Gaza: i primi due casi di coronavirus

Scritto da in data Marzo 23, 2020

Per un momento si è pensato che l’isolamento colposo in cui è stata costretta a vivere Gaza dal 2007, potesse in qualche modo almeno salvarla dal coronavirus. Invece al confine di Rafah con l’Egitto sono stati registrati i primi due casi, due adulti – tra i 30 e i quarant’anni – di rientro dal Pakistan. Non avrebbero avuto contatti all’interno, fermati al confine, sono stati messi subito in quarantena. “Questi due casi sono stati registrati al rientro a Gaza, non si sono mischiati con i residenti della Striscia”, ha assicurato il vice ministro alla Salute, Yousef Abu al Reesh.
D’altra parte, i movimenti erano già stati severamente ridotti sia da Israele che dall’Egitto prima ancora che la pandemia esplodesse. In questo momento ci sono 2700 palestinesi in isolamento a casa, la maggior parte persone rientrate dall’Egitto.

Anche perché se il virus arrivasse nella striscia di 365 km quadri con la più alta densità di popolazione al mondo (2 milioni di persone), sarebbe un massacro.

Aiuti dal Qatar

Il Qatar ha annunciato 150 milioni di dollari in aiuti per un periodo di sei mesi, a sostegno dei programmi delle Nazioni Unite, nel tentativo di contenere l’esplosione del virus, intanto le Nazioni Unite, il ramo che si occupa dei rifugiati (UNWRA) ha deciso di sospendere gli aiuti. “Sospendiamo la distribuzione di cibo fino a quando troveremo un modo più sicuro per portarlo alla gente”, ha annunciato il portavoce Unwra, Adnad Abu Hasna. “E’ una misura precauzionale per garantire la sicurezza dello nostro staff e dei beneficiari”.

A Gaza ci sono circa 2 milioni di persone che dal 2007 quando Hamas vinse le elezioni, arrancano per sopravvivere. Il partito di Hamas, considerato terrorista da Israele e molte nazioni occidentali, è stato isolato insieme a tutta la popolazione della Striscia. Quelli che una volta uscivano per lavorare sono rimasti dentro. Le merci che una volta entravano e uscivano con più facilità, vengono bloccate per settimane. La disoccupazione è balzata al 54 per cento, senza contare che nel frattempo ci sono state 3 guerre nei cieli di Gaza, che hanno provocato la morte di migliaia di palestinesi e 100 israeliani. Senza contare le marce alla recinzione che ha portato migliaia di ragazzi a protestare e altre migliaia ad essere feriti dagli spari nel mucchio dei soldati israeliani dall’altra parte. E senza dimenticare che il sistema sanitario è crollato, a volte chi ha un cancro o patologie gravissime riesce ad uscire per curarsi in Israele, ma ora con la minaccia del virus, è probabile che i cancelli che dividono l’enclave dal resto del mondo, diventino ancora più serrati.

Il capo dell’ufficio palestinese dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Gerald Rockenschaub non ha mezze parole, ha detto che le restrizioni israeliane e le tensioni politiche, hanno causato ai centri sanitari di Gaza un deterioramento devastante negli ultimi 10 anni.

Sistema sanitario al collasso

Gaza ha solo 60 letti in terapia intensiva e manca di personale e medicine, ha detto. In risposta gli Israeliani hanno annunciato che centinaia di kit per il test del Covid 19 saranno trasferiti questa settimana, mentre Hamas sta lavorando per creare 1000 stanze di isolamento vicino al confine di Rafah con l’Egitto.

“È un illusione pensare di poter gestire un’epidemia in uno spazio chiuso come questo”, ha detto direttore nell’Unwra, Matthias Schmale, “Se qui si arrivasse ad aver bisogno di più i 60 letti, la situazione potrebbe trasformarsi in un disastro di proporzioni gigantesche”. E ancora: “Serve un intervento internazionale e globale per garantire risorse speciali per affrontare l’epidemia – ha ribadito Abdel Nasser Soboh, Capo del Oms a Gaza: “il sistema qui può gestire 100 casi, ma se il numero aumentasse, non saremmo in grado di controllare la situazione”.

Intanto a Gaza la gente ancora gira per strada, chi ha i soldi per farlo, cerca provviste, chi ha una casa, si prepara, ma spesso le condizioni igieniche di una popolazione che vive tutta appiccicata e dove su due milioni, uno e mezzo è profugo, rende tutto più difficile. Il dipartimento di Difesa Civile domenica, ha completato la “sterilizzazione” di Shejaiya, un quartiere densamente popolato nella parte orientale di Gaza City, nel tentativo di proteggere i residenti.
“Non è stato ancora imposta nessuna restrizione alla circolazione”, dice a Radio Bullets, un collega palestinese a Gaza, che si dice dispiaciuto per quello che sta accadendo in Italia. “Qui ancora non ci si rende conto”, ci dice, “ma 14 anni di isolamento ci hanno reso più poveri, più affaticati e senza nulla per proteggerci”.

Il ministro degli Interni, sempre domenica, ha ordinato la chiusura di tutti i ristoranti, le caffetterie, le sale per eventi, le pompe funebri e i mercati tradizionali insieme alla sospensione della preghiera del venerdì nelle moschee.

E in Cisgiordania invece?

Spostandosi, invece, in Cisgiordania, il premier Mohammad Shtyyeh ha annunciato nuove restrizioni per i territori, che limitano gli spostamenti dalle 10 di sera di domenica. 57 casi positivi (più di 1000 invece in Israele) sono stati registrati, 17 sono ricoverati, la maggior parte di loro a Betlemme. Ai palestinesi è stato ordinato di non uscire da casa se non per urgenze o per acquisti di beni essenziali. Ospedali, cliniche, farmacie, panetterie e ortofrutticoli sono stati risparmiati dall’ordine di chiusura. Mentre chiunque torna a casa dall’estero dovrà stare per 14 giorni in isolamento in un centro sanitario. Le banche lavoreranno in modalità di emergenza, mentre ai palestinesi è proibito, qualora ci lavorassero, entrare in qualsiasi insediamento israeliano.

Foto di copertina di Barbara Schiavulli

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