Family in bianco e nero?

Scritto da in data Novembre 29, 2019

La famiglia è il contesto ideale in cui crescere un bambino, e prepararlo contro le derive del mondo. Eppure a volte la decadenza sociale può cominciare tra le mura di una cucina, oppure ad un ritrovo tra parenti. A Milano, gli scatti in chiaroscuro di un grande fotografo americano ci aiutano a interrogarci. Massimo Sollazzini su Radio Bullets

Foto: Carlotta Coppo

La famiglia

Famiglia: sostantivo femminile, derivante dal latino familus, “servitore”. Voce italica, forse prestito osco, indicò dapprima l’insieme degli schiavi e dei servi viventi sotto uno stesso tetto, e successivamente la famiglia nel significato oggi più comune

La definizione che dà l’enciclopedia Treccani di una delle parole più ricorrenti sulla bocca di tutte è al tempo stesso banale e sorprendente. Una sorpresa che ci evidenzia nitidamente una realtà che vediamo quotidianamente e che è bivalente, mai ancorata ad un unico significato.

La versione “Ragazzi” della stessa enciclopedia ci aiuta a sviluppare il concetto. “Cos’è la famiglia? – esordisce –  La domanda è banale, ma la risposta è tutt’altro che semplice. Di norma, è un gruppo di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità o adozione, che vivono sotto lo stesso tetto e condividono ciò che serve al loro sostentamento. Ma la famiglia è in primo luogo una comunità di affetti: un microcosmo, fondato sulla comune responsabilità di dare, ricevere e donare che, casi patologici a parte, garantisce ai suoi membri protezione e solidarietà”.

Dunque, di famiglia non ce n’è una sola. O meglio, dei modi di essere famiglia ne esiste una collezione infinita dove il buono e il meno buono si mescolano in proporzioni mai uguali. E dove gli adulti di poi, ovvero i bambini di prima, traggono una linfa iche propizia il loro essere grandi domani, nel bene e nel male.

La mostra

Molto più delle parole, a volte le immagini possono essere rivelatorie. Quelle di Elliot Erwitt ad esempio, uno dei grandi maestri della fotografia. Parigino di nascita, milanese per l’infanzia e poi americano per crescita e professione, Erwitt è una delle maggiori firme della Magnum, forse la più importante agenzia fotografica al mondo.

Fotografo di guerra, ma anche di pace e quotidianità, il suo obiettivo si è posato spesso proprio di quel microcosmo che abbiamo appena definito, la “family”. E proprio questo è il titolo di una mostra fotografica programmata tra ottobre 2019 e marzo 2020 al Mudec, il Museo delle culture di Milano.

Sessanta scatti in bianco e nero, tutti del ventesimo secolo, in gran parte  tra il secondo dopoguerra e i primi anni Settanta. Protagoniste, più o meno consapevoli, famiglie sconosciute e celebrissime come i Kennedy, e non di rado gli Erwitt stessi, ovvero i 4 figli e la moglie dello stesso fotografo.

Quella del Mudec non è una semplice retrospettiva di pezzi pregiati per tecnica della fotografia. Tanto meno, una brillante carrellata del way of life, americano piuttosto che no, capace di assicurare lunga vita e prosperità al menage familiare. O meglio: c’è anche questo, ma non solo.

C’è la famiglia afroamericana che, sul finire degli anni Sessanta, posa felice e impomatata sulle rive di un lago: padre e figlio piccolo entrambi in doppiopetto, madre e terzogenita in civettuolo copricapo, con la figlia di mezzo che in cappotto color crema sembra più che mai bambina.

C’è la coppia di novelli sposi, rapiti in un intenso bacio; uno scatto che il fotografo carpisce dall’automobile nuziale puntando l’obiettivo sullo specchietto retrovisore.

Ci sono altre immagini idilliache, che a ben guardare però nascondo quel che spesso è il lato b, quello meno esemplare, dell’essere famiglia. Un incravattato uomo di mezza età affetta un tacchino a capotavola di un pranzo familiare: la sua è una posizione di dominio, sull’arrosto come sul resto della famiglia, che lo guarda divertita – nel caso di due bambini  – o forse succube, con gli occhi di due donne (una moglie, l’altrà chissà) e di un secondo uomo che resta nell’ombra.

In un’altra foto, a sviluppo verticale, Erwitt coglie in azione un’equilibrista domestica: una donna in piedi davanti alla cucina. Con un braccio regge il figlio di 3 anni, con l’altro sta estraendo il pranzo dal forno. Alle sue spalle, altri due bimbi – uno in seggiolone – attendono inermi la pappa. La donna è la  moglie di Erwitt, ma anche  il simbolo del fardello quotidiano che, storicamente, grava soprattutto sulla parte femminile della casa.

Ma famiglia può essere anche il dolore della distanza,  o della sparizione. Un bambino si stringe al padre con sguardo atterrito: sa che di lì a poco partirà per lavoro, e che potrà riabbracciarlo per soli quindici minuti, tra 7 giorni. E tre madri attendono con sguardo perso i figli in una “lost persons area” nel 63 a Pasadena, dopo un concerto dal vivo.

Oppure, il seme della degenerazione. Una foto scattata ad un party coglie un bimbo mascherato con una sigaretta in bocca: sta solo giocando a fare il grande, ma chissà che quel  gesto non preluda ad una dipendenza negli anni a venire, e magari a grandi sofferenze. In un’altra, una madre vestita in bianco sembra abbracciare con amore un piccolo imbronciato; in realtà è probabilmente scocciata, con le sue bizze sta intralciando la loro presenza ad un raduno del Ku klux Klan. E pensare che aveva vestito tutto di bianco anche lui!

Non di rado Erwitt ritrae familiari in compagnia di cani. In uno scatto newyorkese del Duemila, addirittura riesce a sovrapporre la faccia del bulldog a quella del padrone, ottenendo un effetto ottico che fa sembrare i due esseri un tutt’uno. Forse ci ricorda che possiamo essere anche bestie, anche in famiglia. Quasi 8 casi su 10 di violenza sulle donne italiane avvengono in casa, stima della Polizia di Stato di pochi giorni fa.

L’essenza dell’esser famiglia sta in due foto affiancate: a sinistra una donna di profilo mette a nudo il suo pancione; a destra la stessa donna ritratta poche settimane dopo sorride al bimbo nel frattempo venuto a nascere. Da guardare, resettare e ripartire per un mondo più familiare, nel senso buono del termine, a cominciare dalle proprie mura.

Se avete modo di passare dal Mudec di Milano, la mostra di Erwitt prosegue fino al 15 marzo 2020.

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