19 maggio 2020 – Notiziario in genere
Scritto da Angela Gennaro in data Maggio 19, 2020
In Zimbabwe parte un’inchiesta dopo che tre deputate sono state rapite e picchiate. Coronavirus e bambini in prigione. 19enne uccisa nel Regno Unito. Un altro massacro a Ituri, nel Congo, anche donne e bambini. In Pakistan due adolescenti sono state uccise per un video hard.
Coronavirus e bambini in prigione
Molti governi non stanno tutelando la sicurezza dei bambini detenuti in questi tempi di pandemia di Coronavirus. A denunciarlo è Human Rights Watch. I dati disponibili, ricordano, indicano che il virus si sta diffondendo rapidamente in strutture chiuse, quindi anche in carcere. Solo una ventina di paesi hanno liberato bambini dalle strutture di detenzione nel tentativo di limitare l’impatto di Covid-19, mentre a liberare gli adulti per lo stesso fine sono stati secondo i report almeno 79 paesi in risposta alla pandemia. Mentre in Afghanistan, Ciad, Indonesia e Sud Sudan i bambini sono stati esplicitamente inclusi negli ordini di rilascio, nella maggior parte degli altri paesi, secondo quanto riferito, sono stati esclusi.
At least 79 governments have released adult detainees as part of their #Covid19 response, but only 20 are known to have released children. https://t.co/Zt4P1d6UwY pic.twitter.com/jB4WcEki4J
— Human Rights Watch (@hrw) May 16, 2020
“I bambini detenuti sembrano essere un ripensamento, se non vengono affatto considerati, da molti governi che rispondono alla crisi di Covid-19”, ha dichiarato Jo Becker, direttore per la difesa dei diritti dei bambini di Human Rights Watch. “I governi dovrebbero agire per ridurre sostanzialmente il numero di bambini nelle strutture di detenzione”.
I detenuti sono particolarmente vulnerabili alle infezioni a causa della stretta vicinanza e di una maggiore incidenza delle condizioni mediche da cui partono. L’accesso all’acqua, ai servizi igienico-sanitari e ai servizi medici di base è spesso scarso. In molti paesi, le carceri sono gravemente sovraffollate.
Ongoing @hrw research shows HIV+ detainees in #UAE prisons haven't been given access to lifesaving medication & are at increased risk of #COVID19. We've joined @G_C_T_A, @StopTB + 46 orgs in calling for the release of prisoners on health grounds: https://t.co/3hctsKJBEt pic.twitter.com/7kazjqGeL6
— TAG Team (@TAGTeam_Tweets) May 18, 2020
Nel marzo 2020, l’Alto commissaria delle Nazioni Unite per i diritti umani, Michelle Bachelet, ha fatto appello per un’azione urgente per impedire a Covid-19 di “scatenarsi” nei luoghi di detenzione. Negli Stati Uniti, il Marion Correctional Institute dell’Ohio ha uno dei più alti tassi di infezione da Covid-19 al mondo – oltre l’80% dei 2.000 detenuti è risultato positivo al virus. In un centro di detenzione minorile nello stesso stato, quasi la metà dei bambini detenuti si è dimostrata positiva.
Uno studio globale delle Nazioni Unite del 2019 ha rilevato che ogni giorno centinaia di migliaia di bambini sono detenuti nei sistemi giudiziari di tutto il mondo e che ogni anno vengono trattenuti in custodia dalla polizia fino a un milione di bambini. Lo studio ha rilevato che quasi i tre quarti sono in stato di detenzione preventiva e non sono stati condannati per alcun reato. Molti sono ritenuti responsabili di reati di “status” come assenze, fuga da casa, disobbedienza, bere da minorenni e per attività sessuale consensuale tra adolescenti. Studi condotti negli Stati Uniti hanno concluso che la maggior parte dei trasgressori minorenni potrebbe essere rilasciata senza compromettere la sicurezza pubblica.
19enne uccisa nel Regno Unito
La notizia è riportata dal Guardian, ne scrive in Italia DailyMuslim.it, il giornale dei musulmani d’Italia e a rilanciarla è la giornalista Tiziana Ciavardini: si chiamava Aya Hachem la ragazza di 19 anni uccisa domenica 17 maggio a Blackburn, nel Regno Unito, con un colpo di pistola sparato a bruciapelo da un’auto in corsa. La ragazza era una studentessa di fede musulmana dell’Università di Salford e si trovava a poche centinaia di metri da casa sua, in King Street, per raggiungere il vicino supermercato di una grande catena per fare la spesa, intorno alle 15. “Non si esclude alcuna ipotesi ma potrebbe anche essere stato un gesto razzista e anti-islamico”, dice Tiziana Ciavardini. Tre uomini sono stati arrestati poche ore fa.
L’auto, una Toyota Avensis verde chiaro metallizzato, è stata segnalata – si legge ancora – mentre lasciava King Street poco dopo la sparatoria. Un veicolo che corrisponde a questa descrizione è stato successivamente recuperato sempre nella città della contea del Lancashire. Nonostante il tempestivo intervento dei soccorsi, la ragazza è morta poco dopo in ospedale. Le cause del decesso non sono ancora state rese note, ma sembra che Aya sia stata raggiunta da diversi colpi alla testa e all’addome. La polizia ha chiesto a eventuali testimoni di farsi avanti. Si esclude una matrice terroristica, ma si lascia aperta l’ipotesi che si possa essere trattato di un gesto razzista e anti-islamico.
Lei si chiamava Aya Hachem era musulmana. Aveva solo 19 anni è stata uccisa domenica 17 maggio a Blackburn, nel Regno…
Posted by Tiziana Ciavardini on Monday, May 18, 2020
Pakistan: due ragazze uccise da parente per video hard
Due adolescenti sono state uccise a colpi d’arma da fuoco nel Pakistan nord-occidentale, vicino al confine con l’Afghanistan. Un parente ha volute punire le due ragazze con un ‘delitto d’onore’ dopo che un loro video hard ha iniziato a circolare sui social. Secondo quanto ricostruisce la Bbc online il video, girato sembrerebbe un anno fa, mostra un giovane con tre ragazze in un luogo all’aperto ma appartato. Una fonte du polizia precisa ora che “al momento, la nostra priorità è innanzitutto tutelare la vita della terza ragazza e dell’uomo”. Il delitto, sul quale è stata aperta un’indagine, è avvenuto a Shaam Plain Garyom, un villaggio di frontiera tra il Nord e il Sud Waziristan. Secondo Human Rights Watch, ogni anno ci sono un migliaio di delitti d’onore in Pakistan dove la violenza contro le donne rimane una grave problema.
Congo
Non si ferma l’escalation di violenza nella regione di Ituri, nel nord-est della Repubblica Democratica del Congo: pochi giorni fa, nella notte tra sabato e domenica sono stati massacrati almeno 20 civili, tra cui donne e bambini. Lo racconta l’Afp. “Attualmente stiamo registrando 20 persone uccise e altre 17 ferite, alcune delle quali sono state ricoverate in ospedale”, ha detto l’amministratore del territorio di Djugu Adel Alingi. Da marzo più di 200mila persone sono state costrette ad abbandonare le proprie case, come denunciato dall’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, proprio a causa dell’escalation delle violenze nell’area.
#UPDATE More than 200,000 people, mostly women and children, have fled surging violence in #Ituri province in the Democratic Republic of Congo's volatile east since March, the UN said Friday https://t.co/y8CwT7VNlg pic.twitter.com/nmeviDH21e
— AFP news agency (@AFP) May 8, 2020
Zimbabwe
Il ministro dell’Interno dello Zimbabwe, Kazembe Kazembe, ha ordinato un’inchiesta dopo che tre deputate del Movimento per il cambiamento democratico (Mdc) – si tratta di Joanna Mamombe, Cecilia Chimbiri e Netsai Marov – hanno denunciato di essere state torturate e aggredite sessualmente da persone sospettate di essere agenti statali, benché il governo, dicono i media locali, abbia negato le accuse.
Le tre deputate sono state arrestate la settimana scorsa mentre manifestavano contro la politica del governo, accusato di affamare le persone per le decisioni prese con l’obiettivo di contenere la pandemia di Cronavirus. Secondo le ricostruzioni giornalistiche sarebbero state trattenute in una stazione di polizia – anche se le forze dell’ordine stanno smentendo questa ricostruzione. Le tre parlamentari, secondo quando ricostruisce il loro partito, sono state ritrovate dopo tre giorni. Picchiate, raccontano, e portate per questo un ospedale.
Almeno 23mila sfollati in Niger dalla Nigeria nelle ultime settimane
Sono almeno 23mila gli sfollati fuggiti nelle ultime settimane in Niger a causa delle violenze nella Nigeria nord-occidentale. I dati sono stati diffusi dall’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhcr): si tratta soprattutto di “donne e bambini disperati” cui è stato permesso di cercare protezione in Niger nonostante le chiusure dei confini a causa della pandemia di coronavirus, spiega l’agenzia dell’Onu. Altri 19mila cittadini del Niger nella regione di Maradi, a sud, sono stati sfollati all’interno del loro Paese “temendo e fuggendo dalla stessa insicurezza nelle aree di confine”. Il totale di rifugiati dalla Nigeriaora in Niger sale a 60mila persone, dalla prima ondata dell’aprile dello scorso anno, con gli ultimi arrivati che sono fuggiti da spargimenti di sangue negli stati nigeriani del nord di Katsina, Sokoto e Zamfara.
L’agenzia dell’Onu specifica che l’attacco più mortale in Nigeria ha causato 47 vittime nello stato di Katsina: ha provocato attacchi aerei da parte delle forze di sicurezza nigeriane, già impegnate contro i miliziani islamisti di Boko Haram nel nord-est del Paese. Anche il Niger è vittima della violenza jihadista, in particolare intorno al Lago Ciad, dove il suo confine incontra quello di Camerun, Ciad e Nigeria.
European LGBTI Survey 2020
L’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali ha pubblicato i risultati della European LGBTI Survey 2020, ricerca realizzata l’anno scorso a cui ha partecipato un campione di circa 140 mila persone Lgbti – lesbiche, gay, bisessuali, transgender, intersessuali – di 30 paesi diversi. La prima ricerca del genere era stata realizzata nel 2012. Rispetto a quel report – si legge su Il Post – hanno partecipato molte più persone, sono stati inseriti due nuovi paesi e sono state incluse le persone intersex e le persone LGBTI tra i 15 e i 17 anni.
L’indagine, spiega il ricercatore in scienze politiche all’Università di Verona Massimo Prearo, citato da Il Post, è importante soprattutto per un motivo: perché «si basa sull’autopercezione e sull’autodefinizione del proprio vissuto. Tutte le domande sono state cioè formulate nel senso della percezione che le persone hanno di sé e dell’esperienza sociale che fanno». La ricerca è stata molto contestata dai cosiddetti “movimenti antigender”: la contestano perché è l’unica che dà la parola alle persone Lgbti. «La critica dei movimenti antigender è che non ci si possa fidare del punto di vista delle persone Lgbti, che non valga niente, che non si tratti, insomma, di un dato oggettivo. Puntano il dito sempre sullo stesso argomento: gli studi di genere non sono scientifici, ma ideologici e questo rimanda naturalmente a come concepiscono l’idea di omofobia e transfobia: come un’idea inventata per promuovere i diritti Lgbti».
Ancora sulla #LGBTIsurvey 2020 con @glsiviero.
La maggior parte delle persone #LGBTI, in Italia, non si sente tutelata, preferisce non fare #comingout ed evita di tenere per mano il/la partner in pubblico.
Se questa è una vita.#StopOmofobia #StopTransfobia #IDAHOBIT2020 https://t.co/FMRSPLJvqC
— Massimo Prearo (@massimoprearo) May 15, 2020
Tra i dati raccolti ce ne sono due particolarmente significativi per quanto riguarda l’Italia: il grado di coming out delle persone Lgbti e quanto pensano che il governo del paese in cui vivono porti avanti una lotta efficace ed effettiva contro l’intolleranza e il pregiudizio nei confronti delle persone Lgbti.
La scheda sulla situazione dell’Italia è introdotta e riassunta dal racconto di una giovane donna bisessuale: «Poche persone sono consapevoli della mia sessualità, soprattutto i miei amici più cari. Non ho voglia di parlarne apertamente a causa dei vari commenti che sento nella vita di tutti i giorni, all’università o in alcuni luoghi pubblici. Penso che la situazione sia migliorata molto in Italia e che la maggior parte della società ci sostenga, ma purtroppo c’è ancora molta ignoranza e la politica per prima non ci aiuta». In Italia il 62% delle persone Lgbti dice di non dichiarare apertamente mai o quasi mai il proprio orientamento sessuale (la media dei paesi UE è pari al 61 per cento, ma la ricerca precisa come sia importante sottolineare che le medie nascondono enormi differenze tra paesi); il 23 per cento dichiara di farlo abbastanza e solo il 15 per cento di farlo sempre. Questo significa che, in Italia, più di una persona Lgbti su due non fa mai o quasi mai coming out.
In copertina Johnell Pannell/Unsplash
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