Suicidarsi a Gaza

Scritto da in data Luglio 30, 2020

Il non avere niente da perdere. La mancanza di prospettive. Il non avere speranza. La vergogna di non poter mantenere la propria famiglia. Il senso di claustrofobia dato dal vivere in un posto che non si può lasciare. I traumi del carcere, della violenza, dell’impotenza, sono solo alcuni dei motivi per cui uccidersi a Gaza è diventata una via di fuga. 40 km di Striscia, un immenso campo profughi in ferro e cemento dove si dipende per qualunque cosa dagli aiuti umanitari.

Due milioni di persone che vivono appiccicate, sapendo che non c’è modo di fare qualcosa senza che qualcun altro lo sappia. Il rancore e la frustrazione regna sovrana e impregna le strade non asfaltate, i palazzi fatiscenti crivellati dai colpi dei proiettili israeliani quando ancora controllavano la Striscia da dentro. Gli ospedali senza medicinali, i mercati senza merci, le scuole senza lavagne.

Non ci sono svaghi, non ci sono neanche i pesci per i pescatori, che non possono uscire per mare se non vogliono essere colpiti dalla guardia costiera israeliana. Poi c’è la creatività di un popolo che lotta, di artisti che fanno e sperimentano. Di gente che suona, di persone che creano. E c’è la lotta, quella che ti entra dentro quando nasci, quella che ti tatuano con la prima cicatrice dell’umiliazione che ti resta addosso.

I suicidi

Dire che a Gaza sono aumentati i suicidi non è una notizia, è un dato di fatto. Una Gaza che entra quest’anno, nel silenzio internazionale, nel quattordicesimo anno di blocco da parte di Israele. Un ghetto enorme. Un blocco immenso. Una punizione collettiva che ricorda molto l’apartheid in Sudafrica, dove qualcuno si sentiva superiore a qualcun altro, o gli iughuri in Cina, solo per fare qualche esempio.

Il Centro per i diritti umani di Al-Mezan, che fa base a Gaza, riferisce che almeno 16 persone si sono suicidate e centinaia di altri hanno tentato il suicidio nella Striscia, nella prima metà del 2020.

Indipendentemente dal fatto che siano influenzati da difficoltà economiche, dall’impatto traumatico delle politiche di occupazione israeliane o da altri fattori, i gruppi per i diritti affermano che l’ondata di tentativi di suicidio è molto preoccupante.

Onu: Gaza sarà invivibile entro il 2020

Nel 2012, le Nazioni Unite avevano avvertito che Gaza sarebbe stata “invivibile” entro il 2020, date le tensioni dell’assedio paralizzante e la devastazione causata da tre guerre dal 2007, senza contare le numerose piccole alterazioni militari e il movimento di protesta brutalmente represso. A sette mesi dall’inizio dell’anno, il triste aumento dei suicidi mostra che per molti questo allarme diffuso dall’ONU ha assunto un tragico significato.

La storia di Wadi

“Da quando ci siamo sposati, più di 20 anni fa, non ricordo di aver visto Jamal emotivamente e mentalmente stabile, tranne durante i tre mesi che seguirono il nostro matrimonio”, ha detto la moglie di Wadi, Mervat, alla testata Middle East Eye. “All’epoca era una persona totalmente diversa”. Poco dopo il loro matrimonio nei primi anni ’90, Wadi venne arrestato dalle forze israeliane. Tutti pensavano che sarebbe rimasto dentro per qualche giorno e invece ci rimase sette anni. E la sua vita sarebbe cambiata per sempre.

“Quasi ogni volta che lo visitavo, notavo che era stato picchiato. Lo tenevano in isolamento per lunghi periodi di tempo”, ricorda la moglie parlando con MEE. Dopo il rilascio nel 1997 è cominciato un lento pellegrinaggio per curare il trauma, tra medici e disturbi mentali, fino a che Wadi, 23 anni dopo essere stato rilasciato e aver combattuto per tutta la vita per uscirne, a 54 anni, il 21 giugno scorso si è tolto la vita.

Molti ex detenuti hanno tentato di fare la stessa cosa. Secondo l’organizzazione per i diritti dei prigionieri Addameer, circa 4.700 palestinesi sono attualmente incarcerati da Israele, di cui 267 provengono dalla Striscia di Gaza.

La mancanza di lavoro

Secondo l’Unione Europea, il blocco e le ostilità ricorrenti nell’enclave costiera hanno indebolito l’economia locale al punto in cui circa 1,5 milioni di persone – circa l’80% della popolazione totale di Gaza – dipende dagli aiuti umanitari.

Dall’assedio del 2007, il numero di imprese a Gaza è diminuito da 3.500 a 250, secondo il monitoraggio Euromediterraneo dei diritti umani. Oggi, quasi il 54% delle famiglie nella Striscia di Gaza vive al di sotto della soglia di povertà.

Le misure adottate per frenare la diffusione della pandemia di coronavirus hanno ulteriormente aggravato la crisi economica a Gaza, con circa 26.500 persone che hanno perso il lavoro nei primi tre mesi del 2020.

Nel primo trimestre del 2020, il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 46%, rispetto a circa il 42,7% dell’ultimo trimestre del 2019, secondo il Palestinian Central Bureau of Statistics (PCBS), rivelando quanto sia grave la situazione prima del 2020.

I numeri testimoniano l’impatto che la chiusura ormai permanente di Gaza abbia sulla salute mentale dei palestinesi, dice Nuriya Oswald, direttrice legale e legale internazionale di Al Mezan, aggiungendo che coloro che lavorano nei settori della pesca e dell’agricoltura, un tempo fiorenti a Gaza, sono particolarmente vulnerabili a causa delle minacce della violenza militare israeliana e delle restrizioni che incidono sul loro sostentamento.

Foto di copertina: Sarah Lötscher from Pixabay 

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