Il professore che strappò la laurea per le donne afghane
Scritto da Barbara Schiavulli in data Gennaio 16, 2023
KABUL − Difficile guardare il video e rimanere impassibili. Le sue lacrime, ma soprattutto le sue parole, vanno dritte alla coscienza di qualsiasi essere umano. Forse per questo è diventato virale. Due settimane fa il professore universitario Ismail Mashal viene invitato in una trasmissione televisiva di Tolo News e a un certo punto si commuove, dice che se le sue sorelle e sua madre non potranno più studiare, neanche lui lo farà più. Raccoglie tutti i certificati che dimostrano che si è laureato, che ha fondato in un centro educativo a Kabul, che ha diplomi e master, e davanti alla tv afghana li ha strappati in diretta.
Il resto è Storia, il video ha attraversato i confini di questo martoriato Afghanistan dove alle donne è vietato studiare, ed è rimbalzato ovunque, nei siti, nei social, sui telegiornali, quell’uomo da solo ha fatto qualcosa che finora nessun uomo afghano era stato capace di dimostrare a volto scoperto, a proprio rischio e senza pensarci: dimostrare solidarietà verso quella parte della popolazione che è stata cancellata dall’arrivo al potere dei talebani, nell’agosto 2021. Tutti si aspettavano che fossero cambiati rispetto al regime degli anni Novanta, per poi scoprire che non era affatto così, il loro accanimento verso l’universo femminile è andato di giorno in giorno peggiorando, fino a che Mashal non ha potuto più rimanere zitto.
«Tutto è cambiato quando le mie figlie, che fanno la sesta classe (e oltre al quale non possono proseguire gli studi), mi hanno chiesto perché non potevano più andare a scuola. Mi si è spezzato il cuore. E questo è l’unico modo che conosco per rispondere, combattere per loro, per le mie sorelle, per mia moglie che era un’insegnante e ora non può più lavorare. E se non possono farlo le donne, che non lo facciano neanche gli uomini», ci ha detto Mashall nel suo ufficio, in una ghiacciata giornata afghana. Ha gli occhi rossi, non torna a casa da dodici giorni. Da quando è apparso in quel video ha ricevuto telefonate minacciose, ma è deciso a non mollare. Per niente al mondo. Mashal, che insegna giornalismo e management all’università di Kabul, si è dimesso; ha anche un centro studi con diverse facoltà e lo ha chiuso da due settimane, non solo alle ragazze, come previsto per legge, ma anche ai ragazzi.
«In questi anni ho preparato esseri umani che sono diventati ingegneri, dottori, giornalisti, uomini e donne, esattamente come merita qualsiasi paese. Non posso più accettare quello che sta accadendo. Ci hanno chiesto di separare i maschi dalle femmine e lo abbiamo fatto, ci hanno chiesto che loro indossassero l’hijab e lo hanno fatto, ci hanno imposto quale facoltà può fare uno e non l’altra. Abbiamo fatto tutto quello che hanno chiesto e il risultato è stato chiudere le università perché, hanno detto, porta all’adulterio, e non ci posso proprio stare. Nelle società istruite si vive meglio, c’è più ricchezza, meno criminalità e una donna non istruita significa che mezza società non lo è. E così non si progredisce».
È un fiume in piena Mashal, che promette di non venire a patti con il governo. «Ci sono venti milioni di ragazze che oggi sono depresse, alcune si suicidano e non c’è nessuna base religiosa perché questo avvenga». Mashal potrebbe andarsene in qualsiasi momento ma non lo fa, tutto il suo lavoro negli ultimi anni è stato dedicato all’istruzione di ragazze e ragazzi. «Che le donne non debbano studiare non è scritto da nessuna parte nel Corano. Il Corano è un libro, e chiunque dovrebbe poterlo leggere. Ci sono 57 paesi musulmani dove le ragazze studiano, in tutto il mondo le ragazze studiano e non mi arrenderò. Ho strappato quei documenti in diretta perché volevo che il mondo sapesse quello che sta accadendo. Non possiamo restare indifferenti».
Mashal si stringe nel suo pato nero e si dice un po’ sorpreso di quanto la sua sceneggiata sia diventata virale. Ma cosa può fare il resto del mondo, a parte esprimere la propria condanna? «Non bastano le parole. Non basta che ci siano riunioni, commissioni per i diritti umani, organizzazioni che vengano a bacchettare i talebani. Qui, lo ripeto, ci sono venti milioni di persone depresse. Ho 450 studenti nel mio istituto e giuro che nessuno tornerà a studiare se nessuna delle loro compagne potrà farlo». A marzo ricomincia l’anno scolastico, perché ora c’è la pausa invernale, e quella è la mia deadline: se non accadrà qualcosa alzerò il livello della protesta. So che rischio, so che potrebbe succedermi qualcosa, ma se dovessero uccidermi, un giorno le mie figlie capiranno perché l’ho fatto, le mie azioni sono la risposta alle loro domande».
Si commuove Mashal pensando alle figlie, pensando a quel paese dove prima tutto era difficile, ma non impossibile. Pensando che l’istruzione a cui ha dedicato la vita, ora, per il manipolo che controlla l’Afghanistan, è una sorta di crimine. «Non mi aspetto che molti uomini afghani si uniscano a me, hanno paura e per il momento non sono in grado perché si sentono soli e abbandonati, e poi sono gli unici che oggi possono provvedere alle loro famiglie. Lo capisco, sono io che non ne posso fare a meno. E non appartengo a nessun partito, sono indipendente e mi assumo la responsabilità di quello che faccio».
Ha studiato in India, tornato in Afghanistan, quattordici anni fa, ha preso un master e ha cominciato a insegnare, ha scritto cinque libri su cui oggi studiano gli universitari, ma è pronto a mandare all’aria tutto, anche se significa perdere i soldi con i quali vive. Con me ci sono anche quarantadue altri insegnanti che non torneranno al lavoro, se non cambierà qualcosa.
Sono tempi durissimi per le ragazze afghane, che non possono studiare, lavorare, neanche fare una passeggiata senza essere accompagnate da un uomo di famiglia, come se fossero delle eterne bambine. Non possono neanche andare all’ospedale da sole, o lavorare per le ong che portano cibo a donne, magari vedove, che non hanno nulla e non possono fare nulla. È un paese che sta precipitando davanti agli occhi di tutti senza che nessuno riesca a fare veramente nulla. Lui ci ha provato con un atto simbolico, distruggendo l’unica cosa che aveva di prezioso: i suoi diplomi. Ma chi lo ha visto nel video, chi lo ha conosciuto e chi crede che la conoscenza sia libertà, sa che il suo gesto vale più di mille lauree.
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