I primi giorni senza parlare

Scritto da in data Maggio 16, 2019

Due città – forse le più visitate in Russia – vissute in silenzio nell’inconsapevolezza di ciò che accadeva, con Tozzi che cantava in una radio di un locale buio e orribile, o vestita da punk in pasticcerie eleganti, mentre attendevo che di notte si aprissero ponti e che di giorno sfilassero navi. Domande con risposte in russo, uomini in divisa, traslitterazioni, ostelli introvabili e Mosca deserta alle cinque del mattino.
Tutto rigorosamente senza parlare.

Ho trascorso i primi giorni senza parlare. Non so se siano stati 4 o 7, non ricordo più nei dettagli le mie prime due tappe lungo la Transiberiana. So che ho trascorso i primi giorni senza parlare.

San Pietroburgo

A San Pietroburgo mi ero messa a chiacchierare con un gruppo di turisti spagnoli in coda con me per entrare all’Hermitage. Erano in età da pensione, in un gruppo organizzato e coeso, e avrebbero fatto il classico anello d’oro. Erano curiosi, come tanti, della mia presenza solitaria lì, in quel luogo e ancora di più del mio intero mese fino a Pechino. Ho chiacchierato forse con qualche persona a cui ho chiesto la strada per arrivare a un ostello introvabile e che – una volta raggiunto – sembrava pure apparentemente chiuso: nessuno mi aveva atteso per il check-in, ero arrivata tardi. Un ospite aveva aperto la porta per caso e io ne avevo approfittato per sgusciare dentro. A San Pietroburgo ho solo chiesto informazioni e mi sono lasciata per ultimo la cosa più bella, come si fa con il proprio cibo preferito durante un antipasto: la Chiesa del Salvatore sul sangue versato. A San Pietroburgo ho anche atteso in silenzio fino all’una di notte che aprissero il ponte sul fiume Neva.

A San Pietroburgo, in quei primi giorni di caos interiore, c’era anche una parata, una festa: ho dovuto chiedere per capire tutte quelle bandiere con la falce e il martello e quelle magliette a strisce. Alla fine, ho scoperto solo grazie a internet che ogni anno, l’ultima domenica di luglio, si celebra la festa della Marina russa, in commemorazione della battaglia di Gangut contro la Svezia del 1714. Si festeggia nei porti principali come San Pietroburgo, Sebastopoli, Vladivostok e altri.

Ho visto sempre in silenzio la parata delle navi militari: ricordo un sottomarino, una o più navi enormi, ma soprattutto ricordo la folla, una donna con il binocolo. Ma ecco, dove ero rimasta? Là, ad attendere che aprisse il ponte, ed era prima o dopo il 30 luglio, poiché è un evento che accade sempre, tranne quella domenica lì. Non ricordo quale ponte io abbia visto aprirsi, anzi: non ricordo nemmeno quanti ponti ci siano a San Pietroburgo, perché era la prima tappa ed ero tesa.

Prospettiva Nevskij

Ricordo di aver visto l’Hermitage a metà, di essere andata casualmente per le strade, anche oltre. Oltre cosa? Lontano dal centro, dalla Prospettiva Nevskij. Ho cercato Peterhof e una navetta pubblica per arrivarci.
Mentre aspettavo da sola l’apertura del ponte, sono finita in un locale ombroso, dove ho mangiato qualcosa a caso per ingannare il tempo, ascoltando Tozzi dalle casse della radio del posto. Ho visto nugoli di ragazzi in piedi accanto ad auto con portiere aperte e musica altissima e in mezzo alla folla ho visto il ponte aprirsi. Avevo paura, un po’: stringevo lo zaino, evitavo di seguire una traiettoria precisa. L’anno prima ero stata aggredita in Brasile su una spiaggia deserta e ancora qualche rimasuglio di diffidenza era rimasto, tra la gente o nelle vie isolate.

Mosca

Non avevo parlato con nessuno in quei tre giorni a San Pietroburgo. Arrivata a Mosca alle cinque di mattino, dopo due brevi e veloci parole scambiate con i miei vicini di letto nel vagone notturno, ho vagato a lungo in cerca di un ostello. Mi arrangio bene con la metro, qui, non devo perdere dieci minuti sui gradini a traslitterare fermate. Mosca è deserta e affascinante, se non stai cercando qualcosa. Entro nell’unico bar aperto, riesco a trovare un ostello su booking, ma sbaglio a capire o a leggere l’indirizzo e chiedo, chiedo per una meta errata. Quando arrivo dove non c’era alcun ostello – dopo un approccio pericoloso, evitato – due uomini usano internet per cercarmi quello giusto. Torno indietro. Chiedo a un tizio profumato e in divisa che mi parla con una voce calda e non tenta di spiegare in russo come tutti gli altri. Quando trovo l’ostello non c’è nessuno.

Torno in una piazza, quale non saprei, chiedo a un altro uomo: lui mi consiglia il Matrioska, io opto per il solo ostello scritto nella guida e decisamente troppo caro, ma in centro e con una lavanderia. Mentre lo cerco, Mosca si popola con lentezza e mi appare fiabesca: allo stesso indirizzo trovo un posto diverso, ma meraviglioso, economico – 600 rubli a notte con colazione –, pulito, con la lavanderia. Sono le 9:37. Anche a Mosca non parlo ed è già da quattro giorni. Conosco una coppia, chiamo un’amica: escono alcune parole, le prime. A Mosca trascorrerò in tutto quattro giorni: il treno era pieno, ho dovuto aspettare un giorno in più, parlando poco.

In copertina, foto di Eleonora Viganò

I Viaggi di Eleonora:

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Tutte le tappe del viaggio in Tanzania
Tutte le tappe del viaggio in Etiopia.
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