72 ore

Scritto da in data Maggio 30, 2019

72 ore di gente, paesaggi, di sonno, di noodles liofilizzati rinvenuti in acqua. Una coppia che mi parla scrivendomi parole che cerco sul dizionario, magie per farmi trovare un fidanzato, amici che giungono in visita, soste lunghe, per comprare tè o gelato, un uomo malato che odora di alcol e tabacco, che sputa, denti dorati, sorrisi materni, finestrini, case gettate come dadi alla rinfusa sulle distese di campi davanti a noi, betulle dai tronchi sottili, bianchi, ore che non sai che ore siano, pasti scombinati, un tramonto – Prima Parte

Ruota le mani davanti al mio viso e sopra la mia testa. Si indica e mi indica, pronunciando parole che io non capisco. Intuisco soltanto, mentre la ripetizione di certi suoni a un certo punto si svela. Magia. Dice qualcosa come “magia”. La mia mente si è già figurata letture di tarocchi e delle mani, riti sciamanici, oroscopi e temi natale. La razionalità si sgretola quando incontro ciò che può risultare esotico e occulto: nascosto, lontano dalla mia cultura e per questo in grado di suscitare la mia curiosità.

Non andiamo purtroppo oltre a quei quattro gesti, mentre la sua arcata superiore di denti dorati si mostra in un sorriso in cui partecipano anche gli occhi: la sola zona con piccole rughette. Altre donne, in Russia, hanno qualche dente finto, in metallo – non saprei dire quale – lei li esibisce tutti in un sorriso materno e sincero, non freddo. La magia di cui parla riguarda la mia condizione di donna sola e senza figli. Tra gesti e un piccolo vocabolario russo-italiano cerchiamo di conoscerci, di entrare nella vita l’una dell’altra: mi scrive le lettere su un quaderno e io cerco la parola. Lavoro è la prima. Io appartengo a un altro mondo, tanto quanto lei per me.

La magia

Mi mostra le foto delle sue nipotine: dai lunghi capelli neri, come i suoi. Lei dimostra 50 anni. Suo marito – un uomo che odora di anziano o forse di alcol e sigarette, con la pancia prominente, grasso, il pelo bianco sul torace, la tosse da malato e le mani tremanti – è oggettivamente poco piacevole dal punto di vista estetico. Ha qualcosa alla gola, fuma, sputacchia. Gli ho ceduto il letto al piano di sotto, quando si sono presentati alle 5:40 del mattino, salendo a Niznij Novgorod. Lei dorme accanto a me, nel letto in alto. La osservo a lungo prima di addormentarmi per la terza volta, forse la quarta. Ha le spalle strette, il torace minuto. Il vestito che indossa ha una fascia nera sotto il seno, poi prosegue seguendo le curve di un ventre morbido. Nel vagone si alternano caldo e freddo: lei si scopre, rimane in reggiseno rosa. Sotto ha una sottoveste nera che termina con un pizzo.

Noto le gambe non rasate, i peli lunghi e neri sotto il mento. Mi ripete che mi farà una magia, per trovare un compagno e fare dei figli: la lascio fare, contenta. Proviamo a scrivere qualche parola sul mio quaderno. Mi chiede che lavoro faccio. Lei è casalinga. Durante la giornata mi offrono cibo. La osservo pettinarsi i lunghi capelli neri, che alla luce del giorno hanno dei riflessi rossi, le dico che è bella, non so se capisce. Abbiamo lunghi silenzi, scendiamo dieci minuti a Kiro dove compro il tè. Un’amica dello scompartimento accanto ci viene a trovare, con il tè e un libro. Anche lei sembra avere quegli occhi tondi, quasi che non vogliano stare nelle orbite. Il tavolo è saturo di cibo: affettati interi, da tagliare, mele, pane, bevande, tazze. L’aria è a volte soffocante, ma quasi mai maleodorante. In bagno c’è sempre profumo, e nei corridoi al massimo aleggia, solo in alcuni orari, un odore pungente di cibo liofilizzato, di noddles salatissimi rinvenuti con acqua. Non siamo solo noi tre, nello scompartimento.

Il movimento del treno

Prima del loro arrivo eravamo io e un altro ragazzo, di cui non ricordo il nome. Siamo saliti insieme a Mosca e lui scenderà a Ekaterinburg insieme a loro. Cambierò compagni di viaggio già stanotte, ma questo è perché io faccio una tratta lunga, di più di 72 ore. Mi sono affezionata, in così poco tempo. Il ragazzo mi aveva aiutato a sistemare il sedile, si esprimeva in suoni gutturali, a volte a gesti senza alcun elemento verbale. Non gli riusciva. Avevo capito che per il bagno avrei dovuto attendere 20 minuti dalla partenza. Dopodiché ci eravamo messi a dormire, ma non ero riuscita a prendere sonno subito a causa del caldo opprimente, dell’agitazione, del senso claustrofobico iniziale e di un pizzico di ansia. Il movimento del treno era percepito da me come violento, poco armonico.

Alle 2:30 mi scuote, gesticolando mi dice di seguirlo. Prende il borsello da sotto il cuscino, esce veloce in corridoio, lo percorre quasi correndo. Le porte non si aprono. La tappa non è una tappa, non è una fermata. Non so cosa volesse fare. Torniamo indietro, i miei occhi di sonno si sono acclimatati al risveglio improvviso. Riprovo a dormire e ho un incubo indistinto. Mi sveglia un odore. Brodo di pollo? Cucina cinese? Fritto? Il ragazzo sta quasi per mangiare. Mi offre del tè: pur scuotendo la testa, devo accettarlo. Esce per prendere una tazzina nuova per lui e torna con dei noodles liofilizzati anche per me. Mi stropiccio il volto, sono le 3:31. Ho la bocca impastata, lui non vuole soldi. Afferro la forchettina in plastica e inizio a mangiare. Lui è soddisfatto, fa dei cenni, dei versi. Io mangio, mangio, il sale mi brucia la lingua, il brodo è caldo, la pasta è accettabile. Mi chiedo se possa venirmi un’ulcera gastrica istantanea, se il reflusso mi possa uccidere nel cuore della notte, se come inizio di viaggio possa ritenermi soddisfatta in quanto a stramberia.

Sono le 3:31 di notte e sto mangiando in penombra dei noodles in brodo ai piselli con un russo dai tratti asiatici che sta andando a Ekaterinburg. Che me li ha offerti, insieme al tè, che me li ha rinvenuti con acqua e che infine si è alzato per gettare l’immondizia. Un uomo dal taglio di capelli a scodella, con una piccola frangia sulla fronte, di cui non so nulla e di cui non saprò mai nulla. Subito dopo spegniamo la luce, per due ore, ma ancora non sapevamo che sarebbero arrivati i nostri nuovi compagni.

Al mattino

Mi sveglio a più riprese nel corso della mattina. Ho l’orario di Mosca. Mi sveglio alle otto, alle nove. Alle dieci, pensando di non aver diritto di sprecare la giornata dormendo, faccio colazione con tè e un pacchetto di wafer, guardo fuori dal finestrino, leggo, comunico con loro a proposito di magie. Le ore, invece di essere lente, sono troppo rapide. A un certo punto smetto anche di chiedermi che ore siano, visto che il fuso rende tutto variabile. Là fuori gli alberi sono alti, con tronchi bianchi e sottili e creano dei muri verdi alternati a terra marrone, quasi paludosa.

Si intravedono case di legno che possono essere sporadiche o numerose, con i tetti spioventi e ripidi, per la neve invernale. La luce è forte, c’è vento. Nella sosta vorrei prendere un gelato russo, come tutti loro, ma ho paura di non fare in tempo. Quando i muri di alberi si aprono quello che l’occhio vede è l’orizzonte. Come al mare, anche qui non esistono ostacoli tra l’occhio e la linea dell’orizzonte. Ci sono distese collinari verdi, di varie tonalità, altri alberi, gli stessi, ma su un piano differente e dei quali ne vedi solo le cime.

Ci sono le nuvole basse e sottili che creano lingue nel cielo, oppure fagotti bianchi e grigi sparsi in prospettiva. Verso sera: che poi mi chiedo quale sera? Visto che ci mangiamo le ore in continuazione e questo tramonto non so quando accade, dicevo, verso sera le nuvole diventano rosa antico e accompagnano il verde. A un certo punto mi sfugge un’esclamazione di stupore quando, dopo il muro di alberi, si apre un’intera distesa, case, campi, verdi e gialli e davanti ci sono le rotaie, i binari che presto il nostro treno percorrerà in una curva. Purtroppo, il movimento più dolce e il rumore più tenue mi hanno stordito per tutto il pomeriggio facendomi dormire, senza sogni.

I Viaggi di Eleonora:

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Tutte le tappe del viaggio in Tanzania
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