La forza del silenzio
Scritto da Francesca Mancini in data Luglio 2, 2020
Ci sono luoghi introversi, dove tutto rimane chiuso all’interno. Sono paesi isolati, dove le strade sono strette e non si fanno nomi, sono case dove si guarda fuori solo dalle fessure delle persiane chiuse, sono luoghi della mente, dove si insidia la vergogna e dove il dolore rimbomba, sordo.
Poi ci sono gli intrepidi, che in questi stessi luoghi bussano alle porte. Svelano segreti, danno nomi alle cose e inventano nuove normalità.
Invece di leggere prova ad ascoltare: la musica e la narrazione renderanno l’esperienza più coinvolgente!
Un fotografo intrepido
Dalla parte degli intrepidi c’è Sasà, che li cerca ovunque, in ogni angolo della sua terra, la Campania. E non a caso, li trova. Perché è un fotoreporter ed è il suo lavoro. Perché di questa gente è importante parlare. E probabilmente perché lui stesso ha bisogno di sapere che queste persone, esistono. È il 2016 e Salvatore è a Casal di Principe, fortino dell’agro aversano, in provincia di Caserta, divenuto tristemente epico per l’omonimo clan camorristico dei casalesi, uno dei più feroci della storia della mafia italiana. Il clan responsabile dell’omicidio di don Peppe Diana e della strage di Castel Volturno, per citare un paio di tristi note della nostra memoria collettiva.
“Casal di Principe è un paese dove si praticava l’agricoltura […] Riina amava dar da mangiare alle galline nonostante fosse un potentissimo, forse il più potente boss della mafia siciliana a un certo punto…!”
Inaccessibile a chiunque fino a vent’anni fa, Casal di Principe comincia a cambiare faccia dalla fine degli anni novanta, quando l’azione di contrasto al clan dei casalesi da parte di magistratura e polizia di Stato diventa sempre più intensa: grazie ai primi collaboratori di giustizia, vengono arrestati prima Francesco Schiavone, poi Michele Zagaria, Antonio Iovine, Giuseppe Setola e via via moltissimi altri. Salvatore li fotografa tutti, quegli arresti. O quasi. E quel giorno, a Casal di Principe, ha l’occasione di entrare nelle case sequestrate a questi personaggi biechi, che hanno dato sfoggio della loro mania di grandezza facendosi costruire ville faraoniche quanto grottesche. Apparentemente anonime all’esterno, basta varcarne la soglia per trovarsi in spazi immensi, rivestiti da marmi sultanici e improbabili arredi stile Luigi XIV. Famosa la ‘Villa Scarface’, voluta da Walter Schiavone identica a quella del celeberrimo film di Brian De Palma. Ma quella che colpisce di più l’attenzione di Sasà, è la villa di Sandokan, cosi si faceva chiamare Francesco Schiavone capoclan dei casalesi. E non perché più pacchiana delle altre, che l’ignoranza anche in questo ha i suoi limiti, ma perché divisa in due da un muro: una parte diventa sede di un’ associazione di promozione sociale, una parte rimane alla famiglia Schiavone, nelle persone della moglie e della mamma.
Interessante convivenza, pensa Sasà.
L’incontro
Quando Salvatore incontra Vincenzo, presidente dell’associazione La forza del silenzio, viene accolto in quella che era la cabina armadio della camera da letto di Francesco Schiavone, sufficientemente grande per farne un comodo studio. Vincenzo è un poliziotto, a lui è stato dato l’onere di quella strana convivenza. Strana davvero considerando che un giorno si è trovato, suo malgrado, in un’operazione di arresto in cui era coinvolto proprio uno dei figli della sua coinquilina. L’associazione che dirige, accoglie circa 90 ragazzi affetti da disturbi dello spettro autistico. Salvatore, non ha dubbi sulla proposta da fare a Vincenzo. Fotografare l’autismo. Fotografare i suoi due figli, gemelli, autistici. Una spinta di pancia lo direziona verso quell’uomo che da subito percepisce aperto di mente e proiettato nel futuro. E infatti Vincenzo, senza esitare, accetta.
Quella proposta è perfettamente in linea con i suoi obbiettivi: mostrare a tutti cosa succede davvero nelle case di chi ha a che fare con l’autismo, mostrarlo senza timore. Perché nessuno mai a Casal di Principe come in qualunque altro posto, soffochi nella vergogna una storia come la sua.
“C’è stata veramente una grande partecipazione da parte di Vincenzo, che mi è sembrato molto emancipato…”
Salvatore invece quella chiarezza d’intenti la costruisce nel tempo. Lui che dell’autismo sa poco e niente. Lui che fino ad allora aveva inseguito storie di criminali e tossicodipendenti tra le Vele di Scampia, si ritrova adesso in un mondo rallentato, silenzioso, dove niente accade, per giorni. Si trova ad avere a che fare con un’attesa prepotente, che fa fatica a gestire. A casa Maurizio e Gennaro, autistici gravi, passano gran parte del tempo su due divani diversi, in due stanze separate. Non parlano, non comunicano tra di loro. Non accettano la sua presenza e non lo vogliono intorno. Antonella, la loro mamma, quando Salvatore è in casa, non si fa vedere, si chiude nella sua stanza. Ci vuole tempo. Tempo per capire la vita degli altri. Tempo per essere presenti in uno spazio dove è necessario entrare in punta di piedi, senza aspettarsi niente. È la lungimiranza di Vincenzo che gli apre la strada. È Vincenzo che lo fa entrare e gli spiega chi sono i suoi figli, il significato dei suoni che sostituiscono le parole, dei movimenti che si ripetono, delle reazioni spesso apatiche, a volte violente. Vincenzo traduce nella mente di Salvatore l’accezione comune del termine ‘pazzo’, in quella di ‘persona’.
Pian piano Sasà entra in contatto con il disagio. Comincia a intuire quanto frustrante sia non poter comunicare, sentirsi rinchiusi dentro, isolati. E sente che l’unico modo per intendersi con questi due adolescenti è trattarli come suoi pari. Impara a conoscerli, a distinguerli, a trattarli diversamente in base alle loro personalità.
“Non è vero che loro non capiscono, loro capiscono se tu li tratti alla pari…”
Maurizio è oppositivo e provocatorio, se capisce cosa ti aspetti da lui puoi giurarci che non ti darà mai quello che vuoi. Di essere fotografato quindi, neanche a parlarne. Gennaro è più morbido, dopo i primi incontri si mostra con più facilità e nel tempo la gelosia, come in ogni rapporto tra fratelli che si rispetti, diventa l’unico buon motivo, per cui anche Maurizio entra a far parte del gioco. Accade il giorno del loro diciottesimo compleanno che Maurizio prende una decisione e con tutta la fisicità che lo contraddistingue, spinge via il fratello e si mette in posa al suo posto, davanti all’obbiettivo di Sasà.
Bingo.
Passato un anno Salvatore ha messo insieme diverse immagini. Sono foto di due ragazzi autistici, con chiare manifestazioni del disturbo. Non v’è dubbio. La storia però non funziona. Non parla, non comunica. Manca tutto. Per raccontare quella storia di autismo, l’autismo non basta. Manca l’amore. Manca la madre. Manca il dolore di una donna che rimane chiusa nella sua stanza. Manca la forza di un uomo che guarda al futuro con cuore e testa ben allineati. Manca Flavio, ultimo dei fratelli, nato da una scommessa vinta sulla vita. Sono le persone che, insieme, sostengono il peso del disagio a dover essere raccontate. Solo così è possibile spiegare che con l’autismo si può convivere. E che se si affronta l’autismo per quello che è, a volto scoperto, può diventare parte di una vita normale.
Oltre la patologia
Allora Sasà, decide di andare avanti. Di mettersi ancora in gioco. Di più. Di viversi fino in fondo quella famiglia, fatta di padre madre, fratelli, sì, ma anche dell’associazione, di altri ragazzi autistici, delle loro famiglie e di quelle che verranno. Salvatore decide di raccontare l’autismo di Maurizio e Gennaro, non come un fenomeno a sé stante, ma come parte di un sistema relazionale complesso. Parte di una comunità.
“Quando ho capito che la patologia non era la storia…”
Identificarsi in una comunità unita e consapevole dei propri diritti è l’unico modo per non doversi nascondere, per dare i nomi alle cose ed emanciparsi dalla vergogna. Per accettare il fatto che si possa vivere meglio. Insieme agli altri, perché da soli non si resiste. È la forza della società civile tutta, che persegue obbiettivi condivisi, l’unica capace di abbattere pregiudizi e ignoranza, di trasformare gli interessi personali di poteri criminali in bene comune. Agli intrepidi come Vincenzo, tutte le onorificenze che meritano, per essere un punto fermo, quercia in mezzo alla tempesta. Traghettatori che da storie buie e senza via d’uscita portano verso strade di crescita e bellezza. Nella speranza che un giorno degli intrepidi, degli eroi, dei super-umani, non ci sia più bisogno, e che la cultura l’impegno civile le competenze, accessibili a tutti, diventino questi stessi punto fermo, querce in mezzo alla tempesta. Dopo quatto anni Salvatore chiude quella che chiama una storia di autismo e di amore. Anni che diventano un libro fotografico e un documentario. Nessun giornale ha voluto finora pubblicare le splendide immagini, piene di sincerità e di poesia, che Salvatore ha realizzato, nonostante questa sia una storia di grande attualità.
I dati sull’autismo
I dati sull’autismo sono in crescita anno dopo anno; secondo gli studi ASDEU promossi dalla commissione europea, in Italia un bambino su 100 è affetto da autismo, il 3,5% degli studenti italiani secondo i dati Istat 2018. Le responsabilità di cui la società civile deve farsi carico sono molte, riguardo l’assistenza sanitaria, l’inserimento sociale e lavorativo dei ragazzi, il sostegno nelle scuole e alle famiglie. L’importanza della ricerca rimane centrale, per capire meglio una patologia di cui si sa ancora davvero troppo poco. Nonostante le politiche editoriali, il lavoro di Salvatore ‘La forza del Silenzio’ si diffonde in tutto il paese, partecipa ai festival, vince premi e concorsi, è uno strumento importante per molte associazioni che si impegnano a diffondere informazioni e a creare consapevolezza. affinché chi soffre a causa dell’autismo possa sentirsi parte di una comunità. Tempo dopo Sasà, deciso a mantenersi in forma, prende la vespa e va a correre al parco vicino casa. Da lontano si accorge che in mezzo a tanta gente, c’è un tipo isolato dagli altri. Per tutti quanti quello è un pazzo. Sasà lo guarda dritto in faccia Gli aggancia lo sguardo. Il tipo sorride, e capisce. In mezzo a tanta gente uno solo si è accorto che non è scemo.
Allora si alza e comincia a correre insieme a lui.
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