Il basket che abbatte i confini

Scritto da in data Dicembre 27, 2019

Appena arrivata a Beirut la prima impressione che ho avuto, è stata quella di una città viva, pulsante, caotica e un po’ folle. Sono stata accolta da un tassista libanese padre di una delle ragazze della squadra di basket di Shatila. Sono arrivata in Libano un po’ prima della delegazione da Roma-Baghdad di Basket Beats Borders per documentare con un gruppetto di altre persone la situazione a Shatila, il progetto della Palestine Youth Basketball Girls e del Football club. Alice Corte da Beirut per Radio Bullets

Shatila non era come me l’aspettavo. Caotica e multiforme aveva l’aspetto di un enorme conglomerato che cresce verso l’alto, dove i fili della corrente si intrecciano pericolosamente nei suoi cieli, inarrivabili per gli abitanti dei piani bassi, che soffrono di carenza di vitamina d proprio per l’oscurità e assenza di aria che domina la parte bassa del campo.

Shatila esiste dal 1948, e nonostante sia nota soprattutto per il massacro perpetrato dalle forze israeliane e libanesi nell’82, ci sono moltissime storie: un circolo di scacchi, una associazione di donne palestinesi, donne palestinesi provenienti dalla Siria che lavorano come sarte, un’associazione che promuove la scolarizzazione e l’avvio al lavoro per i giovani.

A Shatila mi imbatto in pasticcerie, affittacamere, nel mercato  il barbiere, i negozi di souvenir e  numerosi alimentari. E’ florida anche la microcriminalità e l’attività di spaccio. I palestinesi possono studiare, ma li sono interdette 42 professioni. Le attività in proprio dovrebbero impiegare un numero di libanesi più alto di quelli che sono invece i palestinesi assunti e di fatto, è impossibile fare lavori qualificati in maniera legale.

Non c’è un ospedale, anche se ci sono molti medici, soprattutto dalla Siria, e chi deve usufruire di servizi sanitari come partorire, deve farlo in un altro campo, in un ospedale con standard molto bassi.

A Shatila si fanno anche i tour guidati.
Majdi fa il muratore, ha tre figli, ama lo sport e un giorno ha pensato a dare un’alternativa ai suoi figli e alle figlie dei propri vicini. All’inizio per le ragazze non è stato facile e sua figlia non era neanche molto interessata allo sport.

Majdi ha insistito e ha creato una squadra di calcio maschile e una di basket femminile, squadre che però non potevano competere con altre squadre, perché i palestinesi non vengono esclusi solo dal lavoro.

Eppure lo sport è sempre una grande valvola di sfogo, anche senza poter competere, le ragazze hanno apprezzato la gioia di giocare, l’uscire da casa. Le ragazze che partecipavano sono aumentate e se all’inizio Majdi ha dovuto fare tanto per convincere gli altri padri a far giocare le loro figlie, ora al campo libero di Qas Qas c’erano diverse squadre, persino di bambine.

Perché ero lì? Ho conosciuto il progetto Basket Beats Borders quando la prima delegazione da Shatila è venuta a Roma. Grazie ad alcuni volontari di Un Ponte Per e alla sinergia con alcune squadre di sport popolare romano, All Reds Basket Roma, Atletico San Lorenzo Basket  e Les Bulles Fatales, Majdi e alcune delle giocatrici della Palestine Youth Basketball Girls sono venute, hanno giocato, si sono allenate, hanno visitato Roma. Dopo un altro anno nella capitale e un viaggio nei Paesi Baschi hanno voluto mostrare ai giocatori e alle giocatrici romane la loro vita, la loro cultura e perfino come si protesta in Libano.

Appena è atterrata la delegazione (composta anche da due attivisti iraqeni di Sport Against Violence, Beirut ha preso fuoco contro carovita, contro il governo e corruzione.

Siamo stati costretti a rivedere un po’ il viaggio, ma è diventato ancora più interessante. E mentre gli adulti erano scettici sui risultati delle proteste, le ragazze osservavano e partecipavano alle piazze che hanno poi portato alle dimissioni del governo del premier Hariri e alla promessa di alcune riforme.

Ed è proprio così Basket Beats Borders da 3 anni infrange i confini sempre più stretti delle palestinesi che vivono in Libano.

L’incontro tra squadre è diventato così ancor di più un incontro tra culture, anche politiche. E il progetto non si ferma: Basket Beats Borders dovrebbe proseguire l’estate prossima a Madrid, dove una lega di basket popolare organizza un torneo con numerose squadre autogestite spagnole.

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