Coronavirus: vulnerabilità e situazione d’emergenza

Scritto da in data Marzo 21, 2020

L’epidemia in corso in Italia e i conseguenti decreti volti a limitarne la diffusione, hanno inciso su tutta la popolazione italiana, ma qual è la situazione per chi vive situazioni di particolare vulnerabilità, soprattutto sul fronte lavorativo e abitativo?
Migranti, rom, occupanti e abitanti dei residence romani ai tempi del coronavirus

Di Alice Corte

Foto di Simona Pampallona

L’emergenza coronavirus mette in luce come le situazioni socialmente critiche non siano problematiche solo per chi le vive, ma rappresentino ferite vere e proprie che riguardano tutta la società. Emerge in molti casi il problema del reddito e le forti limitazioni al lavoro che si sono presentate con l’insorgere della crisi pandemica. La riduzione delle entrate è comune a molti, ma è tanto più forte proprio per le comunità più deboli, che già vivevano di lavoro nero o in situazioni di forte sfruttamento o precarietà. Alice Corte ne ha parlato con Michele Iacoviello di Emergency, che si occupa di ambulatori mobili nella provincia di Latina, Gianluca Staderini dei movimenti per il diritto all’abitare di Roma e con Ivano che abita nel residence romano di Campo Farnia (soluzione abitativa “temporanea” per chi si trova in emergenza abitativa).
Infine, per quanto riguarda gli ultimi tra i vulnerabili, rom e sinti, abbiamo riferimento al report dell’associazione 21 Luglio sulla situazione nei campi e nelle baraccopoli dopo il DPCM del 9 marzo 2020.

Quella che emerge è una situazione estremamente complessa, nella quale è a volte complicato lavorare sulle situazioni di disagio, che potrebbero incentivare possibili focolai di epidemia, anche se non mancano risposte positive e comunitarie all’emergenza.

Il lavoro di Emergency

In questa situazione critica, il lavoro di Emergency in Italia, come riportato da Michele Iacoviello, non si è fermato e continua in diverse aree d’Italia ad offrire a migranti e indigenti un servizio di medicina di base, infermieristica, sportello psicologico e mediazione culturale. In un momento critico come questo Emergency sta dando grande spazio all’informazione e alla prevenzione. L’accesso alle strutture di Emergency è oggi filtrata da un’attenta procedura di triage che consente allo staff di individuare persone con sintomi associabili a infezioni da Covid19 e di indirizzarle ai percorsi di prevenzione indicati a livello nazionale dal Ministero della Salute, nonché di fare informazione tra comunità migranti che spesso vivono barriere linguistiche e culturali. L’importanza della mediazione culturale è stata evidente, proprio a Latina, dove il mediatore culturale di Emergency si è occupato di seguire il caso di un migrante risultato positivo al Coronavirus e ricoverato allo Spallanzani, fornendo una mediazione linguistica e aiutando i sanitari ad individuare chi aveva incontrato e avrebbe dovuto osservare un periodo di quarantena. Sul fronte del lavoro linguistico, sono stati prodotti diversi materiali, anche video, in varie lingue, per poter più facilmente raggiungere la popolazione non italofona.
Con il Comune di Milano, Emergency sta lavorando per sostenere il Comune, gli enti gestori di strutture di accoglienza e gli stessi operatori nel gestire questo tipo di strutture in contesti di emergenza sanitaria come questa. Il sostegno fornito al momento è sia logistico che sanitario. Fortunatamente, al momento non sono stati rilevati casi di veri e propri focolai nei centri d’accoglienza per migranti, ma solo alcuni casi isolati. Per Iacoviello è importante anche mettere in campo delle soluzioni per le situazioni informali e più a rischio, ad esempio proponendo l’accoglienza diffusa, a fronte di situazioni come la tendopoli di San Ferdinando nella piana di Gioia Tauro in cui l’igiene è limitata per mancanza di accesso all’acqua e l’uso di bagni in comune (rischiosi per la salute degli abitanti non solo in questo momento di emergenza). Emergency continua a visitare le persone della tendopoli, adottando misure di sicurezza anche quando le accompagna con la navetta all’ambulatorio di Polistena e in questa come in molte altre situazioni, riesce a sopperire alle difficoltà burocratico-amministrative che in molti casi rendono impossibile per un migrante poter avere il proprio medico di base o all’impossibilità di comunicare con autorità mediche al di là del pronto soccorso, contribuendo a decongestionarne le strutture che altrimenti rappresenterebbero l’unico accesso delle persone migranti alla sanità.
Tornando al contesto a Latina, Iacoviello riscontra una forte difficoltà i migranti che non riescono ad andare a lavorare per poter rimanere a casa in sicurezza: anche nelle situazioni in cui si ha permesso di soggiorno e contratto regolare, la situazione di sfruttamento è estrema e difficilmente ci si riesce a sottrarre alla giornata lavorativa. In molte zone, inoltre, proprio l’impossibilità di andare al lavoro potrebbe configurare una situazione sociale potenzialmente esplosiva, cui in alcuni casi (ad esempio a Castel Volturno con l’azione di Comune e Protezione Civile) si sta rispondendo con la distribuzione per le persone bisognose, di aiuti alimentari e farmacologici a domicilio.

Campi, occupazioni e altre “soluzioni”

Una situazione particolarmente critica sotto il profilo socio-sanitario almeno a Roma, è quella delle persone che vivono in tendopoli e baraccopoli. In alcuni casi c’è un maggior controllo alle entrate e alle uscite, controllo a cui non segue però alcun tipo di aiuto medico. In alcuni casi non sono presenti servizi igienici adeguati, quindi il consiglio di lavarsi le mani diventa del tutto superfluo. Chi vive di piccoli lavori, raccolta del ferro, elemosina e mercatini, di fatto è ormai privato della possibilità di lavorare, le uniche persone che hanno qualche reddito, sono quelle che sono riuscite ad ottenere il reddito di cittadinanza. Per alcuni, viste le norme sulle distanze da rispettare in macchina, è diventato impossibile anche solo farsi accompagnare a fare la spesa (alcuni campi distano chilometri dai primi punti vendita, magari senza marciapiede lungo il percorso).
Drammatica la situazione per le persone con maggiori fragilità: anziani, bambini e disabili hanno visto calare drammaticamente le attenzioni nei loro confronti, anche per la paura che i contatti possano diffondere il contagio. Praticamente, la situazione opposta rispetto a quello che ci ha raccontato Gianluca, che vive in occupazione e in cui oltre ad aver immediatamente attuato pratiche igieniche di contrasto al virus (compresa la turnazione dei giochi dei bambini nel cortile), si stanno mettendo in campo pratiche di solidarietà nei confronti dei soggetti impossibilitati ad uscire, per esempio andando a fare la spesa per loro. Difficile, invece, gestire la pausa forzata dal lavoro di quasi tutte le persone che si trovano ora a chiedere misure di supporto al reddito, come un “reddito di quarantena” o di “esistenza”.

Anche nei residence, in cui molte persone vengono proprio dalle occupazioni, ci si è organizzati per gestire in autonomia le pulizie e le disinfezioni dei locali: laddove una persona va a pulire due volte a settimana (in uno stabile in cui abitano circa 400 persone), ora sono gli abitanti a sopperire ad un’assenza iniziata proprio con l’emergenza e a cercare di mantenere le aree a prova di contagio. Nei residence ci si lamenta però, l’assenza di comunicati su come fronteggiare la crisi da parte della proprietà o del Dipartimento delle politiche sociali di Roma Capitale. Le pratiche da adottare sono state quindi condivise dagli stessi inquilini, comunicando anche tra le varie strutture sul territorio (nessuna delle quali aveva ricevuto informazioni in via ufficiale), comprese quelle riguardanti i contatti tra le persone, il rimanere o l’uscire a casa e le abitudini igieniche da adottare. Anche nei residence la situazione più grave è quella delle persone disabili e anziane e Ivano ci ha raccontato anche della rimozione dell’ambulanza che normalmente presidiava la struttura di Campo Farnia proprio per fronteggiare le frequenti problematiche sanitarie relative alle persone più fragili.

In un momento complicato come quello della diffusione di un’epidemia, aiutare situazioni di particolare vulnerabilità vuol dire aiutare tutta la popolazione, evitando di creare possibili focolai di contagio o l’esplosione del disagio sociale.

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