Il Brasile si mangia, si annusa, si sente

Scritto da in data Novembre 21, 2019

 

Lascio Cuiabà, nello stato del Mato Grosso, per dirigermi sempre più a nord, a São Luís e da qui nella città che apre le porte al parco nazionale dei Lençóis, nello stato del Maranhão. Di Cuiabà per ultimo vedo lo stadio lasciato in eredità dai Mondiali di calcio, dove la gente trascorre la sera correndo, camminando e parlando appoggiata a muretti bianchi. Vedo il Fundo de Quintal e la birra servita più volte in contenitori termici, una bottiglia alla volta, per tutti. Nella città di arrivo, invece, scopro che la mia guida cartacea mente: il turismo è innegabile, ma se si cerca bene si trova qualcosa di vero – la chiesa, il mercato, il succo di bacurì e latte condensato, i negozi qualunque.

Lo stadio di Cuiabà

Lo stadio emana una luce azzurrognola, fredda e moderna. Ha un bell’aspetto, nel complesso, e ai suoi piedi, all’esterno, brulica di gente e di vita, come se fosse una sorta di ritrovo. Sono ancora a Cuiabà, nel Mato Grosso. Gabriela, Raphael e io stiamo camminando nel buio e nel clima piacevole della sera. «È la sola cosa buona lasciata dai mondiali» mi dice Gabriela indicando la struttura che ci sovrasta. È felice che le Olimpiadi si terranno solo a Rio. Intorno a noi ci sono persone attive, che approfittano di questo spazio riqualificato per fare sport, correre, camminare. Qualche baracchino diffonde odori e sapori, come una sorta di promessa delle più importanti e ricche bancarelle attese per il weekend. Sempre all’esterno c’è un palco dedicato a spettacoli e concerti gratis mentre l’interno – come in tutto il mondo – ospita partite e concerti di cantanti famosi a pagamento.

La gringa al pub

Gabriela e Raphael vogliono farmi conoscere la città, almeno in parte, fintanto che starò con loro: troppo poco purtroppo. Quella sarebbe stata l’ultima sera, prima di volare a São Luís e da qui a Barreirinhas per accedere al Parco nazionale dei Lençóis Maranhenses. Hanno scelto un locale semplice, rilassato e lontano dal rumore della zona più di moda. Si chiama Fundo De Quintal: è un ristorante-pub informale, di colori vivaci ed eccentrici. L’esterno – in realtà credo che non esista un vero e proprio interno – è curato. La ghiaia, le sedie di plastica bianche, la scritta Jesus sulla parete di fronte mi piacciono, come mi piace la voglia di Gabriela di farmi assaggiare tutto, soprattutto la mandioca, proposta in tre varianti: fritta, cocida e la farofa – di banana, ovviamente. La birra Original viene portata al tavolo più volte: viene servita una bottiglia grande alla volta, in un contenitore termico per evitare che si scaldi troppo, si chiama il cameriere quando finisce e così facendo si perde il conto di tutto, del numero di bottiglie, della quantità di alcol a testa, dei soldi spesi. I temi di discussione sono vari: mi chiedono se mi sia piaciuta la Chapada, che cibo preferisco, differenze e similitudini con l’Italia. Gabriela, che è stata in Europa, dice che le mancano i pub, come quelli di Londra o Dublino, al chiuso. Un signore poco distante mi sente dire qualche frase in italiano: mi dice di aver lavorato a Verona e prova a parlare nella mia lingua. Tutti, lì dentro, sanno che sono la forestiera, la gringa: sia per l’aspetto, sia perché parliamo in inglese o in mezzo spagnolo e italiano. I proprietari si prodigano per farmi assaggiare: cucina, atmosfera, alcol…

Assaggiare, annusare, ammirare

Il Brasile lo si mangia in modi diversi in ogni zona o Stato – come dimenticare l’acaraje di Bahia? Una polpetta fritta nell’olio di palma liquido e rossastro – il Brasile lo si annusa, lo si percepisce con tutti i sensi. Nel Parco nazionale dei Lençóis Maranhenses lo si ammira inchinandosi di fronte a quelle dune di sabbia bianca, talmente infinite da confondere, con quei laghetti puri, quasi come se fossero di cristallo, come se potessero rompersi o sciuparsi. Ci raggiunge, verso fine serata, un’amica di Gabriela conosciuta anche da me a Londra. Finiamo l’ultima bottiglia e ce ne andiamo.

Punture di insetti

Il giorno dopo arriviamo in ritardo in aeroporto, Raphael e io, e pur nella concitazione di quei momenti riesco ad accorgermi, durante l’imbarco, che le mie gambe sono piene di puntini rossi né piccoli né grandi. Sembrano punture di insetto ma sono sparpagliate per tutte le gambe, entrambe le gambe. Scrivo subito a Gabriela, prima di salire sull’aereo: secondo lei è una zecca, un acaro tipico del Brasile che lei chiama micuim o – più scientificamente – Amblyomma cajennense, anche se in internet trovo vari nomi, specie e generi diversi. Evito di leggere troppo, perché alcuni siti riportano informazioni abbastanza disgustose. Non sono nemmeno sicura che possa essere davvero quello. Decido di comprare una pomata contro le punture generiche di insetto e di aspettare che passi. A São Luís arrivo in tempo per prendere l’ultimo autobus per Barreirinhas la città che permette l’ingresso al Parco nazionale dei Lençóis Maranhenses.

Morros: e se mi fermassi?

Durante il tragitto osservo la vegetazione secca e abbondante, verdi opachi alternati a Palme dal colore più intenso. Anche la terra vira dalle sfumature secche a quelle più sanguigne e vive. Su tutto, le case quadrate, sporche, aperte, dipinte con così tanti colori da ricordarmi l’India. Le case lasciavano intravedere la vita al loro interno: donne che lavorano, bambini che giocano. In ogni spiazzo sabbioso abbastanza ampio ci sono sempre due pali nel terreno a fungere da porta e qualche bambino che corre dietro a un pallone. Arriviamo nella città di Morros, sembra che ci sia una festa. Il paese è ricco, pieno di colori, chiese di religioni differenti si susseguono e c’è la musica. L’aria è densa, piena e viva. Vorrei quasi fermarmi ma non mi è possibile, per via della mia rigorosa pianificazione di voli interni. Se ne perdessi uno, che succederebbe? Scaccio dalla testa il pensiero, più che altro per motivi economici visto che tornare di nuovo a San Paolo, da lì, non è uno scherzo. Sono a nord, nella parte più alta del Brasile e agli antipodi della città dalla quale prenderò un volo per tornare in Italia. Se non erro, è un po’ come andare dalla Sicilia alla Norvegia.

Trovo vero: una chiesa, una cuoca, il gommista

Barreirinhas mi piace. La guida cartacea non è d’accordo con me: secondo lei la città è turistica, sciapa, pessima. Una porta di accesso dove dormire e prenotare l’escursione. Nulla di più. La Chiesa di Nossa Senhora da Conceição de Barreirinhas – con la facciata bianca e azzurra – mi ricorda la piazza attraversata durante la mia escursione in Chapada: allegra, piena di souvenir e chincaglierie. Ricordo di aver mangiato una tapioca al formaggio e prosciutto e lì, proprio in quella piazza, c’era una chiesa bianca con le linee blu, quasi greca, con una porta finta che non si apriva né si chiudeva, ma soprattutto che non esisteva. Se ne stava piazzata in mezzo, nella navata centrale, poco distante dalla porta vera di ingresso.
Più che turistica, Barreirinhas mi sembra vera. Trovo vera la puzza di pesce che mi entra nelle narici ancora prima di poter scorgere da lontano il mercato. Trovo vero il fruttivendolo con casse piene di frutti che da noi non esistono e che sono a centinaia, quasi. Trovo vero il gommista, gli innumerevoli negozi hi-tech che aggiustano telefoni e mettono a punto i software. Sono vere le farmacie che mi dicono che la crema che ho comprato per le punture sulle gambe è perfetta e non cercano di vendermene un’altra. Trovo ancora più vera la signora che gestisce la piccola mensa dove ceno, vicino alla mia Pousada: mi chiede da dove vengo e mi fa assaggiare un succo buonissimo, quasi divino, di bacurì e latte condensato – che non ho più trovato da nessun’altra parte, in Brasile. Il cibo che mi prepara è vero, anzi verissimo: la farofa e il pollo grigliato che ben si accompagna a riso, fagioli e a una crema di pollo unica.
Trovo veri gli adolescenti per strada, gli sguardi verso una donna sola che passeggia, il mercato dove per colazione mi faccio dare la tapioca con burro e olio da due signore gentili. Trovo bella e vera la mia Pousada, semplice. Lui assomiglia a un pirata, ha le guance segnate, i muscoli in vista, i tatuaggi. Indossa una canottiera grigia e i capelli sono ricci, corti e trattati con noncuranza. Suo figlio parla un italiano perfetto.
Per quella notte prenoto un letto in camerata mista e per la notte successiva un’amaca solo per me, in cui dormire.

In copertina, foto di Eleonora Viganò

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