Debito pubblico italiano e PIL

Scritto da in data Novembre 16, 2020

Alla fine del 2020 il debito pubblico dell’Italia sarà pari al 160% del PIL: cosa si può fare, realisticamente, per ridurlo?

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Quel che non mi uccide mi rende più forte

Oggi partiamo da un film che si intitolava “A 30 secondi dalla fine”, un vecchio film del regista russo Andreij Konchalowski ambientato negli Stati Uniti. Alla sceneggiatura di quel bel film d’azione aveva partecipato anche uno dei più grandi registi giapponesi, Akira Kurosawa, per chi è appassionato di cinema un’autentica leggenda. Si raccontava la storia della rocambolesca fuga da un carcere di massima sicurezza in Alaska di due evasi che dirottavano un treno. Ovviamente non vi raccontiamo la trama ma soltanto una battuta di uno dei protagonisti, un Jon Voight in grandissima forma, che interpretava uno dei due e che a un certo punto pronuncia la seguente frase: «Quel che non mi uccide mi rende più forte». È una di quelle frasi a effetto che si memorizzano e si citano all’occorrenza come anche quella secondo la quale «le difficoltà ci rendono migliori» o la più recente «andrà tutto bene». Sono frasi un po’ consolatorie che frullano nelle nostre teste nei momenti di difficoltà come in questi giorni di confusione, paura, ansia per quello che sta accadendo attorno a noi: la pandemia in pieno sviluppo, i contagi che si moltiplicano, il numero dei morti che cresce, la crisi economica, le incertezze sul futuro. Ci sentiamo impotenti e quel che ci spaventa ancor di più è che ci sembrano impotenti anche coloro che devono affrontare questa difficile situazione: chi ha responsabilità istituzionali, ma anche i medici e gli scienziati.

D’altronde quando vediamo un ministro dell’Economia come Gualtieri che a marzo scorso pensava di affrontare le conseguenze della pandemia con uno scostamento di bilancio di 4-5 miliardi di euro o quando vediamo un ministro della Salute che, oltre ad avere un cognome impegnativo, Speranza, pubblica a metà ottobre un libro auto elogiativo nel quale esalta il cosiddetto “modello italiano” di gestione della crisi, per poi essere costretto, qualche giorno dopo, a ritirarlo dalle librerie di fronte all’evidenza della seconda ondata di contagi, l’impressione che si ha è che manchi nella nostra sedicente “classe dirigente” la consapevolezza dei problemi e della loro dimensione e quindi, come accade anche in campo medico, se si sbagliano le diagnosi è difficile indovinare le terapie!

Nonostante tutto anche il coronavirus finirà, nel 2021 arriveranno i diversi vaccini che sono in fase di sperimentazione, la scienza troverà nuovi medicinali e nuove cure e l’emergenza sanitaria verrà superata, gradualmente potremmo tornare a fare una vita normale, finiranno gli assurdi dibattiti tra “allarmisti” e “negazionisti”, i virologi torneranno a fare ricerca invece di fare le star televisive. Quel che resterà invece saranno le macerie economiche a cominciare dall’enorme debito pubblico. Il combinato disposto di calo del PIL e aumento dell’indebitamento porteranno a fine 2020 il rapporto tra debito e PIL per l’Italia al valore del 160%. Soltanto in altri due momenti della sua storia il nostro Paese aveva avuto un debito pubblico così elevato: alla fine della Prima e della Seconda Guerra Mondiale. Quella cifra preoccupante ci dà quindi subito, in maniera molto sintetica, la dimensione dei problemi economici che dovremo affrontare nei prossimi anni.

Il debito pubblico: quali soluzioni?

Di debito pubblico parleremo in questa puntata. La questione è molto ampia e molto complessa e da sempre ampiamente dibattuta tra gli economisti. Oggi affronteremo soltanto alcuni aspetti del problema, quelli legati alle possibili soluzioni.

Ora, un paese come l’Italia con un elevato debito pubblico cosa potrà fare per ridurlo? Per anni ci hanno raccontato la barzelletta che si poteva ridurre facendo politiche di austerità, le quali invece, com’era facilmente prevedibile, lo hanno accresciuto. Se si riduce la spesa pubblica, si riducono gli investimenti, le aziende chiudono, i disoccupati aumentano e le tasse crescono: non c’è bisogno di un Nobel in economia per capire che sarà molto difficile trovare le risorse per ridurre il debito.

C’è chi dice che il debito di per sé è una cosa negativa, che fare debiti è un modo sbagliato di affrontare i problemi ma anche queste visioni risultano non soltanto semplicistiche ma anche pervase da intenti moralistici che nulla hanno a che fare con l’economia. L’intera economia capitalistica si è sviluppata ed è cresciuta sul debito, e comunque i debiti si facevano anche nelle economie precapitalistiche.

Nel Medioevo e nel Rinascimento i banchieri italiani − genovesi, fiorentini, senesi, veneziani, lombardi − finanziavano tutte le monarchie europee e se l’Italia oggi ha uno straordinario patrimonio culturale fatto di palazzi, chiese, castelli, dimore, opere d’arte lo si deve anche alle enormi ricchezze accumulate in quei secoli dagli abili banchieri italiani i quali, per lasciare ai posteri un buon ricordo di sé, finanziavano i più illustri artisti che hanno reso famoso il nostro Paese in tutto il mondo.

Il debito in sé non è una cosa né buona né cattiva, è semplicemente un modo pratico per risolvere un problema. Chi deve fare un investimento, deve aprire un’azienda, deve comprare qualcosa ma non ha i soldi si rivolge a chi i soldi li ha e in cambio di un interesse risolve il problema.

Chi ha i soldi, se li tenesse sotto il materasso non ci guadagnerebbe nulla: se li presta non lo fa per buon cuore ma perché ci guadagna e quindi si crea uno di quei circuiti virtuosi che sono alla base della crescita economica.

Tutti gli Stati hanno debiti

Quindi il problema non è il debito, di per sé: tutti gli Stati hanno debiti, oltre al fatto che una parte importante del debito pubblico italiano è nelle mani dei risparmiatori italiani. Quello che bisogna fare è ridurre la dipendenza dai mercati finanziari, dalle loro turbolenze e dai loro ricatti.

Il Giappone ha un debito pubblico pari al 240% del suo PIL che a fine 2020 arriverà probabilmente al 270% ma in Giappone nessuno si è mai sognato di separare la Banca centrale dal Ministero del Tesoro, oltre al fatto che gran parte, più del 90% del debito, è in mano a investitori e risparmiatori giapponesi.

Va poi anche chiarito che quando si parla di debiti non è il loro valore assoluto il problema ma i rapporti percentuali. Facciamo un esempio semplice. Se una persona che guadagna 25.000 euro all’anno ha un debito di 50.000 euro, il rapporto tra il suo debito e il suo reddito è il 200%: il suo debito è pari a due volte quello che guadagna in un anno. Se uno invece guadagna 250.000 euro all’anno il rapporto tra il suo debito e il suo reddito è il 20%. Quindi in economia le grandezze sono sempre relative, un debito può essere più o meno elevato in rapporto a quanto si guadagna. Se la persona che guadagna 25.000 all’anno cambia mestiere e con il nuovo lavoro porta a casa 50.000 euro all’anno il rapporto tra il suo debito e il suo reddito si riduce al 100%.

Certo si può pensare di ridurre il debito risparmiando o spendendo di meno, ma anche lì è una questione di rapporti. Torniamo all’esempio di prima. Se uno guadagna 250.000 euro all’anno e ha un debito di 50.000, può ragionevolmente pensare di fare qualche rinuncia, magari a qualcosa di superfluo, per ripagare il debito, ma se uno guadagna 25.000 euro all’anno, risparmiare significa ridurre anche consumi essenziali e per ripagare un debito che è pari al 200% del suo reddito per quanti anni dovrà fare sacrifici per ripagare quel debito?

L’austerità, una politica economica disastrosa

La sostenibilità del debito

Ovviamente poi la sostenibilità del debito, cioè la capacità di ripagarlo, dipende anche da un’altra variabile fondamentale: la quantità di ricchezza risparmiata negli anni passati e il modo in cui quella ricchezza è stata investita. Se il signore di prima che guadagna 25.000 euro all’anno ha in banca risparmi liquidi per 200.000 euro non sarà particolarmente preoccupato per il debito di 50.000. Ma se quei 200.000 euro di risparmi li aveva investiti per comprarsi la casa e in banca non ha nessun risparmio sarà ovviamente molto più preoccupato.

Ora da questo punto di vista l’Italia, come Paese, non è messo male. Gli italiani sono tradizionalmente un popolo di formiche, la propensione al risparmio delle famiglie italiane è tra le più elevate nel mondo occidentale e la ricchezza degli italiani ammontava a fine 2019 a circa 10.000 miliardi di euro, vale a dire 3-4 volte quello che è il valore complessivo del nostro debito pubblico e ben 5 volte quello che è il PIL nazionale.

Gran parte di questa ricchezza è costituita da immobili, ma ben 4.445 miliardi da attività finanziarie, da investimenti in titoli e azioni sino ai soldi tenuti liquidi sui conti correnti. Tra l’altro nel 2020, grazie al lockdown i soldi tenuti liquidi sui conti correnti sono cresciuti di circa un 7-8% raggiungendo a oggi una cifra poco sotto i 1.700 miliardi di euro, un valore pari all’incirca al PIL del Paese.

Il rapporto fra debito pubblico e PIL

Fatte queste doverose premesse torniamo al tema del debito pubblico e soprattutto del rapporto tra debito pubblico e PIL che, come dicevamo, a fine 2020 si aggirerà attorno al 160%. Qualunque governo, di qualunque colore politico, si troverà di fronte alla necessità di agire per ridurre quel rapporto. Come si può fare? Ci possono essere diverse soluzioni, vediamo sinteticamente le più realistiche.

Una prima soluzione sarebbe quella di far crescere il PIL. Quindi se si riuscisse a portare la crescita del PIL attorno al 2-3% l’anno potremmo un po’ alla volta ridurre il rapporto debito/PIL. Lo abbiamo imparato alle elementari anche se non siamo portati per la matematica. Il rapporto debito/PIL è come se fosse una frazione e, come sappiamo, se il denominatore, il numero che sta sotto nella frazione − il PIL − aumenta mentre il numeratore − il numero che sta sopra − resta fermo, il valore della frazione diminuisce. Facciamo un esempio pratico se a numeratore abbiamo 1 e a denominatore abbiamo 2 il valore della frazione è pari a ½ ma se il denominatore aumenta a 3 il valore della frazione sarà 1/3 e sappiamo che un terzo vale meno di un mezzo.

Come si fa crescere il PIL?

Ridurre le tasse

Superato l’esame di matematica elementare chiediamoci però: come si fa a far crescere il PIL? E qui la questione s’ingarbuglia perché nessuno ha la bacchetta magica, nessuno ha la soluzione precotta e, soprattutto, esistono visioni molto diverse su quel che si dovrebbe fare per rilanciare la crescita del PIL. C’è chi propone di ridurre le tasse, opzione molto popolare in un Paese con una pressione fiscale molto elevata; altri propongono di aumentare in maniera consistente la spesa pubblica, chi propone di investire sulla formazione, altri propongono di investire sulle nuove tecnologie, sul digitale, sulla green economy; altri ancora propongono di sburocratizzare e riformare la pubblica amministrazione. Tutte proposte interessanti ma, come dicevamo prima, per capire quali sono le soluzioni più efficaci occorrerebbe fare un’analisi accurata del Paese e dei suoi problemi, avere consapevolezza di quei problemi e delle loro dimensioni e avere un’idea chiara della direzione verso la quale ci si vuole muovere. Sempre per tornare a una metafora medica, occorre prima fare una diagnosi accurata e corretta per poter poi definire la terapia giusta.

Monetizzazione del debito

La seconda possibilità è la cosiddetta “monetizzazione” del debito. In pratica la BCE che, prima con il QE di Draghi e oggi con il PEPP della Lagarde, ha creato moneta per acquistare il debito pubblico dei paesi dell’area Euro, potrebbe distruggerla, eliminarla, farla sparire, almeno in parte. Alcuni propongono di trasformare i crediti che la BCE ha acquisito nei confronti dei vari paesi, acquistando titoli dei debiti pubblici nazionali, in una sorta di credito perpetuo da tenere a bilancio, senza alcuna remunerazione o con una remunerazione molto bassa. Al di là delle tecnicalità la soluzione è possibile. Sveliamo un arcano: nei sotterranei della BCE a Francoforte sul Meno non c’è una bella miniera d’oro dove tanti piccoli gnomi scavano e producono i lingotti del prezioso metallo giallo che poi, nei piani superiori, Madame Lagarde, utilizzando pozioni magiche come gli alchimisti medievali, trasforma in colorate banconote. La moneta oggi le banche centrali − tutte, compresa la BCE − la creano dal nulla.

Ora, di fronte ad affermazioni del genere ci sono diversi economisti che storcerebbero il muso, altri verrebbero colti da convulsioni, altri ancora, pensando di essersi imbattuti in qualcuno posseduto dal “maligno”, invocherebbero l’esorcista.

Al di là delle reazioni più o meno composte di costoro ribadiamo il concetto: questa soluzione è tecnicamente possibile anche perché è un problema che riguarda tutti i paesi dell’area Euro. Tutti hanno dovuto aumentare il loro indebitamento per far fronte alla crisi. A soluzioni che vanno in questa direzione stanno pensando in molti, persino istituzioni come il FMI che sono uno dei templi dell’ortodossia economica neoliberista. L’ostacolo principale a questo tipo di soluzione è di tipo politico più che economico.

La ripresa dell’inflazione

Una terza possibilità è la ripresa dell’inflazione. Come sappiamo l’inflazione erode i crediti e favorisce i debitori. Perché? Facciamo un esempio semplice per spiegarlo. Supponiamo che io oggi acquisti un BTP da 100 Euro che scade tra 5 anni, nel 2025 e che dall’anno prossimo si scateni un’inflazione annua del 5%, quindi per i prossimi quattro anni ogni anno i prezzi aumentano del 5%. Nel 2025 quando scadrà il mio BTP e me lo farò rimborsare mi daranno indietro il valore nominale di quel BTP, quindi i 100 Euro che avevo investito nel 2020. Ma quei 100 Euro nel 2025, dopo 4 anni di inflazione al 5% varranno soltanto 80 Euro. Il valore reale di quel mio investimento è stato eroso dall’inflazione. Diversi economisti pensano che, alla fine, una ripresa generalizzata dell’inflazione sarà una soluzione verso la quale si orienteranno un po’ tutti i governi oberati dal peso crescente dei debiti pubblici.

La patrimoniale

La quarta possibilità è la cosiddetta “patrimoniale”. Per molti italiani nominare la patrimoniale è un po’ come nominare l’Anticristo! Poi ovviamente ognuno intende la patrimoniale a modo suo: c’è chi la vorrebbe soltanto sui grandi patrimoni, c’è chi la vorrebbe soltanto sugli immobili per non creare problemi ai risparmiatori che hanno investito in titoli pubblici. C’è chi una mini-patrimoniale l’ha già introdotta e fu il famigerato governo Monti che per finanziare il “fondo salva stati” raddoppiò l’IMU sulle seconde case.

Una sorta di mini-patrimoniale fu anche il provvedimento che fece, nel lontano luglio del 1992, il governo Amato che dalla sera alla mattina introdusse un prelievo forzoso del 6 per mille su tutti i conti correnti per rastrellare quasi 100.000 miliardi, in una manovra economica eccezionale per salvare la nostra valuta di allora, la Lira, che era sotto l’attacco speculativo dei mercati finanziari e di speculatori come George Soros, ultimamente convertitosi alla filantropia.

Ora, una patrimoniale che vada a colpire le ricchezze al di sopra di una certa soglia, in linea di principio, dal punto di vista economico, non sarebbe un’idea sbagliata. Come al solito in Italia il problema è che anche le buone idee spesso vengono declinate in modo tale da renderle delle autentiche fregature. Pensiamo al già citato raddoppio dell’IMU sulle seconde case che fu introdotto dal governo Monti. L’idea sul piano teorico poteva essere fondata − chi ha una seconda casa si presume sia abbastanza benestante e quindi è giusto che paghi di più − ma la realtà è sempre più articolata e complessa delle belle ipotesi fatte a tavolino. In un Paese come l’Italia, dove negli ultimi cinquant’anni ci sono stati grandi fenomeni sia di inurbamento che di immigrazione interna, ci sono molte persone che magari abitano in grandi città, dove hanno la prima casa, e hanno magari ereditato nel paesino d’origine, uno sperduto e ormai spopolato villaggio sulle Alpi, sugli Appennini o in qualche landa desolata del nostro Meridione, una casetta di proprietà dei nonni o dei genitori. Quelle case, che spesso hanno uno scarso valore di mercato, vengono tassate come una villa a Cortina o a Portofino.

Comunque, dato che in Europa c’è sempre qualcuno che ci vuole bene e ci pensa intensamente, nello scorso mese di aprile, in piena pandemia, l’economista tedesco Daniel Stelter che si opponeva all’ipotesi degli Eurobond, proponeva una patrimoniale del 20% per l’Italia, paese che, a suo avviso, potrebbe cavarsela da solo senza elemosinare aiuti in Europa, in quanto le famiglie italiane dispongono, in media, di un patrimonio superiore a quello delle famiglie tedesche. Per questo, da economista semisconosciuto, Stelter, 56 anni, ordoliberista convinto, è diventato in poco tempo un personaggio popolare in Germania, molto corteggiato dai media.

Ognuna delle soluzioni che abbiamo succintamente elencato merita un ulteriore approfondimento e lo faremo prossimamente, per ora volevamo soltanto introdurre un tema molto articolato e complesso.

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