Coronavirus: voci dal Sudamerica

Scritto da in data Aprile 2, 2020

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Il Sudamerica si blinda per due settimane. In tutto il continente, si registra un numero di casi poco inferiore a diciassettemila. Il numero di morti sembra esiguo – 450 persone – se guardiamo all’Europa (soprattutto Italia e Spagna) e agli Stati Uniti, che al momento si classificano primi come numero di persone risultate positive al coronavirus.

La giornalista Valentina Barile ha chiamato all’appello tutti gli amici giornalisti, attivisti, umani che ha incontrato per le strade del Sudamerica, per farsi raccontare quello che sta accadendo. Per capire con quale rapidità si stia diffondendo il virus e in che modo, un continente già in emergenza politico-ambientale ed economica, si protegge dalla nuova pandemia mondiale.

Venezuela

 Oscar Lloredainternazionalista e comunicatore sociale – da Caracas: «In Venezuela, ci sono pochissimi casi di nuovo coronavirus perché il governo ha chiuso preventivamente, per due settimane, le frontiere e i settori economici. Il nostro sistema sanitario è pubblico e, in misura uguale, privato. E credo che il governo abbia adottato le misure di restrizione, seppur drastiche, perché il numero dei posti letto è scarso e la condizione delle strutture ospedaliere, dovute al blocco che gli Stati Uniti e altri Paesi del mondo hanno posto al Venezuela, non è tale da contenere e curare i malati da Covid-19. E i venezuelani hanno accettato con responsabilità; escono con mascherina e guanti. E ci sono poche persone per strada. Credo che la quarantena preventiva si prolungherà per altre due o tre settimane. Chiaramente, questo comporterà un rallentamento del settore economico, e soprattutto un indebolimento del settore che già è vulnerabile, quello dei mercati rionali: lavoratori che guadagnano e vivono giorno per giorno. Questa epidemia ha portato unità nazionale, a prescindere dal partito politico».

Colombia

Juanita Merchán professoressa e attivista del Núcleo de educación popular Paulo Freire – da Bogotà: «Non sappiamo cosa accadrà nelle prossime settimane, io non credo che tutto si possa risolvere in due settimane; di sicuro, la quarantena sarà prolungata. I prezzi sono aumentati, e qui si vive alla giornata, per cui non lavorare vuol dire non mangiare. La maggior parte delle persone ha un lavoro autonomo. Nei quartieri, i ristoranti e gli artigiani sono chiusi, e rappresentano i settori economici che danno vita e ricchezza a una buona parte della città. E del Paese».

Brasile

Gabriela Favalprofessoressa e attivista del Núcleo de educación popular Paulo Freire (UEPA/PA) e Red de Investigaciones Decoloniales de Amazonía – da Cametá (Pará): «Bolsonaro vuole riaprire le imprese, sta dicendo alla gente di uscire per strada. E per la prima volta i governatori degli Stati federali del Brasile – siano essi di destra o di sinistra – sono contro di lui, continuano a ordinare di stare a casa, di proteggerci in questo modo. I casi divulgati ad oggi sono minimi, non sappiamo quanti ne siano effettivamente perché non fanno i tamponi. Le persone vengono sotterrate senza che si aprano le bare, quindi vuol dire che il pericolo di contagio c’è. Il ministro della salute si adegua alle precauzioni – mascherina, guanti –, ma se gli chiedono il motivo per cui è così attento a indossarli, dice che non è per la Sars-Cov-2. Bolsonaro considera l’opposizione dei governatori un colpo di stato e sta cercando di mettere l’esercito contro di loro. I governatori, invece, cercano soluzioni per il sostentamento dei lavoratori autonomi, altrimenti il sistema economico va più indietro di quanto non lo sia andato negli ultimi anni».

Perù

Luisa Fermanda Anticona Bracamonte designer di moda – da Lima: «Siamo in quarantena da due settimane e sicuramente ci staremo per altre due. Nel mio quartiere, non si vede gente per strada, ci sono i militari. Ma nelle periferie, nei mercati, le persone conducono una vita normale, come se fosse tutto a posto. Nei quartieri poveri, le persone hanno bisogno di lavorare, e se non escono per guadagnarsi la giornata, non vivono. Come le donne delle pulizie, oppure altri casi in cui si lavora in casa dei più abbienti. La quarantena ci sta facendo riflettere sulla disuguaglianza sociale. Oltre che, il nostro pianeta sta respirando. In questo momento, si stanno attivando diverse iniziative di solidarietà. Dobbiamo fare spesa nelle botteghe locali più che nei supermercati che sono comunque delle catene».

 Bolivia

Maria de la Cruz Baya avvocato e candidata alla presidenza di Bolivia per Azione Democratica Nazionalista – da Cochabamba: «Corriamo un rischio vitale a causa di questa epidemia mondiale. Qui, in Bolivia, il sistema sanitario pubblico è inefficiente a causa dei vecchi governi. Dobbiamo affrontare questa pandemia con l’unico mezzo che abbiamo a disposizione: restando a casa, per sopravvivere come persone, come popolo e come umanità. È importante denunciare al mondo intero la mancanza di strutture ospedaliere, di medici, di risorse, di tamponi. Non abbiamo alcun riferimento e prove di trasparenza da parte del governo sui casi attualmente positivi, sui numeri e i dati inerenti alla nuova Sars-Cov-2. Il nostro personale sanitario lavora senza protezioni, dai medici alle addette alle pulizie. C’è una gestione superficiale della crisi sanitaria che stiamo vivendo, una totale incapacità da parte del governo boliviano di agire preventivamente rispetto alle urgenze. Sta, praticamente, strumentalizzando e politicizzando questa fase, senza preoccuparsi delle categorie umane più deboli, oltre ai meno abbienti, anche le donne incinte, gli immunodepressi, le persone che hanno già delle patologie pregresse. Tutto questo, compromette il sistema economico. Il nostro popolo vive alla giornata, non è una situazione facile. Non dobbiamo sopravvivere solo al nuovo coronavirus, ma alla fame».

 Cile

Sheryl Lópezguida professionista d’alta quota – da San Pedro de Atacama: «Le comunità indigene hanno interrotto tutto. L’unica strada che porta al deserto di Atacama, qui, a San Pedro, è chiusa. Ma, del resto, sono chiuse tutte le frontiere tra gli Stati. Le comunità indigene si sono attivate per chiudere il nostro villaggio perché non vogliamo problemi. Il primo ospedale è a cento chilometri da qui, a Calama dove si sono registrati alcuni casi. Non possiamo correre il rischio di farci infettare; moriremmo. Adesso, è il tempo della terra: dobbiamo tornare a piantare, a prenderci cura dei nostri orti. Il turismo si è fermato, e tu sai che San Pedro vive di questo. Ma non importa, adesso dobbiamo coltivare la terra, e impegnare le nostre giornate a imparare una lingua, a leggere un libro».

Javier Pinedagiornalista e attivista nel movimento Convergencia de 2 de Abril – da Santiago del Cile: «La nuova pandemia sta scoppiando in una rivoluzione in corso contro le misure neoliberiste del governo Piñera. Siamo in quarantena da qualche settimana e la lotta che stavamo facendo nelle piazze e per le strade di Santiago, la stiamo continuando da casa. Al momento, ci sono più di tremila casi positivi, ma pochissimi posti disponibili in terapia intensiva. Aspettiamo il collasso delle strutture ospedaliere tra meno di un mese, se aumentano i casi. I morti sono pochi, ma non so cosa accadrà tra qualche giorno perché il nostro sistema sanitario, seppur valido, presenta molti punti critici».

Argentina

Marianela Navarrodelegata del FOL (Frente de Organizaciones en Lucha) e del Partito dei Lavoratori – da Buenos Aires: «Il sistema sanitario pubblico argentino è debole perché è stato favorito il privato per molto tempo. La quarantena ci sta insegnando che la crisi del sistema sanitario va ad appesantire la crisi economica. Ci sono state numerose denunce da parte della polizia per via degli spostamenti, ma le persone devono muoversi per necessità, per garantire il minimo della distribuzione alimentare, perché c’è gente che ricorre alla ricerca di cibo nei contenitori dell’immondizia. Diverse imprese stanno per chiudere e non possono più avere dipendenti, ci stiamo adoperando perché il governo destini una percentuale più alta di finanziamento per sostenere anche i lavoratori autonomi che in questo momento lavorano poco, o non lavorano».

 Ecuador

Apawki Castrodirigente della CONAIE (Confederación de Nacionalidades Indígenas del Ecuador) – da Cotopaxi: «L’Ecuador è un paese poco sviluppato, per cui non ci sono strutture sanitarie tali da poter fronteggiare questa pandemia. Inoltre, c’è disuguaglianza sociale e proprio in questo momento tutto viene fuori. Il sistema sanitario non potrebbe sopportare grandi numeri di contagiati sintomatici, e curare tutti. Il Paese ha adottato le misure di restrizione nei centri urbani. La nostra organizzazione ha chiesto che si allarghino le restrizioni per la quarantena, in modo tale che vengano coinvolti tutti, anche le zone periferiche, cosicché si frenino i contagi. Non c’è una buona gestione di questa emergenza da parte del governo perché le misure preventive sono state attuate in città, ma non nelle zone rurali. Come CONAIE, abbiamo fatto sapere che le comunità indigene mettono a disposizione gli alimenti per far fronte al blocco dei centri urbani, e distribuiscono le risorse per chi non può procurarsele, per chi non ne ha. Per quanto riguarda la popolazione indigena, credo che non ci siano problemi con l’isolamento perché rappresenta il mezzo principale di difesa; le comunità vivono nella Selva amazzonica e nella parte costiera, entrambi lembi di terra distanti dall’urbanizzazione. Abbiamo anche mezzi di comunicazione, radio comunitarie che possono diffondere le notizie e le misure a cui tutti sono chiamati a rispettare. Nelle comunità abbiamo già sospeso le riunioni e le feste che potevano generare assembramenti, per evitare ogni forma di contagio. Penso che forse, rispetto a molti posti del mondo che sono stati interessati dalla pandemia, i Paesi che presentano un sottosviluppo economico, come l’Ecuador, riescono a difendersi meglio dal virus proprio perché la vastità di aree geografiche poco urbanizzate favorisce la facilità d’isolamento. Anche per quanto riguarda la ricerca di alimenti; nella Selva amazzonica c’è un’altra dinamica di gestione della vita: ci sono fattori che aiutano, come le piante medicinali che utilizziamo a scopo preventivo. Lo zenzero, per esempio, favorisce la protezione delle vie respiratorie, e questo ci aiuta a promuovere la cura e la prevenzione. E poi possiamo muoverci liberamente. Inoltre, stiamo prendendo coscienza di ciò che sta accadendo nel mondo dal punto di vista ambientale, e del rapporto tra uomo e natura. Per noi indigeni, questi due elementi sono uguali perché la natura per noi è la Madre Terra; e questo, soprattutto in questo momento di quarantena, ci dà protezione. Ci facilita anche tutta la produzione in campagna, che dà da mangiare anche ai nostri compagni che vivono in città».

Le voci che sono parte di questa storia, vivono per cambiarla, si frammentano in diversi punti di mondo per fermare il fuoco, l’acqua, e tutto ciò che arriva con ferocia. Ma niente ha la stessa forza dei banditismi finanziari, che si illudono di sopraffare la potenza della Madre Terra. Io resto a casa è la medicina diventata virale in tutte le lingue del mondo. L’unica soluzione che abbiamo per proteggerci dalla virulenza della nostra specie.

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