114 anni dopo, le scuse per aver costretto un uomo in gabbia in uno zoo
Scritto da Alice Corte in data Settembre 13, 2020
Ota Benga è stato rapito in Africa nel 1904 e poi costretto a esibirsi in uno zoo negli Stati Uniti nel 1906. Le scuse dell’organizzazione, ancora operante, che lo costrinsero in una gabbia e, indirettamente, ne provocarono la morte per suicidio 10 anni dopo.
Le scuse della WCS a Ota Benga, 114 anni dopo la sua esibizione in uno zoo
A 114 anni dalla sua “esposizione”, la Wildlife Conservation Society si scusa con Ota Benga, giovane Mbuti – popolo di cacciatori-raccoglitori dell’Africa centrale, conosciuti anche come pigmei del Congo – che dall’8 settembre 1906 e per alcuni giorni fu costretto nella sezione del BronxZoo dedicata ai primati. Il ragazzo, rapito dalla sua terra e dalla famiglia e tradotto poi in orfanatrofio, si suicidò alcuni anni dopo.
La storia è stata pubblicata su Twitter da Survival Italia, movimento mondiale per i popoli indigeni, in seguito al formale comunicato di scuse di Cristián Samper, presidente e amministratore delegato della Wildlife Conservation Society.
L’#8settembre del 1906, #OtaBenga venne messo in mostra insieme alle scimmie nel @BronxZoo. Lo zoo appartiene alla @TheWCS. Dieci anni dopo, Ota Benga si suicidò. Christian Samper, presidente della WCS, ha recentemente sollecitato la WCS a “fare meglio”… pic.twitter.com/WMwa9xwT5Z
— Survival Italia (@survivalitalia) September 8, 2020
Samper ha affermato in un comunicato che la WCS sta cercando di indagare il proprio passato e presente nella ricerca di giustizia:
Poiché gli Stati Uniti si sono confrontati in questi mesi con il razzismo sistematico della nostra nazione e poiché come WCS festeggiamo il nostro 125° anniversario, ci stiamo guardando dentro, esaminando la nostra storia e chiedendo se possiamo fare di più per assicurare che persone di diverse razze, lingue, culture e stati sociali possano sentirsi accolte e godere di uguali opportunità nei nostri giardini zoologici a New York e nei luoghi di conservazione nel mondo.
Ulteriori scuse espresse dalla WCS riguardano invece l’atteggiamento pseudoscientifico che l’organizzazione ha avuto nei confronti di persone non bianche, in particolare afroamericane, native americane e immigrate. Due dei fondatori della Wildlife Conservation Society, Madison Grant e Henry Fairfield Osborn, avevano infatti partecipato alla stesura di The Passing of the Great Race, testo che afferma la supremazia della “razza nordica” e propone interventi di eugenetica.
Le tesi del libro hanno influenzato Adolf Hitler e sono state usate per la difesa dei criminali nazisti durante il processo di Norimberga. Stephen Jay Gould, scienziato che ha speso gran parte della sua vita nella lotta al pregiudizio razzista e sessista, ne ha parlato come del trattato più influente sul razzismo scientifico americano. Grant e Osborn sono stati anche tra i fondatori della American Eugenics Society.
La storia di Ota Benga
La storia di Ota Benga inizia nel 1904, quando, all’incirca ventenne, fu rapito nei territori dell’attuale Repubblica Democratica del Congo per essere “esposto” negli Stati Uniti. Il ragazzo Mbuti fu acquistato dal trafficante di schiavi e animali selvatici Samuel Philips Verner, che lo costrinse a esibirsi nel BronxZoo. Il direttore del BronxZoo, William Hornaday – che non viene citato nelle scuse di Samper –, avvalorando le tesi eugenetiche dei colleghi, adornò la gabbia di Ota Benga con ossa, suggerendone il cannibalismo. L’esposizione del giovane provocò il dibattito e le proteste di alcuni giornali afroamericani e della Black Church.
Nel 1906 fu quindi ospitato in un orfanatrofio per persone di colore. Il suo tutore gli diede abiti americani, lo istruì in inglese e gli procurò un intervento di odontoiatria conservativa (gli Mbuti erano soliti rendere i propri denti aguzzi). Ota Benga trovò poi lavoro in una fabbrica di tabacco, con l’obiettivo di tornare in Africa, ma lo scoppio della guerra mondiale glielo rese impossibile, portandolo alla depressione. Nel 1916 il giovane si uccise.
I tentativi di farne emergere la storia prima di oggi sono stati spesso contrastati dalla Wildlife Conservation Society. Già dopo la morte del giovane, The New York Times avrebbe infatti affermato che non fu costretto a stare nella gabbia, ma che quello era piuttosto un “impiego”. Tuttavia, questo andava contro i numerosi articoli che lo avevano riguardato durante l’esibizione stessa, durata ben tre settimane e arrivata anche a un “tour” europeo.
I documenti relativi alla storia di Ota Benga sono ora disponibili sugli archivi online della WCS.
Ti potrebbe interessare anche:
- L’Africa è libera dalla poliomelite
- Coronavirus, la storia di Leonardo “bloccato in Kenya dal lockdown”
- I bambini di Soweto
- Mali: i protagonisti della crisi
- Doha: al via i colloqui intrafgani
- Alaska: brucia l’unico negozio di un villaggio in lockdown, perse le scorte alimentari
- Israele, Emirati, Bahrein firmano accordo per la normalizzazione
- Onda su onda
- Venezuela: L’Onu accusa Maduro di crimini contro l’umanità
- Sudan: sequestrato esplosivo sufficiente a far saltare la capitale
- Dirty Wars, il videogioco su Salvador Allende
- Stati Uniti: in lutto per la morte della Ginzburg, giudice della Corte Suprema
- Avvocata iraniana per i diritti umani in carcere, ricoverata
E se credete in un giornalismo indipendente, serio e che racconta recandosi sul posto, potete darci una mano cliccando su Sostienici