Il doppio dramma dei migranti in Bosnia Erzegovina
Scritto da Cecilia Ferrara in data Marzo 25, 2020
Un improvviso inverno ha colpito la Bosnia Erzegovina in piena crisi corona virus. Da ieri le temperature si sono abbassate e il paese si è svegliato con diversi centimetri di neve. La situazione è ancora più grave per i migranti che dal 2018 attraversano la Bosnia Erzegovina per arrivare in Europa restando bloccati in migliaia. Qual è la loro situazione in questo momento di crisi epidemica? Quali le disposizioni che sono state previste da Sarajevo? Radio Bullets ne parla con Silvia Maraone, project manager di IPSIA per le azioni nei campi profughi in Bosnia Erzegovina e in Serbia.
Ci sono tra i 4 e i 5 mila migranti nei campi e almeno 2 mila fuori dall’accoglienza
“La situazione è statica – racconta Silvia Maraone – nonostante i confini chiusi e il corona virus arrivano persone dalla Serbia anche se c’è un rallentamento dei flussi”. Da quando la Bosnia ha iniziato a diventare un paese strategico per la cosiddetta rotta balcanica sono stati aperti dei campi gestiti dall’Organizzazione Mondiale per le Migrazioni due grandi nel nord del paese a Bihać e a Velika Kladuša (quest’ultimo è stato chiuso lo scorso autunno) e due a Sarajevo dove sono ospitati tra i 4 e i 5 mila migranti, divisi in campi per ‘single men’ con anche minori stranieri non accompagnati e campi per famiglie. “Il problema è che non sono sufficienti – spiega Maraone – si calcola che ci siano circa 2000 migranti che sono dislocati tra Tuzla, Sarajevo, Mostar e la Krajna (nord della Bosnia Erzegovina) che vivono in case ancora distrutte dalla guerra degli anni novanta, in fabbriche abbandonati in capannoni. Questi non sono seguiti dal circuito dell’accoglienza quindi non hanno coperte, vestiti, cibo, vivono in condizioni drammatiche”.
Chi sono i migranti in BiH?
“Sono soprattutto ragazzi giovani tra i venti e venticinque anni – dice l’operatrice di IPSIA – ma la particolarità della Rotta Balcanica è che ci sono anche molte famiglie, il 40% dei migranti sono sono nuclei familiari che arrivano da aree in crisi come Siria, Iraq, Afghanistan, ma anche Iran Pakistan e altri paesi dell’Asia e del Medioriente, ma arrivano a volte anche dall’Arica, abbiamo perfino avuto un cubano. Ormai la rotta balcanica è una risposta alla chiusura della rotta mediterranea”.
I migranti arrivano spesso dopo due o tre anni di viaggio e oltre alla durezza del viaggio, alle violenze che subiscono durante l’attraversamento dei confini, arrivano spesso con un disagio psichico. “A volte hanno perso un po’ il senso del tempo e di dove stanno andando – conclude Maraone – ma in definitiva sono persone con sogni e speranze esattamente come noi”.
L’impatto del coronavirus per chi sta nei campi per rifugiati
Il governo in seguito all’emergenza coronavirus ha chiuso prima i campi per uomini e poi anche i campi per le famiglie. “Nessuno può uscire o entrare quindi i migranti non possono andare a comprarsi le sigarette o le ricariche telefoniche” spiega Silvia Maraone. Per quanto riguarda la sicurezza sanitaria, nei campi opera il Danish Refugee Council ma il problema è l’accesso alla salute per tutti i cittadini della Bosnia Erzegovina “A Bihac una città di 60 mila abitanti ci sono solo 5 respiratori, quindi il dramma è lo stesso per i bosniaci e per i migranti anche se questi ultimi vivono anche lo stigma: molti li accusano di aver portato il coronavirus quando i casi che, ad esempio, sono venuti fuori in questa parte del paese erano cittadini bosniaci tornati dalla Germania. Se, però, dovesse scoppiare un caso di virus in un campo come Bira che è un ex fabbrica di frigoriferi con dei container sarebbe difficile mantenere il distanziamento e quindi la diffusione del contagio. Per chi è fuori dai campi poi sarebbe proprio difficile anche identificare il virus”.
Difficoltà per il reperimento di cibo
Il fatto di non poter uscire a comprare altre cose secondo IPSIA influisce anche sull’accesso al cibo. A Sarajevo domenica è stata distribuita solo la colazione, anche negli altri campi le razioni iniziano ad essere insufficienti questo perché in tutta la Bosnia le derrate alimentari sono contingentate. “Senza contare – dice ancora Maraone – che per pranzo si creano file con distanza di 2 metri fra persona e persona che durano ore con il rischio di arrivare al proprio turno e non trovare più nulla”.
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