Un continente in piazza
Scritto da Barbara Schiavulli in data Novembre 22, 2019
Photo by Warren Wong on Unsplash
Il Sudamerica era un paese di cui non si parlava molto. Il Venezuela due anni fa ha indubbiamente acceso un riflettore importante. Anche il Messico in ginocchio dalla criminalità endemica è stato portato alla ribalta con statistiche da zone di guerra.
Sudamerica in fiamme, la gente in piazza, indigeni e attivisti uccisi. Violenze e repressione. Prigionieri politici e sparizioni di persone, erano cose di cui non si sentiva parlare dai tempi delle dittature. E di cui nessuno avrebbe voluto sentir più parlare. Invece, come una ruota che gira al contrario tutto sembra andare storto: quest’anno l’intero continente è stato impegnato tra proteste e crisi politiche. Per non parlare delle ultime otto settimane.
Corruzione, criminalità e povertà
La persone in America Latina sono indignate con la politica a causa della corruzione e della mancanza di risultati nonostante le tante promesse dei legislatori. Ineguaglianza, povertà, crescita zero, l’aumento del costo della vita, hanno acceso la frustrazione quasi incontrollabile. E chi non ha niente da perdere, combatte. Grazie alla modernità e ai cellulari organizzare manifestazioni è diventato uno scherzo da ragazzi. Da ragazzi, appunto, perché sono stati proprio loro, sono sempre loro, a scendere in piazza in ogni paese. E in ogni città, fare rete è un attimo. E sembra contare poco che ci siano diversi sistemi politici a governare, le recriminazioni dei popoli sono molto simili. E soprattutto tutti hanno ragioni concrete per scendere in piazza.
La Guerra Tropicale
Non si può anche non pensare agli interessi esterni di altri paesi che combattono in territori non loro, sostenendo chi ritengono più utile. America, Russia, Cina, aggiungerei anche il mondo sotterraneo dei narco e dei trafficanti di risorse, che hanno tutto l’interesse a tenere instabile la regione. Una volta era la Guerra Fredda, ora siamo alla Guerra Tropicale.
Ad ascoltare e leggere gli analisti politici, in Venezuela, Honduras, Ecuador, Bolivia e ultima arrivata la Colombia, sembra probabile che le proteste continueranno nell’imminente futuro, poi nel contesto bisogna aggiungere due grandi paesi con leader populisti che non hanno soddisfatto le aspettative della gente. In Brasile, l’amministrazione Bolsonaro nel suo primo anno, ha affrontato regolarmente polemiche sulla corruzione. Il premier ha appena approvato la riforma delle pensioni cosa che potrebbe suscitare rabbia a breve termine. Non solo, Bolsonaro potrebbe reagire in modo eccessivo, come spesso fa, verso qualsiasi protesta, il che non farebbe altro che provocarne altre. In Messico, il presidente Lopez Obrador finirà il suo primo anno con una popolarità al di sopra del 50 per cento, e non molti altri presidente nella regione potrebbero affermare la stessa cosa, però è ben lontano dagli obiettivi di crescita economica e di sicurezza che aveva promesso, e la popolarità fa prima a scendere che a salire.
Stabilità apparente
Poi c’è un paese stabile come si era pensato fosse il Cile, ma la realtà è che i numeri raccontano una storia e non è detto che sia sempre quella giusta, quando riguarda le persone. Ci sono stati importanti investimenti finanziari, l’economia cresceva, ma i vari presidenti che si sono susseguiti e i sistemi politici non sono per niente popolari. Non basta che un’economia vada bene, bisogna che tutti ne beneficino e invece, in Cile l’ineguaglianza economica è grande, ci sono persone molto povere e alcune molto ricche, la classe media non è in grado di sfruttare i vantaggi economici e quindi ribolle. In più i cittadini vorrebbero vedere che si investisse di più nei servizi sociali per fare un esempio.
Ci sono intanto, tre nuove amministrazione che dovranno riuscire a districarsi in una regione in fiamme. Argentina, Guatemala e Panama. Tutte e tre sono state elette con meno del 50 per cento dei voti, e molti sono arrivati solo perché chi votava pensava di votare il meno peggio. E’ anche probabile che tutti e tre i presidenti per governare dovranno formare coalizioni poco compatte e non avranno le risorse economiche per mantenere le promesse fatte in campagna elettorale.
La penultima che andai in Venezuela, due anni fa incontrai una storica Margarita Lopez Maya, professoressa, prolifica scrittrice ed esperta di politica di strada, un fenomeno sociale spesso sottovalutato e che ora domina lo scenario internazionale, e proprio lei ci disse, che era solo l’inizio.
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