“Il lavoro nobilita l’uomo”: e la donna?
Scritto da Le Funambole in data Maggio 7, 2021
A cura di Marcella Corsi, coordinatrice di Minerva – Laboratorio di studi su diversità e disuguaglianza di genere, Sapienza Università di Roma
Oggi parliamo di lavoro guardando alle differenze tra le sue diverse tipologie, prima e dopo la pandemia. Perché diverse sono le modalità di lavoro che caratterizzano uomini e donne, ma soprattutto perché esiste un lavoro invisibile, quello non retribuito che le donne prestano negli ambiti domestici e che la disciplina economica tradizionale tende a ignorare. Di questo lavoro l’economia femminista si occupa in modo assiduo, sia sviluppando teorie adatte a incorporarlo nei modelli di produzione − evidenziando processi di riproduzione sociale − sia creando statistiche di genere basate sulle indagini sull’uso del tempo atte a misurare il tempo impiegato per lo svolgimento delle attività di cura, sebbene queste non ricevano una vera retribuzione.
Di smart-working si sente parlare molto di questi tempi: molte indagini hanno mostrato i riflessi negativi in termini di allungamento delle giornate lavorative, di appesantimento dei ritmi di lavoro, di difficoltà crescenti di conciliazione tra lavoro retribuito e non, soprattutto per le madri (ma non solo). Noi stesse di MinervaLab ci siamo occupate del tema nella prima fase della pandemia: con un’indagine online condotta su un campione di oltre 1.000 persone, abbiamo rilevato informazioni sui tempi di vita e di lavoro in casa e fuori casa, e chiesto a uomini e donne in età lavorativa di confrontarsi con le proprie sensazioni di (in)soddisfazione, stanchezza, (in)felicità.
Ma anche di altro oggi parliamo: dei lavori prestati dalle cosiddette lavoratrici essenziali, dei lavori perduti a causa della pandemia (e che rischiano di non essere ritrovati) e del lavoro a distanza, il cosiddetto smart-working che la pandemia ha portato nelle nostre vite. Nuove modalità di lavoro inaspettate e dalle ripercussioni da esplorare con attenzione. Forme di lavoro che rischiano di privarci di ciò che nobilita l’attività lavorativa, aldilà della mera (importante) remunerazione: la possibilità di interagire, di accumulare conoscenze, di migliorare le proprie competenze e, perché no, anche di fare carriera. Lavorare per essere, non solo per guadagnare!
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