Le ultime isole del matriarcato
Scritto da Julia Kalashnyk in data Aprile 7, 2020
Sulle isole estone Kihnu e Mania vivono più di 300 donne e pochi uomini. Le/gli abitanti delle isole vengono spesso considerati come l’ultima società matriarcale in Europa, dove le donne anziane si occupano di tutti gli aspetti della vita quotidiana mentre i loro mariti viaggiano per mare.
Foto in evidenza: © Stefano De Luigi
Kihnu e Manija
Kihnu e Manija sono le due piccole isole estone situate nel Mar Baltico, dove riecheggia una cultura arcaica. Le isole sono abitate da una comunità chiusa, che conserva tuttora gli antichi costumi. Molte forme di cultura popolare sono rimaste intatte: riti e danza, costumi tradizionali, dialetto e lavori con l’ago. A ornare questa rara testimonianza sono i tradizionali canti runici precristiani, che possono essere sentiti tutt’oggi sulle isole. Il costume tradizionale non viene indossato solo in occasione di una sagra o di una festa popolare – è l’abito quotidiano, un simbolo di non contaminazione, se vogliamo proprio usare questo termine. Ancora oggi si può incontrare un’abitante di Kihnu vestita in una tradizionale gonna a strisce verticali, che va su una motocarrozzetta da qualche parte.
E proprio per questo motivo le due isole sono considerate un fenomeno culturale non solo per l’Estonia, bensì per l’intera Europa. La cultura storica del Kihnu – un’isola lunga solo 7 km e larga 3,3 km – è inclusa nel patrimonio orale e immateriale dell’umanità e protetta dall’UNESCO.
Le ultime isole del matriarcato
Però le isole Kihnu e Manija non custodiscono solo le traccia di una cultura unica e intatta: l’arcipelago conserva anche l’ultima comunità matriarcale in Europa. La maggior parte dell’anno, infatti, gli uomini lo trascorrono in mare: sono impegnati nella pesca e nella caccia alle foche.
Alcuni di loro viaggiano lontano per poter guadagnare e i giovani isolani vanno a cercare fortuna nelle grandi città. Così le isole restano popolate dalle donne anziane. Il posto è isolato dal resto del mondo e, in gran parte a causa delle avverse condizioni meteorologiche, la vita è molto dura. Per queste ragioni le isolane sono abituate a lavorare sodo e a prendersi cura delle maggior parte delle cose: arano il terreno, guidano i trattori, cuciono i vestiti e provvedono al bestiame.
In foto Vahtra Helju, un’abitante dell’isola, che in vita aveva un solo desiderio – essere fotografata con la sua mucca.
Occupandosi di tutto queste donne sono diventate le custodi del patrimonio culturale delle isole, tramandandolo di generazione in generazione. La loro eredità è ricca di danze, giochi, musica, ricami e persino riti funebri. A sessant’anni le isolane iniziano a preparare tutto il necessario per il proprio funerale: confezionano vestiti per la sepoltura, lavorano a maglia i guanti per giovani uomini che hanno scelto come scavatori delle proprie tombe.
Big Heart, Strong Hands (Grande cuore, mani forti)
La fotografa norvegese Ann Helen Gjelstad (sono sue le foto sopra) ha dedicato quasi dieci anni a documentare la quotidianità delle donne che abitano le isole. Da questa lunga immersione nell’ultimo mondo matriarcale rimasto, è nato il progetto Big Heart, Strong Hands, trasformato poi nell’omonimo libro fotografico.
La fotografa racconta che a Kihnu tutto l’anno vivono circa 300 persone, la stragrande maggioranza delle quali sono donne e solo pochi uomini. Nel suo lavoro ha immortalato le loro vite e attività quotidiane, vestiti e camere da letto, cucine e tettoie, dettagli, dintorni e paesaggi, nonché riti funebri.
Slightly off topic but I thought a lot of #FolkloreThursday crew would really like this photo series of 'the last matriarchal society in Europe' (in Estonia) by Anne Helene Gjelstad. Beautiful folk costumes. https://t.co/AoWxl5km7e pic.twitter.com/eHxY7ZaLGq
— SeaBeast (@LauraDalMare) February 27, 2020
Le isole sono l’unico posto in Estonia dove le donne indossano costumi nazionali con le gonne a strisce verticali nella vita di tutti i giorni.
Il popolo parla un dialetto che si chiama Kinhu kiel, che venne vietato ai tempi dell’Unione sovietica. È ricco di parole che descrivono il clima e, in particolare, il suo impatto sul mare e sul ghiaccio. Ad esempio, tie in dialetto locale indica il ghiaccio solido e resistente, sul quale si può camminare. Tuulõeauk, invece, indica il ghiaccio sottile, troppo pericoloso per camminarci sopra, scrive The Guardian.
In estate le isole vengono visitate da molti turisti, che alcuni vedono come una minaccia diretta per l’autenticità del posto.
De siste to kveldene har jeg hatt vært så heldig å få presentere arbeidet mitt og boken 'Big Heart, Strong Hands' for…
Posted by Anne Helene Gjelstad on Wednesday, February 12, 2020
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