme di tutto il mondo si preoccupano della sicurezza dei figli, le mamme in palestinesi devono anche pensare alle irruzioni israeliane, agli assedi, agli arresti di persone a volte anche solo per un post su Facebook. Lo dice con tranquillità davanti le figlie, come se fosse naturale temere che qualcuno possa entrarti a casa all’improvviso e portarti via, anche se non sei un delinquente o un serial killer.

Una realtà distopica

Quello che sta succedendo nella Striscia di Gaza è paragonabile a una delle grandi catastrofi della Storia, è naturale che il mondo si concentri sulla sofferenza, il dolore, la fatica di sopravvivere dei quasi due milioni di sfollati a Gaza e 20 mila morti e decine di migliaia di feriti. Ma anche in Cisgiordania, in quella parte di paese dove Hamas non controlla nulla, la gente vive una realtà distopica che solo se vivi con loro, si può capire.

“Mi ci volevano 20 minuti per venire al lavoro”, dice un’altra signora che abita in un paesino vicino a Ramallah, ma da quando è iniziata la guerra a Gaza, i militari israeliani hanno aumentato i posti di blocco, e lei ci mette più di due ore ad arrivare. E due ore a tornare a casa. Ogni giorno.

“I palestinesi hanno dovuto imparare ad adattarsi per sopravvivere”, mormora un’altra ragazza. E’ un continuo trovare modi per fare le cose, che si tratti di andare all’ospedale, al lavoro, a scuola. Perfino ragazze e ragazzi quando si incontrano il giovedì pomeriggio – che è come il sabato in Italia – non riescono a parlare di altro.

“Parliamo di noi solo alla fine di una serata, prima parliamo di quello che sta succedendo, di quello che sta succedendo alle nostre famiglie e ai nostri amici”, dice una 24enne passeggiando per le strade di Ramallah tra il vocio di chi invita a comprare questo o quello, i clacson incessanti con tassisti collettivi che hanno imparato tutte le strade alternative per evitare i posti di blocco. L’odore di shawarma impregna i vestiti. Ma il sole caldo è come una carezza sulla pelle. Pensate anche a quello che potreste fare per fermare questa guerra? Alza le mani al cielo e poi le abbassa di colpo: non c’è niente che possiamo fare.

Mentre a Gaza si vive un massacro veloce, continuo, sotto gli occhi di tutti quelli che hanno la forza di guardare, in Cisgiordania è uno stillicidio programmato, studiato, silenzioso e  lento come una clessidra piena della sabbia del mar Morto.

Tra i tanti arresti quotidiani, il 6 novembre, l’esercito israeliano ha arrestato Ahed Tamimi, un’attivista palestinese di 22 anni, nota nel mondo per aver dato uno schiaffone anni fa ad un soldato israeliano, è stata presa dopo un raid notturno nella sua casa di famiglia nel villaggio di Nabi Saleh, a nord-ovest di Ramallah, in Cisgiordania. E poi rilasciata. È stata accusata di “pubblicare un post su Instagram” che invitava al “massacro” dei coloni israeliani in Cisgiordania. La famiglia di Tamimi, tuttavia, ha affermato che non ha un account Instagram attivo. Né il post né l’account sono ora visualizzabili.

Una settimana prima, il 29 ottobre, il governo israeliano aveva arrestato suo padre, Bassem Tamimi, sostenitore della resistenza non violenta in Cisgiordania, mentre cercava di raggiungere la Giordania. È detenuto nel carcere di Ofer in detenzione amministrativa il che significa che può essere tenuto per sei mesi senza accusa né processo. Poi decideranno se tenerlo ancora.

Secondo il gruppo per i diritti dei prigionieri palestinesi Addameer, il sistema carcerario israeliano è un “complesso di mostruosi macchinari nella forma, nelle leggi, nelle procedure e nelle politiche… progettati per liquidare e uccidere”. Tamimi è conosciuta, un simbolo di resistenza, ma tutti gli altri?

A Gaza un milione e 800mila persone sono state sfollate dal 7 ottobre quando il l’organizzazione politica di Hamas e non solo, ha sferrato un attacco senza precedenti, uccidendo 1136 israeliani. Se a Gaza i numeri sono sconcertanti, in Cisgiordania sono più contenuti, ma è come un sasso lanciato nell’acqua e sono i cerchi che si propagano quello che conta. Non si cade in Cisgiordania come a Gaza, si affonda. 

La verità è che oggi, davanti agli occhi del mondo, che non ha scuse per non vedere, se non quelle di non voler vedere, i  palestinesi si trovano ad affrontare una delle fasi più difficili dai tempi della  Nakba  del 1948, (lo sfollamento forzato e violento dei palestinesi). L’esercito lo fa a Gaza, in Cisgiordania lo fanno con i coloni israeliani.

Gli attacchi dei coloni israeliani

Dal 7 ottobre al 23 dicembre, secondo i dati delle Nazioni Unite 300 palestinesi sono stati uccisi in Cisgiordania, tra cui 79 minorenni. Circa 2.850 palestinesi della Cisgiordania sono stati feriti, 1.800 sono stati arrestati (di cui 750 in detenzione amministrativa) e i coloni hanno distrutto migliaia di ulivi.

Prima del 7 ottobre i coloni avevano attaccato i palestinesi in genere piccoli coltivatori circa 600 volte da gennaio 2023. Ma con il nuovo regolamento  che rende l’acquisto di armi per un civile molto più semplice (iniziativa voluta dal ministro della Sicurezza israeliano Itamar Ben Gvir), ci sono circa 400 mila persone più che possono acquistare armi per “difendersi”, armi che in realtà vengono usate per attaccare i palestinesi. Nell’ultimo mese ci sono stati 334 attacchi contro i palestinesi, la maggior parte dei quali con l’intenzione di strapparli dalla loro terra.

Non è un’ipotesi o una fantasia paranoica, ma vengono lasciati volantini, come nel villaggio di Deir Istiya con scritto: “è l’ultima occasione”, che avete per andarvene in Giordania o dovrete affrontare una nuova Nakba (catastrofe, così viene definito dai palestinesi lo sfollamento palestinese del 1948).

Eppure Hamas non ha potere in Cisgiordania. La maggior parte della violenza dei coloni si rivolge contro i pastori e le comunità beduine che da anni affrontano violenze fisiche e intimidazioni.

Proprietà palestinesi vengono distrutte, le strade, i pozzi, i sistemi di irrigazione, i pannelli solari. L’obiettivo di questi attacchi è di svuotare l’Area C (come viene definita negli accordi di Oslo) che rappresenta il 61 per cento della Cisgiordania. L’area C è anche dove sono sorti quasi tutti gli insediamenti ebraici (tutti illegali secondo il diritto internazionale), ed è sotto il pieno controllo israeliano.

Città saccheggiate, coprifuoco, posti di blocco

L’Associate Press ha scritto che subito dopo il 7 ottobre “le città palestinesi sono state saccheggiate, è stato imposto il coprifuoco, adolescenti sono stati arrestati, detenuti picchiati e villaggi presi d’assalto da vigilantes ebrei”. Le notizie hanno sottolineato che anche prima del 7 ottobre, quest’anno è stato il più sanguinoso in Cisgiordania da oltre due decenni, con gli israeliani che hanno ucciso 250 palestinesi.

Basterebbe anche solo questo per farla diventare una storia difficile da raccontare, figuriamoci da vivere, ma, in realtà, siamo solo l’inizio della nostra storia.

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Foto di Cole Keister su Unsplash

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