Africa: risarcimenti postcoloniali, ambiente e richieste di democrazia

Scritto da in data Agosto 22, 2020

La notizia della settimana dal continente africano è quella del colpo di Stato in Mali, avvenuto il 19 agosto e di cui il notiziario di Radio Bullets vi ha raccontato giorno dopo giorno. Intanto il Burundi chiede a Germania e Belgio una riparazione per i danni arrecati dalle politiche coloniali del secolo scorso, esperti giapponesi tentano di arginare il disastro ambientale in corso per una perdita d’olio da una nave nei pressi delle isole Mauritius e in Sudan ricominciano le proteste per chiedere più democrazia.

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Burundi: 36 miliardi per risarcire danni e crimini del colonialismo

Il Burundi sarebbe in procinto di chiedere un risarcimento per i danni provocati dal colonialismo, nonché la restituzione di beni e opere d’arte trafugati, a Germania e Belgio. Secondo quanto riportato da Deutsche Welle su notizia di Radio France International, il senato del paese starebbe valutando l’insieme dei danni subiti durante il periodo di sottomissione ai due paesi europei, che avrebbero anche contribuito alla divisione della popolazione del paese in Hutu e Tutsi, causa delle guerre civili nel 1972 e nel 1993. L’ammontare richiesto sarebbe intorno ai 36 miliardi di euro.

La Germania è al momento già in dialogo con la Namibia, che ha chiesto risarcimenti finanziari e scuse formali dal paese per i crimini commessi durante il periodo coloniale, mentre il Belgio sta pianificando di creare un gruppo di esperti per capire come trattare la propria storia coloniale.

Il Burundi, regno africano governato dalla dinastia Baganwa dal 1680 al 1962, fu invaso insieme al Ruanda nel 1884 dai tedeschi, e venne annesso come protettorato all’Africa Orientale Tedesca. Durante la prima guerra mondiale il territorio fu occupato dai Belgi, prendendo il nome di Ruanda-Urundi, e affidato al Belgio con il mandato della Società delle Nazioni. L’amministrazione belga mantenne gli assetti sociali e politici preesistenti (compresa la monarchia, sostituita da una repubblica presidenziale bicamerale nel 1966), ma avvantaggiò i minoritari batutsi ai danni della maggioranza bahutu e batwa. Differenze considerate etniche, ma probabilmente relative a posizioni socio-economiche. I conflitti tra gruppi iniziati all’epoca portarono diversi colpi di stato e al massacro (ricordato con il termine ikiza, catastrofe) del 1972 in cui, col pretesto di un tentativo di colpo di Stato hutu, il governo si rese responsabile del genocidio più grande della storia del Burundi. Furono uccisi selettivamente tutti i quadri hutu a tutti i livelli: amministratori, magistrati, insegnanti, militari e religiosi. Le vittime furono quattrocentomila e cinquecentomila i profughi costretti a fuggire nello Zaire e in Tanzania. Una relativa stabilità del paese è stata raggiunta solo nel 2010, ma l’ultimo, fallito, colpo di stato risale al 2015.

Esperti giapponesi contro il disastro ambientale alle Mauritius

Una squadra di esperti dal Giappone si aggiungerà a quella che sta già cercando di tamponare, letteralmente, il disastro ecologico provocato dall’impatto della nave panamense (ma di proprietà giapponese) MV Wakashio sulla barriera corallina delle isole Mauritius del 25 luglio scorso. La perdita di olio dalla nave, infatti, mette a repentaglio l’intera economia del paese insulare. Ignote le cause del disastro, che potrebbe essere avvenuto per un eccessivo avvicinamento alla terraferma per la ricerca della rete Wifi, secondo un’ipotesi riportata da il Fatto Quotidiano. La nave si è poi spezzata in due. La prua della MV Wakashio è stata rimorchiata lontano dalla barriera corallina e le prime squadre di soccorso hanno iniziato a pompare dalla nave le quasi tremila tonnellate di petrolio non ancora fuoriuscite, ma il greggio ha già devastato l’ecosistema dell’isola e rischia di provocare danni permanenti alla fauna. Il capitano della nave è stato arrestato martedì 18 agosto, mentre una seconda squadra di esperti dal Giappone è all’opera da giovedì 20 agosto con materiali che assorbono il combustibile per limitare ulteriori danni. Il materiale è stato donato dalla compagnia M-TechX con sede a Tokyo ed è già stato usato in un incidente simile avvenuto in Giappone, come si legge in un articolo di Al Jazeera. Preoccupazione è stata espressa in particolare dal ministro dell’ambiente, Kavy Ramano, mentre il primo Ministro, Pravind Jugnauth, ha dichiarato lo stato di emergenza ambientale.

Proteste pro-democrazia in Sudan

La popolazione sudanese è tornata in strada questa settimana, così riporta Al Jazeera, per protestare contro la lentezza nel processo democratico avviato dallo scorso anno. I manifestanti si sono riuniti a Karthum, capitale del Sudan, con varie richieste, tra cui quella di elezioni e la costituzione di un potere politico civile. Dal 2018 si avvicendano passi in avanti e indietro tra il movimento democratico e il governo delle forze armate. La SPA (Sudanese Professional Association), organizzazione ombrello sotto cui si trovano diversi gruppi e associazioni pro-democrazia, lamenta l’uso di lacrimogeni e la repressione delle manifestazioni, mentre secondo gli attivisti i partiti istituzionali non avrebbero fatto abbastanza in favore dei cittadini, mediando con i militari e giungendo a un accordo che prevedeva, all’agosto 2019, 39 mesi di governo transitorio per arrivare alle elezioni. Degli undici membri del governo formatosi lo scorso anno, cinque sono militari e, secondo la popolazione scesa in piazza, avrebbero ottenuto troppa influenza sui membri laici. Oltre alla crisi politica, il malcontento si starebbe diffondendo per la paura di un peggioramento dell’economia, dovuto anche alle sanzioni statunitensi (il Sudan è tra i paesi considerati finanziatori del terrorismo per gli USA).

Nella seconda metà del Novecento, il Sudan ha sofferto diciassette anni di guerra civile e dal 1989 ne è stato presidente il colonnello Omar al-Bashir, destituito nel 2019. Predomina nel settore giudiziario, esecutivo e legislativo, il Partito del Congresso Nazionale e questo ha determinato la condanna internazionale di un sistema essenzialmente monopartitico e autoritario.

In copertina Pixabay/Isola delle Mauritius

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