I Florio: caduta di una dinastia imprenditoriale

Scritto da in data Dicembre 1, 2020

I Florio sono stati dall’Ottocento fino agli anni Trenta del Novecento una delle più importanti dinastie imprenditoriali italiane: ripercorriamo la storia della loro caduta. Chi non ha letto o ascoltato la prima parte della storia con il racconto dell’ascesa della famiglia Florio può farlo cliccando qui

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Il contesto storico

Oggi proseguiamo a raccontare le vicende della dinastia dei Florio. Nella scorsa puntata eravamo arrivati al 1868, alla morte di Vincenzo Florio. Il decennio tra il 1860 e il 1870 fu un periodo di grandi cambiamenti politici nella storia del nostro Paese. In quel periodo si completa il processo di unificazione nazionale che si concluderà nel 1870 con la famosa Breccia di Porta Pia, la fine del potere temporale dei Papi e con Roma che diventa nuova capitale del Regno d’Italia. In quel decennio si era sviluppato nelle regioni del Meridione anche un fenomeno, in parte politico ma soprattutto sociale, di rivolta contro il nuovo Stato unitario: il brigantaggio. Inizialmente furono ufficiali e soldati dell’ex esercito borbonico ad alimentare il fenomeno ma poi fu soprattutto la delusione delle masse contadine che speravano nella nuova compagine unitaria per una riforma agraria che migliorasse le loro condizioni di vita. Quella riforma non ci fu e inoltre il nuovo Regno d’Italia imponeva il servizio militare obbligatorio e aumentava le tasse. Intere aree del Mezzogiorno furono interessate a fenomeni di rivolta che furono affrontati con estrema durezza. Nelle regioni del Sud Italia furono schierati più di 100.000 soldati e i metodi per reprimere le rivolte furono estremamente sbrigativi: deportazioni, fucilazioni, requisizioni, arresti di massa, veri e propri eccidi come quelli che accaddero in località come Pontelandolfo e Casalduni, in provincia di Benevento.

Nell’arco di poco più di un decennio il fenomeno del brigantaggio fu represso nel sangue ma la tensione sociale e le difficoltà economiche di molta parte della popolazione meridionale fu risolta nei decenni successivi aprendo la strada all’emigrazione di massa. Milioni di italiani negli ultimi decenni del Novecento abbandoneranno il loro paese per andare a cercar fortuna nei paesi del Nord e del Sud America e troveranno a disposizione, per i loro viaggi della speranza, i piroscafi della famiglia Florio.

Ma torniamo un pochino indietro. Nel 1868, come dicevamo, muore Vincenzo Florio e nella gestione di quello che è ormai un vero e proprio impero economico gli succede il figlio Ignazio.

Ignazio Florio

Ignazio è diverso da suo padre, è meno impulsivo e più riflessivo ma altrettanto abile negli affari. I Florio ormai frequentano l’alta società non soltanto italiana ma internazionale. Sono l’unica famiglia palermitana ad avere un proprio yacht, il Mary Queen, con il quale scorrazzano per tutto il Mediterraneo. Nel 1887 vengono invitati a Londra per il giubileo della Regina Vittoria. Sono ormai una delle più rinomate e ricche famiglie borghesi d’Europa.

Nel 1866 Ignazio aveva sposato la rampolla di una delle più importanti famiglie aristocratiche di Palermo, Giovanna d’Ondes Trigona, figlia del conte di Gallitano Gioacchino D’Ondes Reggio e di donna Eleonora Trigona. Per i Florio si trattava di un salto sociale notevole in cambio del quale dovettero accettare il fatto che la sposa portava una dote modesta, ma comunque, in quanto a patrimonio ormai i Florio erano ricchissimi. Ignazio negli anni successivi dovette farsi carico anche dei debiti dei suoceri estinguendoli di tasca propria.

Nel 1874 Ignazio Florio acquista dalla famiglia dei marchesi Pallavicini l’intero arcipelago delle isole Egadi con le tonnare che lì si trovavano, compresi tutti i magazzini e gli immobili che sorgevano su quelle isole. Ma Ignazio investe anche su altre tonnare con l’intenzione di sviluppare ulteriormente il settore della lavorazione e del commercio del pesce.

Gli anni Settanta dell’Ottocento sono un decennio importante per l’attività dei Florio. Ignazio consolida i vari settori d’affari della famiglia e punta decisamente sul rafforzamento dell’attività armatoriale. In quegli anni accadono diversi eventi che Ignazio Florio riesce a sfruttare a suo favore. Il fallimento nel 1876 della società di navigazione Trinacria gli dà l’occasione di acquistare a prezzo di saldo i suoi 13 piroscafi rafforzando la propria compagnia di navigazione. Nel 1877 furono rinnovate le concessioni statali per i servizi sia postali che di trasporto passeggeri e i Florio ottennero un’estensione dei loro servizi, diventando il primo concessionario nazionale con quasi il 44% del mercato. Nel frattempo, qualche anno prima nel 1869, veniva aperto il canale di Suez dando nuovo vigore ai trasporti marittimi nel Mediterraneo.

In quegli anni si rafforzano i rapporti tra Ignazio Florio e Francesco Crispi, uomo politico siciliano in grande ascesa ma che svolgeva anche il mestiere di avvocato per conto di casa Florio. Infine, l’8 novembre del 1877 partiva dal porto di Palermo il primo piroscafo con rotta verso New York, destinazione che sarebbe stata raggiunta dopo 21 giorni di navigazione. Cominciava il grande business del trasporto degli emigranti italiani verso l’America, che nell’ultimo ventennio dell’Ottocento avrebbe consentito alla compagnia di navigazione dei Florio di guadagnare veramente molti soldi.

La compagnia navigazione generale italiana

Nel settembre del 1881 nasce la Compagnia navigazione generale italiana dalla fusione tra le due principali compagnie di navigazione nazionali dell’epoca, quella dei Florio e quella dei Rubattino. Questa fusione era stata caldeggiata da Francesco Crispi e dal capo del governo Depretis. Divenne la seconda più grande compagnia di navigazione nel Mediterraneo con una novantina di piroscafi che collegavano una quarantina di città italiane e raggiungevano anche una trentina di porti stranieri, comprese diverse destinazioni transoceaniche. La nuova società assorbiva tutte le concessioni statali in tema di navigazione e poteva competere con le grandi società estere a cominciare da quelle francesi.

Nel 1887 la nuova compagnia di navigazione diede una grande prova di efficienza nel trasporto verso il Corno d’Africa delle truppe italiane inviate a conquistare la Somalia e l’Eritrea.

Proseguiva intanto il successo dell’attività peschiera soprattutto grazie allo sviluppo delle tonnare nell’arcipelago delle Egadi. La produzione annua raggiungerà nel primo decennio del Novecento la cifra record di oltre 12.000 tonni lavorati ogni anno nonostante sul mercato cominciasse a farsi sentire la concorrenza di produttori spagnoli, portoghesi e tunisini.

Ma Ignazio intraprese anche nuove attività: nel 1884 costituì una società che produceva porcellane, la Ceramica Florio.

Ma, come spesso accade, il destino è cinico e baro e il 17 maggio del 1891, a soli 52 anni, Ignazio Florio muore a seguito di una grave malattia.

La morte di Ignazio Florio

La scomparsa di Ignazio è il punto di svolta dell’intera saga dei Florio. I suoi figli − che si chiamano a loro volta Ignazio, Vincenzo e Giulia − sono ancora troppo giovani. Giulia, l’unica femmina, aveva 21 anni ed era già andata in sposa, all’età di 15 anni, con il principe Trabia Pietro Lanza, le era stata liquidata la sua parte di eredità e quindi era fuori dalla gestione delle aziende. Ignazio, il primogenito, aveva 23 anni ed era un giovane inesperto, dissoluto, arrogante e presuntuoso come sono spesso i rampolli di ricche famiglie che sono cresciuti negli agi. Nel 1893 si sposerà con una donna bellissima e di grande fascino, Franca Florio, della quale era certamente innamorato ma che non esiterà a tradire con altre donne. Ignazio è uno che non bada a spese, se i suoi avi si erano concessi, una volta giunti al successo e alla ricchezza, uno yacht, lui si dota di un’intera flotta di yacht con i quali scorrazzare con la consorte per i mari del mondo.

Franca Jacona di San Giuliano era figlia del barone Pietro Jacona e della duchessa Franca Costanza di Notarbartolo, due aristocratici provenienti da famiglie decadute, da tempo in grosse difficoltà finanziarie. La figlia Franca viene descritta da tutte le cronache dell’epoca come una ragazza meravigliosa che faceva strage di cuori e pare che i genitori fossero contrari al matrimonio con il giovane Ignazio non tanto perché non avesse quarti di nobiltà quanto piuttosto per la sua fama di impenitente donnaiolo.

Anche per farsi perdonare i ripetuti tradimenti, Ignazio riempie la moglie di regali, soprattutto costosissimi gioielli, tra i quali persino una collana di perle lunga ben 7 metri. La vita dei due coniugi più che quella di una famiglia di imprenditori devoti al lavoro e alla gestione delle loro imprese è quella di due aristocratici che trascorrono le loro giornate in giro per l’Europa tra un ricevimento e l’altro, frequentando gli alberghi più esclusivi e spendendo una fortuna.

Anche il fratello più piccolo Vincenzo, che alla morte del padre aveva soltanto 8 anni, seguirà le orme del fratello dedicandosi più alla vita mondana tra Palermo, Montecarlo, Parigi, Cannes, tra gare automobilistiche e avventure sentimentali, che alla cura degli affari di famiglia.

Come noto per mettere assieme una fortuna ci vuole fatica, impegno e anche parecchio tempo ma per dilapidarla si fa presto.

Inoltre, i tempi stavano cambiando, il progresso tecnico portava in primo piano nuovi settori produttivi, nel mondo dei trasporti nascono l’industria automobilistica e quella aeronautica, si sviluppa il settore elettrico e quello delle comunicazioni con l’invenzione del telefono e del cinematografo, si sviluppano enormemente l’industria chimica e quella farmaceutica.

Verso la fine dell’Ottocento anche l’Italia si avvia verso una fase di sviluppo industriale, concentrato però nel Nord Italia, nelle regioni occidentali. Piemonte, Liguria e Lombardia, la Sicilia è in fondo una regione periferica, per molti versi arretrata, con scarse dotazioni infrastrutturali. Certo una famiglia molto ricca come i Florio avrebbe potuto riconvertire le sue attività, investire in nuovi settori ma alla guida ci sarebbero voluti imprenditori capaci e tenaci e non giovinastri scapestrati e viziati.

La carità serve per combattere la povertà?

La discesa dell’impero Florio

Verso la fine del secolo cominciano i primi scricchiolii nell’impero dei Florio, con alcune difficoltà finanziarie della compagnia di navigazione. In quel periodo tra l’altro tramontano gli astri politici di due grandi amici della famiglia Florio, Francesco Crispi e Antonio Rudinì, che erano stati entrambi nei decenni passati presidenti del Consiglio. Ignazio pensa di proteggersi dalle difficoltà economiche avvicinandosi alla politica e con questa intenzione finanzia nel 1900 la fondazione a Palermo di un nuovo quotidiano che si chiamerà “L’Ora”. Favorì anche la nascita del Consorzio Agrario Siciliano del quale assunse la presidenza, organismo attraverso il quale intendeva mobilitare le forze imprenditoriali e intellettuali dell’isola a difesa degli interessi economici della Sicilia: una sorta di “autonomismo”, ante litteram.

In quel periodo cominciano a girar voci anche dei rapporti che i Florio avevano con la nascente mafia siciliana. Difficile stabilire se vi furono rapporti, è comunque un fatto che nella villa palermitana dell’Olivuzza Ignazio aveva assunto un tal Francesco Noto, il capo cosca locale, come giardiniere e come portiere suo fratello Pietro.

A cavallo tra Ottocento e Novecento Ignazio Florio avviò diverse nuove iniziative imprenditoriali il più delle volte con scarso successo e, in alcuni casi, subendo invece pesanti perdite. Nel 1897 fu costituita una società per la commercializzazione e l’esportazione degli agrumi siciliani che fu chiusa dopo sedici mesi a causa della crisi di sovrapproduzione a livello internazionale che fece precipitare il prezzo degli agrumi. Ma andarono male anche investimenti per la creazione di uno zuccherificio, di una società per l’esportazione del sommacco siciliano, una pianta che ha facoltà fitoterapiche ma dalla quale si ricavano anche una vernice e una spezia. Male finisce anche un investimento per la creazione a Napoli di una nuova compagnia di navigazione e un altro per la creazione a Roma di una fabbrica di colle e concimi.

I Florio avevano perso il loro tocco magico o forse le capacità imprenditoriali non si ereditano come le fortune.

All’inizio del nuovo secolo una innovazione tecnica, l’utilizzo delle piriti che avevano un costo molto basso, per produrre l’acido solforico, mette in crisi le esportazioni siciliane di zolfo uno dei settori chiave dell’impero dei Florio. Il prezzo dello zolfo crollò. Nel 1905 nuovi metodi di lavorazione resero conveniente lo sfruttamento dei grandi giacimenti di zolfo della Lousiana accentuando ancor più la crisi del settore anche perché il mercato statunitense era ormai diventato il principale mercato d’esportazione dello zolfo siciliano.

Uno dei pochi investimenti che ebbero un certo successo fatti da Ignazio, fu quello nel Grand Hotel Villa Igeia alle falde del Monte Pellegrino, un albergo di lusso nel quale si praticava il gioco d’azzardo e che attirava un turismo d’élite a Palermo. Ma con la fine della belle époque anche il bel mondo smise di svernare a Palermo.

Nel 1906 l’arrivo della filossera, una malattia della vite che distrusse i vigneti di tutta Europa, devastò anche l’industria vinicola siciliana mettendo in gravi difficoltà tutto il settore della produzione del Marsala e degli altri vini che si erano aggiunti nel corso degli anni. Nel 1906 Ignazio vendette, a prezzo di saldo, sia il marchio commerciale sia le vigne e gli stabilimenti. I Florio uscivano da un settore nel quale nei decenni passati avevano prosperato.

Le disgrazie non vengono mai sole

Ma le disgrazie, si sa, non vengono mai sole. Negli anni successivi le spese faraoniche dei fratelli Florio, gli investimenti sbagliati, la crisi di diversi settori portarono a un eccessivo indebitamento con le banche e furono costretti a cedere anche le azioni della compagnia di navigazione: un altro dei settori fondamentali del successo e della ricchezza della famiglia veniva alienato.

Si cominciò gradualmente a vendere proprietà immobiliari e terreni per far fronte al crescente indebitamento. Nel frattempo, il fratello minore Vincenzo che aveva lasciato la gestione degli affari di famiglia a Ignazio aveva iniziato alcune iniziative nel settore turistico per promuovere il territorio siciliano e, con questa finalità, aveva dato vita a una gara automobilistica che fu chiamata Targa Florio la cui prima edizione si svolse nel circuito delle Madonie. Sarebbe diventata, nei decenni successivi, una delle più prestigiose gare automobilistiche italiane in seguito allo sviluppo dell’industria dell’auto.

Furono tentati, anche con l’intervento della Banca d’Italia, dei piani di salvataggio del gruppo Florio ma i sacrifici che venivano richiesti alla famiglia furono giudicati eccessivi dai due fratelli e quindi rifiutati. In quei piani si sottolineava che gran parte dei problemi debitori erano dovuti alle spropositate spese voluttuarie della famiglia, spese di rappresentanza, alberghi e vacanze di lusso, gioielli, sartorie, mobili, auto sportive, scuderie, tutte spese che con la gestione delle aziende non avevano nulla a che fare. Era stato lo stile di vita da nababbi degli eredi di casa Florio a causare il tracollo.

Nel 1918 i Florio furono costretti a vendere la villa dell’Olivuzza, la lussuosa residenza palermitana dove avevano ricevuto re e imperatori.

Verso la fine degli anni Venti Ignazio si trasferì alle Canarie dove intraprese una nuova avventura nel settore della pesca al tonno nel tentativo disperato di rifarsi, mentre la moglie Franca e la figlia Giulia vivevano a Roma. La moglie, comunque, nonostante la disperata situazione finanziaria, non riusciva a fare a meno del personale di servizio, ben nove persone: maggiordomo, cameriere, cuoco, credenziere, guardarobiera, cameriera personale, ex tata della figlia Giulia, istitutrice e autista.

A metà degli anni Trenta il patrimonio dei Florio era ormai diventato proprietà delle banche e infine quel che restava delle loro società e partecipazioni azionarie fu conferito nell’IRI, l’Istituto per la ricostruzione industriale messo in piedi da Mussolini per affrontare le crisi industriali seguite al crollo del 1929.

Ignazio continuava a vagare per mezza Europa nel tentativo di realizzare qualche improbabile affare o di farsi prestare soldi da amici e conoscenti da inviare alla moglie Franca. La situazione era disperata, oltre che umiliante. Donna Franca fu costretta a vendere i suoi gioielli e qualche opera d’arte che le era ancora rimasta e a licenziare la servitù.

Dell’immenso patrimonio dei Florio non restava più nulla. Ignazio e Vincenzo ormai nullatenenti riuscivano a campare con i gettoni di presenza di alcuni consigli d’amministrazione dai quali ancora non erano stati cacciati.

La dinastia dei Florio era finita, il loro immenso patrimonio dilapidato e disperso. Ignazio e Vincenzo moriranno negli anni Cinquanta dimenticati ormai da tutti. Quella dei Florio è, in fin dei conti, una bella favola dove però è mancato il lieto fine.

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