Armenia e Azerbaigian, guerra in vista?

Scritto da in data Agosto 4, 2020

Gli scontri del luglio sul confine tra Armenia e Azerbaigian aprono una nuova pagina nella storia del conflitto ormai trentennale? Su Radio Bullets un focus sui fatti, sul ruolo della Russia e della Turchia e sui possibili scenari, con commenti di giornalisti azeri e armeni. 

Armenia – Azerbaigian, un conflitto mai sopito 

Un nuovo scontro armato è sorto di punto in bianco il 12 luglio, nella parte settentrionale del confine tra i due paesi: tra la regione di Tovuz, in Azerbaigian, e la regione di Tavush, in Armenia. Questa volta, però, i combattimenti si svolgono lontani dal Nagorno-Karabakh, pietra d’inciampo e causa di tensioni decennali tra Baku e Yerevan, a partire dal febbraio 1988. 

Apparentemente sembra che la causa della nuova escalation fosse un checkpoint, tra l’altro di nessuno, visto che la linea di confine tra Armenia e Azerbaigian non è del tutto delimitata, ancora: alcuni tratti, dopo la caduta dell’Unione Sovietica, sono delle “zone di nessuno”, sebbene sia Yerevan che Baku tendono a considerarle proprie.   

Secondo la versione dell’Armenia, un fuoristrada delle guardie di frontiera azere avrebbe varcato il suo confine nazionale. L’Azerbaigian, invece, ribatte e sostiene che non si trattasse di nessuna “invasione” da parte sua, visto che il confine tra i due paesi non è ancora definito.

Le conseguenze dell’improvvisa “guerra minore” di luglio sono tragiche: entrambi i paesi hanno usato droni di combattimento e l’artiglieria, provocando vittime tra militari di alto rango e civili.

La situazione si appesantisce anche per le avvisaglie intimidatorie: mentre l’Azerbaigian minacciava di colpire la centrale nucleare armena di Metsamor, l’Armenia minacciava di attaccare la diga del bacino idrico di Mingachevir. Ora si parla degli scontri armati più violenti, tra Baku e Yerevan, dall’aprile 2016, quando, per quattro giorni di seguito, la regione del Nagorno-Karabakh è stata divorata da battaglie molto accese. 

Al momento, dopo la tregua, si intravede un’ombra di “de-escalation”, anche se qualche giorno fa le parti hanno violato il cessate il fuoco, accusandosi a vicenda. Ora la situazione nella zona di conflitto rimane tesa. 

La guerra delle albicocche

L’accaduto non ha fatto altro che inasprire quella piaga nella memoria collettiva chiamata, appunto, Nagorno-Karabakh, provocando reazioni contrastanti nei due popoli.  

Così, a Baku, si sono radunati manifestanti a supporto dell’esercito azero, dispersi poi con getti d’acqua. Però il conflitto non si è limitato al suolo dei due paesi caucasici ma si è esteso anche fuori, riversando lo scontento di azeri e armeni sulle strade di altri paesi, tra cui la Gran Bretagna e in particolare, la Russia.

Così, le due comunità etniche, che vivono numerose nella capitale russa commerciando prevalentemente frutta che proviene dal Caucaso, si sono rese protagoniste di parecchi scontri violenti per le strade di Mosca. Negozi e ristoranti di cucina nazionale sfasciati, macchine distrutte, persone attaccate: gli abitanti della capitale russa hanno assistito a un vero “pogrom” etnico. Come se non bastasse, alcuni commercianti di nazionalità azera si sono opposti alla vendita di albicocche armene in un centro commerciale di Mosca. La guerra delle albicocche, cosi è stata definita la faida azero-armena dalle autorità russe dopo l’accaduto, scrive Kommersant. 

Russia e Turchia, due presenze a confronto     

Tra le personalità mediatiche di rilievo sul conflitto, si è espressa Margarita Simonyan, la propagandista del Cremlino e la caporedattrice del canale televisivo RT, finanziato dal governo russo a scopo di propaganda. Il 18 luglio Simonyan, tra l’atro di etnia armena, in un post ha mosso critiche molto abrasive nei confronti delle autorità armene per la loro linea politica. Tra i numerosi rimproveri c’è anche il mancato riconoscimento dell’occupazione russa della Crimea nonché, secondo Simonyan, la posizione anti russa del governo armeno, nonostante “la Russia avesse offerto protezione nel corso degli anni”. 

“Dopo tutto quello che avete fatto, la Russia ha il diritto morale di sputarvi addosso”: le parole della giornalista hanno suscitato un dibattito molto forte nonché forti dubbi su quali fossero i piani del Cremlino sull’intera faccenda. 

Sembra che la leadership russa non sia pronta a mettere a rischio i rapporti né con Yerevan né con Baku: il Cremlino, per il momento, si è offerto come mediatore. Tra l’altro, la Russia ricopre il ruolo di copresidente del gruppo OSCE di Minsk, nato per mediare il conflitto del Karabakh, di cui fa parte anche la Turchia. Nel contempo, Armenia e Russia fanno parte del blocco militare CSTO, un’alleanza di sicurezza di sei paesi ex sovietici con accordi di cooperazione militare, e l’Azerbaigian, invece, no. Le alleanze politico-militari da quella parte del globo si complicano ulteriormente per la presenza della Turchia che, tra l’altro, sostiene Baku. 

Il 14 luglio il ministro della difesa turco ha dichiarato che la Turchia avrebbe sostenuto le forze armate azere “contro l’aggressione dell’Armenia”, nonostante il Paese sia membro del gruppo OSCE di Minsk, creato per portare la pace in Nagorno-Karabakh. I rapporti tra Yerevan e Ankara, invece, sono pessimi e ufficialmente inesistenti, nonché storicamente complicati, sopratutto per via del genocidio del popolo armeno da parte delle truppe ottomane del 1915.

In tutto questo, non dimentichiamo l’esistenza dell’oleodotto Baku – Tbilisi – Ceyhan, forte concorrente della Russia, che passa anche per la regione azera di Tovuz e assicura il trasporto di petrolio caspico in Turchia. 

Le voci locali sul ruolo della Russia e i possibili scenari 

“A partire dal 1993, la posizione della Russia è diventata sempre pro-armena, un fatto che ha inciso molto nei risultati militari della prima fase della guerra del Karabakh”, sostiene il giornalista azero di JAM News Shahin Rzayev. Secondo lui, al momento la Russia non è interessata a intervenire direttamente nel conflitto, visto che è la forza principale del blocco militare CSTO. Rzayev sottolinea che durante la esacerbazione della crisi militare, nell’aprile 2016, la CSTO non ha reagito in alcun modo, e nemmeno ora. 

“Recentemente la nuova leadership dell’Armenia sta perseguendo una politica abbastanza indipendente dalla Russia, che irrita apertamente i suoi leader. Ciò è dimostrato dalla visita recente della moglie dell’ex presidente armeno Kocharian, caduto in disgrazia in Armenia, nonché dalle ultime dichiarazioni della caporedattrice del RT Simonyan, il megafono principale del Cremlino”, ha commentato a Radio Bullets il giornalista. 

Rzayev è convinto che anche se la Russia non dovesse intervenire direttamente nella nuova escalation, ciò non significa che non cercherà di salvaguardare i propri interessi, mettendo, magari, entrambe le parti in una posizione di dipendenza. 

“Uno dei possibili scenari è l’introduzione delle truppe russe, una specie di forze di pace, sulla linea di contatto tra le truppe armene e azere, in cambio della liberazione di cinque dei sette distretti occupati intorno al Nagorno-Karabakh, il cosiddetto Piano di Lavrov”, spiega il giornalista (la proposta del ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov sul conflitto, ndr). 

Secondo Rzayev, finora, né l’Azerbaigian né l’Armenia sono pronti ad accettare un simile piano. Recentemente in Azerbaigian c’è un nuovo ministro degli Esteri, quindi è un motivo valido per iniziare tutto “da zero”. Lo scenario peggiore è, ovviamente, la guerra, anche se il giornalista non crede che la situazione possa giungere a una tale escalation: per il momento continueranno solo con piccoli scontri. 

“Come si può vedere, la leadership politica di entrambe le parti è ancora lontana dalla voglia di scendere a compromessi. Lo scenario migliore è lo status quo, cioè né pace né guerra; questo è lo scenario più probabile per almeno i prossimi dieci anni”, conclude Rzayev. 

Invece Naira Hayrumyan, la giornalista armena di Lragir.am, nonché commentatrice politica, crede che la Russia non potrà mai mantenere una posizione neutrale, vista la sua diretta responsabilità nel definire i confini attuali tra Armenia, Azerbaigian e Turchia. 

“Vorrei ricordare che nel 1921 il Karabakh armeno è stato trasferito in Azerbaigian per decisione dell’Ufficio del Caucaso della Russia, e questo è l’unico atto giuridico che stabilisce l’appartenenza del Karabakh all’Azerbaigian”, racconta a Radio Bullets la giornalista (“Kavbiuro era un’organizzazione istituita dai bolscevichi nell’aprile 1920 per sorvegliare la subordinazione del Caucaso al Partito comunista russo, ndr). 

“Fino a quando la Russia non riconosce questa decisione del partito come illegale, la neutralità è fuori discussione: così Mosca continua a sostenere l’Azerbaigian. Lo stesso vale per i confini della regione, stabiliti dai trattati russo-turchi del 1921. Se la Russia rimanesse neutrale, rinuncerebbe alla sua firma su questi trattati e consentirebbe ai paesi della regione di negoziare i propri confini”, afferma Hayrumyan. 

Invece nelle dichiarazioni recenti della caporedattrice di RT, Simonyan, la giornalista vede tanto disprezzo per l’Armenia, i suoi interessi, la sicurezza, così come il diritto degli armeni a formare il potere statale come meglio credono.

“Penso che Simonyan non abbia mai nascosto il suo atteggiamento negativo nei confronti delle autorità rivoluzionarie dell’Armenia e la simpatia per Robert Kocharian, che è considerato il leader dell’Armenia più vicino alla Russia”, conclude la giornalista. 

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