Quando ci sarà giustizia per Leonard Peltier?

Scritto da in data Marzo 1, 2022

Leonard Peltier sta scontando una pena tra le più lunghe inflitte negli Stati Uniti non per il crimine per cui è accusato, ma per aver danzato la Danza del Sole. Where is the justice for Leonard Peltier è il refrain della canzone numero 8 dell’album Revolution di Little Steven, chitarra e mandolino nella E Street Band di Bruce Springsteen. L’album è del 1989 e il titolo della canzone è “Leonard Peltier“, attivista per i diritti umani dei nativi americani, in carcere da 16.814 giorni, 8 ore, 45 minuti e 11 secondi al momento in cui viene scritto questo articolo, che sui suoi 77 anni di vita ne fanno 46 trascorsi in carcere.

Leonard Peltier sleeps in a prison tonight

For 400 years he’s lived with justice washed white

His crime was tradition spoken with pride.

Leonard Peltier dorme in una prigione stanotte / Per 400 anni ha vissuto con giustizia slavata / Il suo crimine è stato sostenere la tradizione con orgoglio.

La strofa definisce molto bene il caso Peltier, che rivela gli interessi della giustizia − da parte dell’FBI statunitense, coperti dalla volontà di far luce sull’omicidio di due agenti − e volontà politiche di indebolimento dell’autodeterminazione ed eliminazione fisica del popolo nativo americano.

L’accusa

L’accusa per cui Peltier è in carcere è l’omicidio di due agenti dell’FBI durante una sparatoria avvenuta in una riserva di nativi americani nel 1975. Il 26 giugno di quell’anno, nella riserva indiana di Pine Ridge nel South Dakota, agenti dell’FBI a bordo di auto senza targhe, hanno aperto il fuoco su membri dell’American Indian Movement (AIM), un gruppo per i diritti dei nativi americani operativo nella riserva di cui Peltier faceva parte. I due agenti dell’FBI, Jack Coler e Ronald Williams, vengono feriti da colpi di arma da fuoco prima di essere uccisi, e anche un membro dell’AIM, Joseph Stuntz, viene colpito a morte. Sull’uccisione di quest’ultimo non si sono aperte indagini e l’FBI ha sentenziato che è stato «apparentemente raggiunto da un colpo di arma da fuoco di un agente delle forze dell’ordine» durante la sparatoria. Per i due agenti dell’FBI uccisi sono stati indagati Leonard Peltier assieme a due co-imputati attivisti del movimento: questi ultimi sono stati assolti per legittima difesa, mentre per Peltier, che non si è mai dichiarato colpevole, non si sono viste valide prove portate dall’accusa, se non testimonianze poi smentite da parte di persone minacciate e intimidite dall’FBI L’uomo è stato condannato a due ergastoli da scontare fino al 2040 al Coleman Federal Correctional Complex, un carcere della Florida.

Il procuratore degli Stati Uniti James Reynolds, che ha contribuito alla condanna di Peltier nel 2017, ha chiesto a Barack Obama e all’attuale presidente degli Stati Uniti Joe Biden di concedere la grazia all’accusato. Secondo quanto riporta Huffington Post, i funzionari federali non hanno mai avuto prove che Leonard Peltier avesse commesso alcun crimineJames Reynolds è a oggi uno dei sostenitori della liberazione di Peltier, in quanto afferma che il governo ancora non sa chi abbia ucciso gli agenti dell’FBI. 

Reynolds è stato l’avvocato degli Stati Uniti che ha contribuito a mettere Peltier in prigione, e in una lettera di luglio a Biden ha affermato di essersi reso conto nel corso degli anni di quanto fosse ingiusto il processo a Peltier e che sarebbe stato utile alla giustizia lasciarlo tornare a casa.

La solidarietà

L’incarcerazione e la prigionia di Peltier hanno suscitato le proteste e la solidarietà di tanti leader internazionali che si occupano o si sono occupati di diritti umani: il Dalai Lama, Nelson Mandela, il subcomandante Marcos, Desmond Tutu, Rigoberta Menchù, Robert Redford (che sulla vicenda di Peltier ha prodotto il documentario Incident at Oglala), Oliver Stone, Howard Zinn, Peter Matthiessen, il Parlamento Europeo, Amnesty International, Madre Teresa e Coretta Scott King. Recentemente Vera Pegna ha espresso la richiesta di liberazione in un video per Pressenza, mentre nell’agosto del 2021 l’ex presidente del Parlamento Europeo David Sassoli, recentemente scomparso, aveva chiesto clemenza per Peltier, sostenuto anche da un appello popolare.

La solidarietà ispirata da Leonard Peltier è quella della lotta di tutti i popoli e di tutti gli esseri umani oppressi e soggiogati dalla violenza dei poteri dominanti, in difesa del mondo oppresso dalla minaccia di distruzione da parte di un sistema di potere, di un modo di produzione e di un modello di sviluppo che schiavizzano, divorano e distruggono gli esseri umani, gli altri animali, l’intero mondo vivente (secondo quanto riconosciuto dal Movimento Internazionale per la Riconciliazione e il Movimento Nonviolento Piemonte e Valle d’Aosta, e altri centri studi di pace italiani).

«Pratico la Danza del Sole»

Leonard Peltier ha scritto la propria biografia: Leonard Peltier, Prison writings. My life is my sun dance, St. Martin’s Griffin, New York 1999, nell’edizione italiana: Leonard Peltier, La mia danza del sole. Scritti dalla prigione, Fazi, Roma 2005, e in questa scrive:

Tutti facciamo parte dell’unica famiglia dell’umanità.

Noi condividiamo la responsabilità per la nostra Madre Terra e per tutti quelli che ci vivono e respirano.

Credo che il nostro compito non sarà terminato fin quando anche un solo essere umano sarà affamato o maltrattato, una sola persona sarà costretta a morire in guerra, un solo innocente languirà in prigione e un solo individuo sarà perseguitato per le sue opinioni.

Credo nel bene dell’umanità.

Credo che il bene possa prevalere, ma soltanto se vi sarà un grande impegno. Impegno da parte nostra, di ognuno di noi, tuo e mio.

Io so chi sono e quello che sono. Sono un indiano, un indiano che ha osato lottare per difendere il suo popolo. Io sono un uomo innocente che non ha mai assassinato nessuno, né inteso farlo. E, sì, sono uno che pratica la Danza del Sole. Anche questa è la mia identità. Se devo soffrire in quanto simbolo del mio popolo, allora soffro con orgoglio.

Non cederò mai.

«Vi giuro, sono colpevole solo di essere un indiano»

Sempre dall’autobiografia, è così che Peltier vive l’esperienza dell’accusa di colpevolezza:

Non ho scuse da porgere, solo tristezza. Non posso scusarmi per quello che non ho fatto. Ma posso provare dolore, e lo faccio. Ogni giorno, ogni ora, soffro per quelli che sono morti nello scontro di Oglala del 1975 e per le loro famiglie − per le famiglie degli agenti dell’Fbi Jack Coler e Ronald Williams e, sì, per la famiglia di Joe Killsright Stuntz, la cui morte per una pallottola a Oglala quello stesso giorno, così come le morti di centinaia di altri indiani a Pine Ridge in quel terribile periodo, non è mai stata oggetto di inchiesta. Mi piange il cuore nel ricordare la sofferenza e la paura nella quale molta della mia gente fu costretta a vivere a quel tempo, la stessa sofferenza e paura che quel giorno spinse me e gli altri a Oglala a difendere chi era indifeso.

Provo pena e tristezza anche per la perdita subita dalla mia famiglia perché, in qualche misura, quel giorno sono morto anche io. Sono morto per la mia famiglia, per i miei bambini, per i miei nipoti, per me stesso. Sopravvivo alla mia morte da oltre due decenni.

Quelli che mi hanno messo qui e che mi tengono qui sapendo della mia innocenza avranno una magra consolazione dalla loro indubbia rivincita, che esprime chi essi sono e ciò che sono. Ed e la più terribile rivincita che potessi immaginare.

Se voi, parenti e amici degli agenti che morirono nella proprietà degli Jumping Bull, ricaverete qualche tipo di soddisfazione dal mio essere qui, allora posso almeno darvi questo, nonostante non mi sia mai macchiato del loro sangue.

Sento la vostra perdita come mia. Come voi soffro per quella perdita ogni giorno, ogni ora. E così la mia famiglia. Anche noi conosciamo quella pena inconsolabile. Noi indiani siamo nati, viviamo, e moriamo con quell’inconsolabile dolore. Sono ventitré anni oggi che condividiamo, le vostre famiglie e la mia, questo dolore; come possiamo essere nemici? Forse è con voi e con noi che il processo di guarigione può iniziare.

Voi, famiglie degli agenti, certamente non avevate colpa quel giorno del 1975, come non l’aveva la mia famiglia, eppure voi avete sofferto tanto quanto, anche più di chiunque era lì. Sembra sia sempre l’innocente a pagare il prezzo più alto dell’ingiustizia. È sempre stato così nella mia vita.

Alle famiglie di Coler e Williams che ancora soffrono mando le mie preghiere, se vorrete accettarle. Spero lo farete. Sono le preghiere di un intero popolo, non solo le mie. Abbiamo molti dei nostri morti per cui pregare e uniamo la nostra amarezza alla vostra. Possa il nostro comune dolore essere il nostro legame.

Lasciate che siano quelle preghiere il balsamo per la vostra pena, non la prolungata prigionia di un uomo innocente.

Vi assicuro che se avessi potuto evitare quello che avvenne quel giorno, la vostra gente non sarebbe morta. Avrei preferito morire piuttosto che permettere consapevolmente che accadesse ciò che accadde. E certamente non sono stato io a premere il grilletto che l’ha fatto accadere. Che il Creatore mi fulmini ora se sto mentendo. Io non riesco a vedere come il mio stare qui, separato dai miei nipoti, possa riparare alla vostra perdita.

Vi giuro, sono colpevole solo di essere un indiano. È questo il motivo per cui sono qui.

L’ultima testimonianza che Peltier ha rilasciato sulla condizione in carcere è quella di “una camera di tortura”. Ha infatti recentemente contratto la Covid-19 − circa due settimane fa − per il quale gli appelli e la richiesta di liberazione diventano ancora più impellenti. Dopo l’esortazione del senatore dello stato delle Hawaii sul rilascio prima che la situazione di salute dell’attivista si aggravi, Joe Biden resta l’ultima possibilità per Peltier di essere un indiano libero.

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